Vivre sa vie: analisi filmica
Vivre sa vie (Questa è la mia vita), del 1962 scritto e diretto da Jean-Luc Godard, esponente della Nouvelle Vague francese, trae ispirazione da un’inchiesta giornalistica sulla prostituzione.
Il film, vincitore del Leone d’Argento alla Mostra di Venezia, ci presenta gli episodi della vita di Nana (Anna Karina), non attraverso il più comune sviluppo narrativo consequenziale, ma in una serie di dodici quadri. Ogni quadro, introdotto da una didascalia, rappresenta un momento particolare dell’esistenza della ragazza:
1- Un bistrot – Nana vuole lasciare Paul – la macchinetta a gettoni, 2- Il negozio di dischi – duemila franchi – Nana vive la sua vita, 3- La portineria – Paul – La passion de Jeanne d’Arc – un giornalista, 4- La polizia – interrogatorio di Nana, 5- i viali di circonvallazione – il primo uomo – la stanza, 6- Incontro con Yvette – un bar di periferia – Raoul – mitragliatrice fuori, 7- La lettere-ancora Raoul – gli Champs-Elysées, 8- I pomeriggi – i soldi – i lavandini – il piacere – l’hotel, 9- Un ragazzo – Luis Nana si chiede se è felice, 10- Il marciapiede – un tizio – la felicità non è allegra, 11- Place du Châtelet – lo sconosciuto – Nana filosofeggia senza saperlo, 12- Ancora il ragazzo – Il Ritratto ovale – Raoul rivede Nana.
Godard si concentra anche su un susseguirsi di microeventi, potremo dire anche irrilevanti, interni ai quadri. Le sequenze in cui vediamo Nana con i clienti, nelle stanze d’albergo o nel negozio di dischi sono presentate con le stesse modalità con cui vengono riprese le altre sequenze più significative nel tessuto narrativo.
La divisione in quadri accentua il coté teatrale, brechtiano. Anche la fine del film è piuttosto teatrale: bisognava che l’ultimo quadro lo fosse più degli altri…il film era un avventura intellettuale. Ho voluto provare a filmare un pensiero in movimento,ma come riuscire in questo intento?… Anche per questo motivo il film è una successione di schizzi. Bisogna lasciar vivere la gente, non guardarla per lungo tempo, se no si finisce per non comprenderci niente. (dichiarazione di Godard riportata nel supplemento di L’Avant scène du cinéma, n.107, a cura di Abraham Segal.)
Nana inizialmente è una commessa annoiata in un negozio di dischi. Successivamente decide di diventare una prostituta perché perde il lavoro e ha bisogno di soldi per pagare l’affitto.
La scelta della prostituzione viene raccontata come un atto di responsabilità, come si trattasse di una scelta fatta in piena lucidità. Una contraddizione del film risiede nel fatto che Nana diventa prostituta non perché smarrisce se stessa, ma perché risponde semplicemente a una necessità. La protagonista è infatti consapevole delle conseguenze della sua decisione e di questo possiamo essere certi quando la ascoltiamo nel lungo monologo che fa in presenza di una sua amica:
Credo che invece siamo sempre responsabili delle nostre azioni. E liberi. Alzo la mano, sono responsabile. Giro la testa a destra, sono responsabile. Sono infelice, sono responsabile. Fumo una sigaretta, sono responsabile. Chiudo gli occhi, sono responsabile. Dimentico che sono responsabile, ma lo sono… Voler evadere è un’illusione. In fondo, tutto è bello. Basta interessarsi alle cose e trovarle belle. Si. In fondo le cose sono come sono e nient’altro.Un volto è un volto. Dei piatti sono dei piatti. Gli uomini sono gli uomini. E la vita è la vita.
Nana sembra non venire assolutamente degradata dal nuovo mestiere, anzi, si registra in lei una crescita progressiva di autocoscienza.
Nonostante la brutta piega che ha preso la vita della protagonista, questa non rinuncia alla propria personalità e trova l’amore in un ragazzo riservato con cui leggere Poe. Il giovane sarà responsabile involontario della morte di Nana. Ciò Godard lo suggerisce attraverso i sottotitoli della sequenza in cui viene letto Il Ritratto ovale, storia di un pittore che a forza di riprodurre la sagoma della donna che ama finisce per toglierle la vita.
Il film, inoltre, presenta un finale aperto. La morte di Nana, uccisa in un conflitto a fuoco, sembra non chiudere la riflessione esistenziale e la struttura simbolica del testo filmico.
Il regista sceglie di far interpretare il ruolo della prostituta all’attrice che allora è anche la sua donna, Anna Karina. In Italia fece la stessa scelta Fellini con Le notti di Cabiria in cui il ruolo toccò a Giulietta Masina.
L’interpretazione di Anna Karina da vita ad un soggetto anomalo, androgino, che racchiude in se questioni esistenziali universali che non appartengono esclusivamente all’uomo o alla donna.
In tutto il film prevalgono i primi piani della protagonista. In un quadro, Nana piange vendendo in un cinema un estratto del film di Dreyer La passione di Jeanne d’Arc, citazione significativa di Godard. Attraverso l’insistenza sui primi piani, sia di Anna Karina sia di Renée Falconetti in Dreyer, emerge, come leggiamo nell’analisi condotta da Jean-Louis Bory, la volontà del regista di suggerirci come essenziale il fatto che l’uomo sia responsabile e libero delle proprio scelte.
Viene data, inoltre, particolare importanza alla parola. Questa si impregna di significati esistenziali, diventando vettore di produzione di idee e concetti.
Il modello di scrittura intellettuale elaborato dal regista in Vivre sa vie si palesa nella sequenza dedicata alla professione della prostituta,come leggiamo in Microfilosofia del cinema di P.Bertetto.
Il segmento presenta un sonoro off,dati, idee, statistiche e immagini. Il tutto montato per fornire informazioni sul mestiere, come se si trattasse di un inchiesta giornalistica.
Le prostitute diventano oggetto di un’analisi sociologica. Non sono presenti riferimenti alla sessualità e la prostituzione viene presentata essenzialmente come una professione, niente di più.