Warm Bodies: recensione del film con Nicholas Hoult
Una buona alternativa ai tipici zombie movie. La coppia composta da Nicolas Hoult e Teresa Palmer combatte la prevedibilità, prediligendo un approccio comico d'effetto.
Warm Bodies, del 2013, tratto dall’omonimo romanzo di Isaac Marion, è la storia di R (Nicholas Hoult), un giovane zombie che si aggira intorno ad un aeroporto completamente deserto. In uno scenario segnato dall’apocalisse provocato dai non-morti, R comincia gradualmente a prendere coscienza di sé e desidera contrastare il suo bisogno di carne umana. Innamorandosi di Julie Grigio (Teresa Palmer), una sopravvissuta inviata a recuperare rifornimenti medici, R stabilisce il primo vero contatto con un essere umano. È l’inizio di un rapporto insolito che diventerà cruciale per un nuovo ordine gerarchico da stabilire.
Warm Bodies: non il solito film sugli zombie
La particolarità di Warm Bodies è non sottostare ai canoni e alla formula già avviata da George A. Romero con l’intramontabile La Notte dei Morti Viventi o la rivisitazione del genere di Danny Boyle con 28 Giorni Dopo; i non-morti possono provare dei sentimenti e recuperano tracce di personalità mangiando i cervelli delle loro vittime. Questa trovata molto originale, tracciata dal soggetto di Isaac Marion – già autrice del romanzo – , permette agli attori principali di prendere il controllo del film con una spiccata vena comica. Mettere in scena un’amore non convenzionale fra una ragazza umana e uno zombie è un azzardo che non è più stato ripetuto.
Warm Bodies, grazie a questo incipit in grado di svecchiare e aggiornare ulteriormente il sottogenere horror, ci consegna una dinamica tenera ma mai dettata da linee di dialogo insensate o demenziali. L’equilibrio ottimale lo si raggiunge con una consapevolezza dei tempi e dei toni in bilico fra serietà nel contesto da rappresentare, uno spaccato urbano dominato dal caos e dalla cecità di forze belliche in collera, e rivisitazione in chiave moderna della tragedia di Romeo e Giulietta di William Shakespeare. Si rinnova l’archetipo dell’amore perfetto e avversato da una società in caduta libera e in completa dipendenza dall’istinto di sopravvivenza.
Warm Bodies: una pellicola fluida e diretta con mestiere
Pur essendo un titolo dai risvolti prevedibili e accomodanti per uno spettatore navigato, Warm Bodies offre delle soluzioni visive interessanti: il modo in cui vengono ritratti i non-morti, che riescono a comunicare rudimentalmente con grugniti e qualcosa di simile a parole di senso compiuto, è un’aggiunta interessante che diviene una gradita variazione del tema. Oltre agli zombie dotati di cuore, c’è uno spazio riservato agli ossuti: i classici nemici ripescati dagli altri zombie movie, a cui mancano le capacità cerebrali ma spiccano per la loro estrema agilità. Il duo di attori Nicholas Hoult e Teresa Palmer possiedono una valida chimica e offrono delle prove che tengono a bada l’improbabile spunto iniziale della trama.
John Malkovich, nei panni del padre di Julia Grigio, assume il ruolo di co-protagonista accecato dall’ira e dal disprezzo per i non-morti. Un impavido combattente con la quale è difficile contrattare, ma sarebbe pronto a seppellire l’ascia di guerra pur di mantenere intatto il nucleo familiare. Jonathan Levine, reduce dalla commedia agrodolce 50 e 50, utilizza ancora un metronomo invisibile che oscilla fra due generi complicati da gestire. L’approccio comico serve per ribaltare i ruoli di una coppia innamorata – con il ragazzo completamente assuefatto dai sentimenti più puri e la partner votata all’azione – e prendere le distanze da uno schema narrativo a tinte rosse sangue; poi vi è l’orrore dell’apocalisse zombie, pronto a cedere il passo ad un’adrenalina costante, che non conosce tregua se non in sporadici momenti di ragionata caratterizzazione.