Virgin Mountain: recensione del film di Dagur Kári
Virgin Mountain evita ogni sorta di sentimentalismo e riesce a sorprendere anche con un finale dolce amaro, evidentemente disatteso.
Virgin Mountain (Fúsi) è un film islandese del 2015 diretto da Dagur Kári, con Gunnar Jónsson, Ilmur Kristjánsdóttir, Sigurjón Kjartansson, Franziska Una Dagsdóttir, Margrét Helga Jóhannsdóttir.
Il film racconta la storia di Fúsi, un uomo timido e taciturno di 43 anni che vive con sua madre e lavora in aeroporto, dove è vittima di bullismo da parte dei suoi colleghi. Fúsi ama ascoltare la musica hard rock e passa il suo tempo libero a rievocare battaglie con i soldatini; Fúsi ha uno speciale interesse per la Seconda Guerra mondiale e possiede, infatti, un modello in miniatura della battaglia di El Alamein con cui, occasionalmente, gioca con il suo migliore amico Mordur. Il giorno del suo compleanno, Fúsi riceve in dono dal compagno della madre l’iscrizione a un corso di Country Dance. Al corso di danza conosce Sjöfn, una donna triste e sola che aiuterà ad essere felice.
Virgin Mountain: una favola intima, il ritratto di un dolce e impacciato Peter Pan incapace di connettersi con gli adulti
Virgin Mountain è una favola intima, il ritratto di un uomo con lo spirito di un bambino, un dolce e impacciato Peter Pan incapace di connettersi con gli adulti, che preferisce isolarsi con i suoi giochi e che subisce impassibile il rifiuto, il bullismo e il ridicolo come cose normali. Fúsi vive in mondo sicuro, il proprio, immutabile, estremamente limitato per se stesso. Fúsi è paziente, gentile e percepiamo con precisione ogni centimetro della sua anima, la sua sensazione di disagio e il piacere di una piccola gioia.
Questo film islandese è crudo e delicato allo stesso tempo, ispirato da un personaggio imponente e fragile che incontrerà una persona a lui affine. Fúsi e Sjöfn sono due esseri reclusi e soli che cercano di domarsi, di incastrarsi nella propria cornice esistenziale ed affrontare il mondo esterno, così poco indulgente e frivolo. La sua mancanza di autonomia e la paura dell’ignoto sono veicolate in modo brillante ed efficace da Gunnar Jónsson, che con la sua voce stanca e il suo aspetto esteriore trasmette sia il suo tormento interiore che la purezza del cuore.
In Virgin Mountain Gunnar Jónsson trasmette l’incanto e la purezza del cuore di Fúsi
Virgin Mountain offre due bellissimi ritratti e lancia un bel messaggio di speranza con la sua narrazione lontana da ogni cliché, che scava con lucidità l’umanità di ogni giorno, un lavoro commovente, che fotografa come la felicità viva attraverso le piccole cose. La pellicola è impreziosita da un umorismo sottile, leggero che accompagna dolcemente il dramma che abita il film e il protagonista, costretto a dover vivere una vita così poco attinente alla sua persona.
Virgin Mountain evita ogni sorta di sentimentalismo e riesce a sorprendere anche con un finale dolce amaro, evidentemente disatteso. Fúsi non abbraccia il proprio cambiamento ma tenta di crescere, di affrontare la propria alterità senza dimenticare il candore che gli appartiene, quel centrino di pizzo bianco così poco comune agli adulti ma affine solo ad un bambino. La storia del film racconta molto di più che la desolazione di un eterno adolescente, è il dramma dell’emarginazione, è il dramma interiore scaturito da un’assenza paterna e una presenza materna inossidabile e asfittica; è il ritratto di un’alienazione, di un’estraneità amara immersa in uno scenario senza vie di uscite, che comprime e soffoca, che cataloga e definisce i propri limiti. Limiti dai quali è necessario fuggire, ma liberarsene non significa essere liberi.