Vita di Pi: recensione del film di Ang Lee
Vita di Pi è un film di Ang Lee del 2012, che ha permesso al cineasta di origine taiwanese di conquistare il suo secondo Oscar per la migliore regia (dopo quello ottenuto nel 2006 per I segreti di Brokeback Mountain) e altre tre statuette per migliore fotografia, effetti speciali e colonna sonora. Il film è basato sull’omonimo romanzo di Yann Martel ed è stato realizzato con un imponente budget di 120 milioni di dollari. Questo investimento ha permesso alla produzione di creare delle spettacolari immagini in computer grafica, finalmente funzionali alla storia insieme al 3D con cui viene proposto il film, ed è stato premiato da un importante incasso di più di 600 milioni di dollari in tutto il mondo. L’attore principale del film è il debuttante Suraj Sharma (successivamente nel cast di Homeland), che divide con il sempre ottimo Irrfan Khan (The Millionaire, Jurassic World) l’interpretazione del protagonista Pi da giovane e in età adulta. Nei panni dello scrittore interessato a scrivere la storia del protagonista, ovvero lo stesso Yann Martel, compare Rafe Spall, già visto nella Trilogia del cornetto di Edgar Wright, in Prometheus e anche nel cast del recente successo La grande scommessa. Da segnalare inoltre la presenza in Vita di Pi di Gérard Depardieu, in un ruolo dal basso minutaggio ma di considerevole importanza nell’economia del film.
Vita di Pi: un avventuroso viaggio all’interno della natura più selvaggia e nei meandri del genere umano
Il film si apre con l’uomo di origine indiana Pi (Irrfan Khan) che racconta la storia della sua vita allo scrittore Yann Martel (Rafe Spall), interessato a scrivere un libro sulla sua curiosa storia. Durante un lungo flashback che occupa la quasi totalità di Vita di Pi, apprendiamo infatti l’incredibile avventura del giovane Pi (Suraj Sharma), che a seguito di uno sfortunato naufragio sopravvisse per 227 giorni a bordo di una piccola scialuppa, con la sola compagnia di quattro degli animali dello zoo di famiglia con cui stava viaggiando: una iena, una zebra, un orango e la temibile tigre Richard Parker. Fra immagini mozzafiato, riflessioni filosofiche ed esistenziali e spiazzanti colpi di scena, assistiamo così a un fantastico viaggio che ci farà riflettere sul senso della nostra esistenza e su cosa è realmente capitato al protagonista.
Con Vita di Pi, Ang Lee realizza quella che è prima una gioia per gli occhi e una vera e propria esperienza visiva. Difficile anche per i meno interessati alla fotografia non rimanere estasiati dal superbo lavoro svolto in questo reparto tecnico dal cileno Claudio Miranda, già collaboratore di David Fincher in alcuni dei suoi film più celebri: Seven, The Game, Fight Club, Zodiac e Il curioso caso di Benjamin Button. Le immagini dell’incredibile storia del protagonista, da quelle della sua gioventù, passando per lo sfortunato naufragio e finendo per quelle della sua convivenza forzata con alcuni animali, toccano il cuore e scaldano l’anima, sia per il loro realismo sia perchè per una volta tanti effetti speciali vengono messi veramente al servizio della trama. Diventa così semplice per lo spettatore empatizzare con la straordinaria avventura di Pi, lasciarsi cullare dal racconto e dalle sue domande e chiudere più che volentieri un occhio su una sceneggiatura che, soprattutto nella prima parte, ha la colpa di buttare dentro un po’ troppa carne al fuoco e in maniera non sempre approfondita. Temi come il conflitto tra razionalità e fede o la presunta superiorità della razza umana sugli altri animali di questo pianeta andrebbero sviscerati con più convinzione e coerenza, ma Ang Lee si riprende alla grande quando non sono i suoi personaggi a parlare, ma soltanto la forza delle sue immagini e la toccante colonna sonora di Mychael Danna. È qui allora che tutti i nodi vengono al pettine, e che discorsi come l’esistenza di Dio o la brutalità della natura trovano la loro ragion d’essere, trascinati da una storia ricca di simbolismo che prende una piega decisamente inaspettata nella parte finale. Nonostante qualche tentennamento iniziale, Vita di Pi termina così il suo discorso nel migliore dei modi, lasciandoci molte domande e non mettendoci in bocca la risposta, affidando al nostro libero arbitrio e al nostro personale gusto la scelta se credere alla consolatoria, positivista e, perché no, buonista storia a cui abbiamo appena assistito o se dare invece corda alla sua versione più cupa, cinica e pessimista, difficile da digerire e da accettare. Qualsiasi sia la nostra scelta, il film raggiunge il proprio scopo, perché riesce a farci ragionare e riflettere anche dopo giorni dalla visione, ricordandoci così che, al cinema come nella vita, la gioia spesso sta nel viaggio e non nella destinazione.
Ang Lee centra l’ennesimo successo di una carriera memorabile. Un film che sfugge a qualsiasi tentativo di catalogazione, riuscendo a essere al tempo stesso una delle migliori esperienze visive del cinema degli ultimi anni, un racconto di formazione, una grande avventura sulla scia di Robinson Crusoe e un interessante riflessione sull’uomo, sulla sua vera natura e su tutto ciò che lo circonda. Vita di Pi ci mette davanti alle avversità della vita, rappresentate dalla perdita dei genitori, da un naufragio o dallo stare a stretto contatto con una famelica e affascinante tigre, ma ci ricorda che anche nel momento più buio e difficile, una bella storia da raccontare può salvarci o aiutarci a rendere più facile accettare la dura e crudele realtà.