Roma FF17 – War – La guerra desiderata: recensione del film di Gianni Zanasi
L’ambiziosa war-comedy di Zanasi con tra i tanti Edoardo Leo e Miriam Leone viene schiacciata dal peso del vorrei ma non ci riesco. La recensione del nuovo film del regista emiliano, presentato alla Festa del Cinema di Roma e nelle sale dalle 10 novembre 2022.
Capita spesso che l’immaginazione superi la realtà o in altri casi la anticipi come accaduto con il Contagion di Steven Soderbergh rispetto alla pandemia o per Gianni Zanasi e il suo nuovo film dal titolo War – La guerra desiderata, presentato alla 17esima edizione della Festa del Cinema di Roma nella sezione Grand Public, anticipando l’uscita nelle sale il 10 novembre 2022 con Vision Distribution. L’ultima fatica dietro la macchina da presa del regista emiliano, che arriva a quattro anni di distanza da Troppa grazia, è stata scritta dallo stesso Zanasi con Lucio e Michele Pellegrini nella primavera del 2019, vale a dire tre anni esatti prima che la Russia invadesse l’Ucraina, provocando lo scoppio di un conflitto con il quale stiamo tuttora – e chissà per quanto ancora – facendo i conti. Profezia, veggenza o semplice coincidenza poco importa, fatto sta che la pellicola in questione era in fase di montaggio proprio quando Vladimir Putin dava ufficialmente inizio alle ostilità, passando dalle parole ai fatti. Il resto è cronaca recente e di questi giorni.
Un’escalation febbrile e il susseguirsi rovinoso degli eventi sono il baricentro drammaturgico su e intorno al quale ruota e si sviluppa la timeline di War – La guerra desiderata
A scanso di equivoci, l’autore ha messo tutto nero su bianco con una didascalia iniziale che chiarisce le tempistiche che riguardano la genesi della pellicola rispetto agli eventi bellici che hanno sconvolto l’Ucraina e il Vecchio Continente, evitando così qualsiasi accusa di furbizia o ancora peggio di speculazione. Il fatto che il film porti sul grande schermo analogie con il presente, mettendo in scena il racconto dell’avvicinarsi di una folle guerra europea, in questo caso tra Italia e Spagna, la cui scintilla è stata provocata da un incidente in cui c’è scappato il morto, innescando un incidente diplomatico tra le due nazioni un tempo acerrime rivali solo sul rettangolo di gioco, ha reso il film, la trama e certe dinamiche mostrate sullo schermo più attuali di quando il tutto è stato concepito. Il degenerarsi di una rissa tra ragazzi ha finito con il gettare benzina sul fuoco, creando tensioni e alimentandone sino alle estreme conseguenze. Ed è questa escalation febbrile e il susseguirsi rovinoso degli eventi, che ha portato i due Paesi a dichiararsi guerra, a rappresentare il baricentro drammaturgico su e intorno al quale ruota e si sviluppa la timeline di War – La guerra desiderata.
Un approccio roboante attraverso il quale Zanasi ha voluto dire la sua sui conflitti umani nell’accezione più vasta del termine
Nelle due ore e passa a disposizione, decisamente troppe rispetto alle reali esigenze di una narrazione che indugia invece di arrivare più velocemente al punto, Zanasi racconta come dagli affanni, dai disagi e dalle gioie della vita quotidiana si scivola a poco a poco nella paranoia bellica o peggio nella legge della giungla. Lo fa con le “armi di distrazione di massa” della dramedy, quella che è sempre transitata nelle vene del suo cinema sin dai tempi dell’esordio con Nella mischia. Lo humour graffiante, con il quale ha portato sullo schermo storie di vita vissuta, legami biologici, lavoro e amicizia, stavolta ha lasciato il posto a un approccio più roboante attraverso il quale il regista ha voluto dire la sua sui conflitti umani nell’accezione più vasta del termine, estendendoli non solo a quelli armati, ma anche a quelli sociali e domestici. Vediamo Roma diventare l’epicentro di un conflitto in divenire, prossima al caos e cornice di uno scontro interno tra pacifisti, guerrafondai, finti neutrali e indecisi da quale parte stare. Questi conflitti, dei quali i personaggi pensati da Zanasi & Co. diventano l’espressione fisica e ideologica (dall’allevatore di vongole laureato in lingue romanze interpretato da Edoardo Leo alla psicologa affidata a Miriam Leone, passando per il pacato barista divenuto un convinto paramilitare che ha visto impegnato Giuseppe Battiston), non bastano a mostrarci in maniera convinta e coinvolgente il caos che vige all’interno dell’occhio del ciclone.
Una war-comedy che si fa portatrice zoppicante di morali anti-belliche, tematiche universali e di un chiaro messaggio politico
Il problema dunque sta alla radice e alla sua mutazione audiovisiva, con la scrittura prima e la messa in quadro poi che non riescono, al netto di uno sforzo produttivo, di situazioni volutamente paradossali più efficaci di altre, a tramutare nel concreto le intenzioni di chi le ha pensate. I limiti si palesano nella messa in scena discontinua, che cerca affannosamente di rendere tutto credibile grazie ad artefici e vfx non sempre all’altezza della richiesta. Il risultato è una war-comedy che si fa portatrice zoppicante di morali anti-belliche, tematiche universali e di un chiaro messaggio politico, con le buone intenzioni che frenano davanti al muro del vorrei ma non ci riesco. Il tutto finisce suo e nostro malgrado con il perdersi nei fumi inebrianti e pericolosi di un progetto troppo ambizioso e al contempo fuori portata per le forze messe in campo. Il ché diventa palese se si azzarda il confronto con operazioni analoghe di ben altro spessore e più riuscite come L’uomo che fissa le capre, Tropic Thunder e War Machine, con il divario che diventa addirittura abissale se si scomodano titolo inarrivabili come Il dottor Zivago, M*A*S*H o 1941 – Allarme a Hollywood.