Vite vendute: recensione dell’action-thriller Netflix
Dopo Clouzot e Friedkin tocca a Julien Leclercq adattare il romanzo del 1950 di Georges Arnaud, ma il risultato, disponibile su Netflix dal 29 marzo. 2024, purtroppo non è all’altezza.
Era 1953 quando Henri-Georges Clouzot portava sugli schermi Vite vendute (The Wages of Fear), sceneggiato dallo stesso regista con il fratello Jean da un romanzo di tre anni prima di Georges Arnaud. Il film fu accolto con grande entusiasmo sia dalla critica che dal pubblico, diventando rapidamente un punto di riferimento nella storia del cinema francese e della Settima Arte in generale, sopratutto dopo che lo stesso mise a segno una straordinaria tripletta vincendo nel medesimo anno il BAFTA, l’Orso d’Oro alla Berlinale e la Palma d’Oro al Festival di Cannes per il miglior film. Ci vuole dunque un gran bel fegato al solo pensiero di volere rimettere le mani su un classico come questo. Eppure di temerari, per non dire incoscienti, ce ne sono stati.
Nel 1977 William Friedkin, uno al quale il coraggio come abbiamo visto nell’arco della sua meravigliosa carriera non è mai venuto meno, tentò l’impresa firmando un nuovo adattamento dal titolo Il salario della paura. All’epoca dell’uscita fu accolto con opinioni contrastanti e non ottenne il successo commerciale sperato, per poi decenni più avanti essere rivalutato trasformandosi in un autentico cult. Quarantasette anni dopo il compianto cineasta americano qualcun altro ci ha voluto riprovare e quel qualcuno Julien Leclercq, un nome che agli abbonati di Netflix risuonerà familiare per avere firmato la regia e le sceneggiatura di prodotti audiovisivi che non hanno per nulla lasciato il segno come la serie Rapinatori e i film La sentinella e La terra e il sangue. Motivo per cui la sua trasposizione di Vite vendute, da considerare anche un remake della celebre pellicola degli anni Cinquanta, non è stata accolta con un certo entusiasmo il 29 marzo 2024, giorno scelto dal broadcaster a stelle e strisce per il rilascio in piattaforma.
Per il suo adattamento di Vite vendute, Julien Leclercq modernizza la storia portandola ai giorni nostri
Quella raccolta dal regista transalpino nativo di Somain è dunque un’eredità pesante, che come avremo modo di vedere si è trasformata per lui e il risultato in un’autentica zavorra che ha finito per lo schiacciare tanto le buone intenzioni quanto gli sforzi profusi per dare una nuova veste alla matrice originale. Il film del 1953, grazie alle grandissime capacità di un maestro universalmente riconosciuto come Clouzot e a uno sguardo crudo sulla natura umana e sulla lotta per la sopravvivenza in condizioni estreme, riuscì a riflettere e rievocare sullo schermo tutta quel ventaglio di emozioni, stati d’animo e sentimenti collettivi – dalla speranza per il futuro alla disillusione e al trauma – di un mondo si stava lentamente riprendendo dalle devastazioni della Seconda Guerra Mondiale. Sulla stessa linea d’onda, condividendo la medesima premessa di base, Friedkin volle dare la sua interpretazione cambiando il contesto storico e quindi spostando l’attenzione sulle preoccupazioni e le atmosfere degli anni Settanta. Ecco che ora, con la complicità – aggiungiamo noi a delinquere – in fase scrittura di Hamid Hlioua, Leclercq ha tentato di replicare l’approccio e il modus operandi dei suoi illustri predecessori. Lo ha fatto azzardando a realizzando una nuova versione della stessa storia, modernizzandola e cambiando completamente lo stile, ma suo e nostro malgrado dilapidando tutto quello che c’era da dilapidare, a cominciare dalla tensione dei personaggi che viene completamente prosciugata fino ad arrivare ai minimi termini, così come la trama che da avvincente si fa scheletrica e soporifera. Per non parlare dei temi trattati come la paura, il coraggio, la disperazione e l’avidità, che qui da profondi e forti perdono di consistenza e vengono esplorati solo superficialmente.
