We Are Little Zombies: recensione del film di Nakoto Nagahisa

Recensione del debutto alla regia del compositore Nakoto Nagahisa, We Are Little Zombies, che convince solo sul piano tecnico certosino. Coerenza narrativa non pervenuta.

Alla 24ma edizione del Milano Film Festival, in concorso nella categoria Outsiders, troviamo un’opera prima ricca di inventiva: We Are Little Zombies dell’esordiente Nakoto Nakahisa è una pellicola estremamente pop, dal sapore retrò. Un videogioco tradotto in un linguaggio filmico peculiare, con coinvolti quattro giovani protagonisti orfani curiosi di conoscere il mondo al di fuori delle loro mura di casa. Isai, Takemura, Hikaru e Ikuko rimangono improvvisamente senza genitori e con un gioco portatile, un basso elettrico e un wok carbonizzato a loro disposizione. Sarà sufficiente formare una band, dal nome “Little Zombies”, per raggiungere il successo immediato e riprendersi dalla loro condizione di isolamento forzato.

We Are Little Zombies: quando il montaggio fa la differenza

we are little zombies recensione cinematographe.it

Un racconto all’insegna della spensieratezza, condito da un manto elettronico proveniente dalle console portatili di vecchia generazione. Il retrogaming, neologismo inglese che indica la passione per i videogiochi del passato, interviene a gamba tesa per edulcorare il dramma di quattro bambini che si ritrovano senza genitori all’improvviso. Una tragedia che, all’apparenza, sembrerebbe difficile da superare: eppure l’episodio viene raccontato dal punto di vista dei giovani interpreti con sorprendente leggerezza.

Il montaggio segue il flusso dei loro pensieri; l’intento è quello di cambiare continuamente registro, tono, ritmo e intensità interpretativa. La loro vita verrà suddivisa in 12 livelli, ognuno con un grado di difficoltà crescente, di pari passo con la riscoperta del loro dolore nascosto e rinchiuso nell’antro oscuro del loro subconscio. I tempi della pellicola vengono scanditi da effetti visivi e sonori che richiamano costantemente l’universo videoludico di stampo avventuroso. Disegni ad 8-bit prendono posizione nel quadro e fungono da supporto a ragazzini che non vogliono crescere e realizzare mentalmente la perdita delle loro figure genitoriali.

Le musiche “disturbano” il cammino dei protagonisti in We Are Little Zombies

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Makoto Nagahisa dirige con rinnovata confidenza il mezzo cinematografico, contribuendo anche alla composizione della colonna sonora originale. Un’unione all’apparenza vincente che non viene perfezionata durante la stesura dei “livelli di gioco”. La partitura musicale risulta meccanica, cosparsa di digitale. Cerca in tutti i modi di sovrastare i dialoghi stabiliti dai giovani protagonisti, immettendosi nel racconto senza chiedere il permesso. Questa operazione potrebbe a lungo andare costituire un disturbo a livello narrativo, distogliendo l’attenzione dal percorso intrapreso dai ragazzi, che occupano la totalità del girato.

L’animo giocoso proviene da note leggiadre che incantano gli attori, ma questi rimangono bloccati in un limbo senza effettive diramazioni. La trama si concentra tutta nel prologo e nel primo atto, con un’introduzione efficace dei caratteri e delle loro problematiche a livello comunicativo ed espressivo. I “Little Zombies” procedono con passo sicuro verso i meandri dei quartieri malfamati, vivendo una realtà alternativa elettrizzante e fuori dagli schemi. Una canzone da loro ideata li porterà al successo garantito; questa particolare svolta rappresenta il difetto più rilevante del film.

We Are Little Zombies: l’eccesso di visionarietà che non ti aspetti

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Il tema del lutto familiare e la consapevolezza delle mancanze subite dovrebbero essere ritratte come punti focali dell’intera narrazione. Il risultato non è del tutto soddisfacente, dal momento in cui la smodata parentesi musical sconvolge gli equilibri della messinscena. Il corpo centrale del film non decolla, puntando su soluzioni visive ripetitive e senza una logica realmente giustificabile. La formazione della band non va rafforzando gli elementi fortemente drammatici sopracitati, come se il regista e sceneggiatore Makoto Nagahisa si fosse dimenticato di procedere con la caratterizzazione dei personaggi, optando invece per evoluzioni creative a livello di composizione delle immagini.

L’empatia e la coerenza nell’esposizione vengono a mancare, con uno spettatore che si ritrova bloccato in un paradosso temporale e in una sezione di trama decomposta, assorbita dall’estro creativo sconfinato di Nagahisa. Gli ultimi livelli da superare tentano di allacciarsi a un inizio scoppiettante, con gli stessi ritmi imposti, ma ormai è troppo tardi. L’eccesso di estrosità e fantasia sotto il profilo visivo-sonoro depotenzia la carica emotiva che poteva essere rilasciata a piena potenza da una cerchia di attori affiatati. Un’occasione davvero sprecata.

Regia - 3.5
Sceneggiatura - 2
Fotografia - 3.5
Recitazione - 2.5
Sonoro - 4
Emozione - 2.5

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