Vincent deve morire: recensione del film di Stéphan Castang

Tra nerissimo documentarismo distopico, metacinema ed echi Carpenteriani, l'esordiente Castang servendosi dei linguaggi dell'horror e del grottesco, riflette ambiziosamente sull'intolleranza cieca e immotivata del nostro presente.

Cervi, violenza e fuga dalla società. Non è la prima volta guardando al cinema recente, che ritroviamo la paura degli individui nei confronti dei cervi, seguita da un’anomala ondata di violenza e così dal desiderio di fuga dalla società. Lo abbiamo visto accadere nell’ambizioso ed inquietante Il mondo dietro di te di Sam Esmail e lo ritroviamo nell’interessante e nerissima opera prima di Stéphan Castang, Vincent deve morire in uscita nelle sale a partire da giovedì 30 maggio, distribuito da I Wonder Pictures.

Vincent deve morire: recensione del film di Stéphan Castang

Sentinelle, sguardi e amori tormentati

Quest’ultimo ha inizio proprio con i cervi, che protagonisti di un bizzarro incubo, di natura forzatamente astratta, lasciano ben presto spazio ad una più che concreta esplosione di violenza, tanto improvvisa ed immotivata, quanto feroce e grottesca. Vincent (il volto di Karim Leklou è curiosamente fumettistico) ne subisce le conseguenze, riportando ferite e traumi difficilmente dimenticabili, che nessuna forma di perdono può in ogni caso alleviare. Infatti, ciò che gli accade non trova alcuna spiegazione logica, poiché chiunque egli guardi, cercherà di ucciderlo.

Fin dalle prime sequenze, viene dunque posta allo spettatore una domanda spaventosamente brutale e tragica: com’è possibile muoversi nella società, se questa vuole farti a pezzi a partire da un semplice sguardo? È chiaro, Vincent non può più vivere, non può più farne parte, a meno che non scelga la fuga, a meno che non si pieghi alla violenza. Fortunatamente, non è solo. Qualcuno come lui sopravvive alla brutalità e così alla disperazione d’essere vittime di un mondo sempre più nero, folle, spietato e catastroficamente destinato alla fine, le sentinelle.

Sentinare, o altrimenti, evitare con astuzia un pericolo. Non ve n’è alcuna però nell’inspiegabile delirio che il mondo di Vincent deve morire mostra, se non quella dello sguardo. Mantienilo e sarai ucciso, dimenticalo e sarai risparmiato. Da qui l’inevitabile riflessione, tanto da parte dello spettatore, quanto del protagonista stesso, sull’importanza decisiva del contatto visivo nella quotidianità. Come si può vivere senza guardare il volto degli individui che ci circondano? Come si può stabilire un legame, o altrimenti provare e suscitare un’emozione senza soffermarsi sugli sguardi? Se in qualsiasi altra circostanza non potremmo che considerare questa scelta di privazione, come qualcosa di assolutamente spaventoso e tragico, nel caso di Vincent deve morire, così come dei fortunati franchise horror, A Quiet Place e Bird Box, non possiamo far altro che gioirne, ammirandone la riuscita, cui segue la sopravvivenza.

È interessante da qui il gioco manipolatorio, che dapprima invisibile, si fa sempre più evidente, innescato dal contrasto tra un protagonista che non può e non deve guardare, ed uno spettatore invece che pur spaventato, si fa sempre più morboso, incapace cioè d’allontanare lo sguardo dallo schermo, attratto per certi versi dall’oscurità, dal proibito e da quel male feroce dal quale Vincent fugge, privando sé stesso dell’osservazione visiva. Siamo dalla sua parte è chiaro, eppure inevitabilmente non desideriamo altro che quella privazione cessi d’esistere, permettendo al male e così all’inaspettato – il sentimento non è infatti svanito – di sfogarsi liberamente, tra efferate esplosioni di violenza, sangue e tormentato amore, come quello che lega Vincent alla solitaria Margaux (Vimala Pons).

Metacinema non dichiarato, o altrimenti efficacemente esplicitato attraverso espedienti narrativi sottilmente metaforici, che uno spettatore attento coglie nella presentazione di due tipologie d’individuo, all’interno della disperata società che il film di Castang racconta: l’individuo che guarda, subendo sofferenza e l’individuo che non guarda, lontano dunque da qualsiasi potenziale mutamento o accadimento.

La contaminazione tra i generi prodotta dall’abile e notevolmente ambiziosa scrittura, oltreché regia pur esordiente di Stéphan Castang e Mathieu Naert si muove dalle parti del cinema di denuncia, l’horror dunque è soltanto un punto di partenza, di lì in poi il grottesco, il sentimentale, il dramma e così l’incessante e documentaristico sguardo rivolto al presente. Quanta violenza cieca e immotivata passa per i nostri schermi? Quanta ne osserviamo in strada, sui social, in famiglia e via dicendo? Molta, troppa. Ecco perché Castang e Naert non possono che denunciarla come folle, sottolineandone al tempo stesso la natura fortemente gratuita, immotivata, dunque idiota.

Vincent deve morire: valutazione e conclusione

Doveroso considerare che è proprio l’irraggiungibile crudeltà del cinema horror d’oltralpe, a permettere all’esordio di Castang d’esprimersi liberamente su tematiche solo apparentemente narrative, poiché distopiche, ma in definitiva pressoché documentaristiche – nonché certamente estremizzate – rispetto ad effetti e conseguenze della passata pandemia da Covid-19. Da quest’ultima infatti si è a lungo e ingenuamente sperato d’uscire migliori e solidali gli uni con gli altri, giungendo infine all’esatto opposto. L’azzeramento di qualsivoglia forma di rispetto, comprensione, ascolto e tolleranza infatti, non ha potuto far altro che generare un picco di violenza, discriminazione e oscurità destinato a non finire più. Niente di distante dal film di Castang.

Presentato alla Semaine de la Critique di Cannes 2023, Vincent deve morire è dunque una sanguinosa, esilarante e disperatamente romantica parabola sull’incapacità propria dell’uomo moderno di convivere con l’altro, figlia di una intolleranza cieca sempre più spaventosa e spietata, dalla quale Vincent – e così anche noi – non può far altro che fuggire.

Immaginate l’improvvisa e scioccante ondata di violenza generata dal terrore letterario di Sutter Cane, protagonista assoluto, seppur fantasmatico del memorabile Il seme della follia di John Carpenter, radicata ancor più ferocemente nel nostro presente e così nella nostra quotidianità, eccovi servito Vincent deve morire. Crudo, nerissimo e disperato. Vincent deve morire è in sala da giovedì 30 maggio, distribuzione a cura di I Wonder Pictures.

Regia - 4
Sceneggiatura - 4
Fotografia - 4
Sonoro - 4
Recitazione - 4
Emozione - 4

4