Al netto di inseguimenti, sparatorie, detonazioni e combattimenti corpo a corpo, l’operazione si può considerare davvero poca cosa
Facciamo però un passo indietro per provare a capire cos’è andato storto al punto da decretare il fallimento dell’operazione. Cominciamo con il dire che il plot, riveduto e corretto, presenta anch’esso la stessa semplice ma tesa premessa: poche ore per evitare una terribile catastrofe. Ambientato ai giorni nostri, vede ancora una volta al centro del racconto un team clandestino di specialisti che ha solo ventiquattr’ore per trasportare due carichi di nitroglicerina attraverso un deserto pieno di pericoli ed evitare un’esplosione letale. Siamo in una zona desertica del Guatemala dove un pozzo di petrolio prende fuoco minacciando l’intera area. Nelle vicinanze è situato un campo profughi che in preda al panico viene immediatamente sfollato. L’unico modo per evitare il disastro è far esplodere il pozzo in fiamme prima che questo spazi via l’intero villaggio. E qui entra in “gioco” la task force incaricata di portare a termine questa impresa impossibile in una vera e propria corsa contro il tempo. Il ché sulla carta dovrebbe quantomeno garantire una base perfetta sulla quale poggiare le fondamenta narrative del più classico degli action. E in effetti il Vite vendute targato Netflix è questo e nulla di più. Ciò significa che al netto di inseguimenti, sparatorie, detonazioni e combattimenti corpo a corpo, che rappresentano il campionario normalmente in dotazione a chi si confronta con il genere in questione, l’operazione si può considerare davvero poca cosa. Della potenza intrinseca della matrice letteraria, del patrimonio tecnico e contenutistico lasciato nel testamento dalle precedenti trasposizioni, la pellicola del regista francese non preserva, non valorizza e persino non sfrutta niente. Di contro mette in quadro, tra l’altro senza nemmeno entusiasmare sul piano visivo e spettacolare, un thriller d’azione in modalità on the road che non riesce nemmeno a soddisfare le esigenze basilari del genere di riferimento. In tal senso le scene più dinamiche dovrebbero sopperire in termini di coinvolgimento a quelle più statiche e dialogiche, al fine di garantire quella dose di intrattenimento utile alla causa e necessaria alla fruizione. Cosa che inspiegabilmente viene meno, con le sequenze cinetiche che vengono decelerate da un approccio registico che preferisce al ritmo serrato una dilatazione.
L’unica cosa che ci porteremo dietro di questa versione, tanto sciagurata quanto kamikaze, di Vite vendute è la colonna sonora di Éric Serra
E allora viene da chiedere cosa resta di un film che dopo avere sfruttato per fini commerciali così nobili radici, non è riuscito nemmeno a dare il massimo e la migliore versione di sé sul piano squisitamente tecnico. Eppure Leclercq è uno che quando si tratta di spingere il pedale sull’acceleratore, iniettare adrenalina nelle vene dello spettatore e fare dell’azione il motore portante, non si è mai tirato indietro. Le sue prove precedenti seriali e cinematografiche, come quelle già citate o The Bouncer, piuttosto che Gibraltar, L’assalto e Chrysalis, pur con delle evidenti carenze strutturali e drammaturgiche, avevano almeno saputo reggere botta sul piano cinetico. Nel suo Vite vendute, invece, non ingrana mai la quinta e l’esito fa fatica a ingranare. Gira le scene d’azione con il freno tirato e a poco è servito avvalersi del contributo davanti la macchina da presa di quattro tra i più apprezzati attori francesi (Franck Gastambide, Alban Lenoir, Ana Girardot e Sofiane Zermani), che finiscono come chi li ha scritturati nel baratro della mediocrità. Ora non ci aspettavamo di assistere a un’opera capace di rievocare i fasti del passato, ma almeno a un action all’altezza della situazione, quello sì. L’unica cosa che ci porteremo dietro di questa operazione tanto sciagurata quanto kamikaze sono le musiche di Éric Serra, avvolgenti, emozionanti e magnetiche come un tempo, che ci fanno ricordare quanto prezioso possa essere il contributo di un pezzo da novanta come lui. Peccato che le suddette creazioni siano state messe al servizio di un prodotto che un lusso così davvero non se lo meritava.
Vite vendute: valutazione e conclusione
È sempre un rischio confrontarsi con un classico e Julien Leclercq ha avuto il coraggio di tentare, ma suo e nostro malgrado l’eredità del romanzo di Georges Arnaud e le precedenti trasposizioni firmata da Henri-Georges Clouzot e William Friedkin si sono rivelate una zavorra e un peso troppo grande da sostenere. Modernizzare e attualizzare la storia a poco è servito se non a disperdere l’enorme patrimonio narrativo, tematico ed emozionale lasciato in dotazione. Un’eredità, questa, dal valore enorme che il regista francese dilapida realizzando un action-thriller on the road che dopo avere mandato al macero i contenuti e le argomentazioni dal peso specifico rilevante, la straordinaria costruzione della tensione e l’esemplare disegno dei personaggi delle opere del passato, si gioca male anche la carta della confezione. Le scene più dinamiche non hanno la personalità, il ritmo e la spettacolarità che un prodotto di questo genere richiederebbero. Gli attori chiamati a raccolta non sono altro che dei vuoti a rendere al servizio di una corsa contro il tempo che tra una sparatoria, un inseguimento, un corpo a corpo e un esplosione, azzera qualsiasi velleità interpretativa per piegarsi completamente alle regole d’ingaggio prive di spessore dell’intrattenimento a buon mercato. L’unica cosa che resta di un’operazione da dimenticare sono le musiche del sempre all’altezza Éric Serra. Un lusso, queste, che sinceramente un film come Vite vendute non si meritava.