We Can Be Heroes: recensione del film Netflix di Robert Rodriguez
I supereroi della Terra vengono catturati da una temibile stirpe aliena. Toccherà ai loro figli salvare i genitori e il mondo, imparando l'importanza del gioco di squadra.
Come diceva David Bowie: “Possiamo essere eroi / solo per un giorno”. Il nuovo film di Robert Rodriguez prende in prestito una delle canzoni più famose del Duca Bianco e ci costruisce attorno una storia, ancora una volta (come la trilogia Spy Kids) dedicata a tutta la famiglia. We Can Be Heroes – disponibile su Netflix dal 25 dicembre – nasce come sequel di Le avventure di Sharkboy e Lavagirl in 3D (2005), ma nonostante qualche riferimento al capitolo precedente la visione non richiede particolari conoscenze pregresse.
Anche perché i supereroi di allora – tra cui InvisiGirl, Tech-No e Miracle Guy, oltre ai sopraccitati Lavagirl e Sharkboy – vengono in brevissimo tempo sostituiti da un nuovo manipolo di paladini: i loro figli, che oscillano tra i 5 e i 12 anni e che sono dotati a loro volta di poteri sovrumani. Tutti tranne uno: Missy infatti è una “normale” preadolescente, dotata tuttavia di grande carisma; una outsider, insomma, ed è proprio con lei che naturalmente scatta la prima e più immediata immedesimazione.
We Can Be Heroes: Come salvare il pianeta (e i genitori)
Col suo immaginario colorato e fumettoso, We Can Be Heroes ci racconta nelle sue prime battute come la Terra sia in pericolo: i superuomini che fino a quel momento avevano difeso il pianeta sono infatti stati tutti sconfitti e rapiti da una micidiale razza aliena tentacolare. Il mondo è allo sbando, a meno che non ci sia un repentino cambio generazionale. A prendere le redini sarà quindi un gruppo di piccoli ribelli, che invece di accettare le regole imposte dagli adulti farà di testa propria mettendo in atto un astuto piano d’emergenza.
Il campionario – tra gemelli capaci di andare avanti e indietro nel tempo, ragazzini dagli straordinari poteri elastici e bimbe in grado di manipolare l’acqua dandogli qualsiasi forma – è molto ben assortito, ma non propriamente affiatato. I problemi verranno a galla nel corso del loro addestramento, e curiosamente saranno gli stessi che affliggono i grandi, incapaci di coordinarsi e di sbrogliare sull’astronave la matassa relativa al loro rapimento. La questione è chiara: mettendo l’ego e gli interessi personali prima del lavoro di squadra, il fallimento è assicurato.
L’unione fa sempre, ma proprio sempre, la forza
Nonostante a tratti sia troppo infantile persino per il suo pubblico di riferimento (e nonostante un abuso di green screen e di effetti speciali approssimativi che smorza la credibilità dell’insieme), il film di Rodriguez scorre rapido e lascia una piacevole e appagante sensazione di freschezza, consegnando al pubblico una vicenda con un importante insegnamento morale: ogni generazione è sempre un miglioramento della precedente, ma non è sufficiente essere potenti e “magici” se non si usa la forza tutti assieme, aiutandosi vicendevolmente.
Per quanto poi il target sia ovviamente quello pre-teen (altrimenti detto tween), la sceneggiatura di We Can Be Heroes non disdegna alcune strizzate d’occhio al pubblico più maturo con un pugno di battute al vetriolo dedicate al Presidente degli Stati Uniti, su tutte «Presto, chiama il Presidente!», «È mezzogiorno, starà ancora dormendo» e «Come ha fatto questo tizio a diventare Presidente? Non sa mettere insieme neanche due frasi!». Ogni riferimento a fatti o persone realmente esistenti non è puramente casuale. Il risultato è un film indubbiamente edificante e buonista, ma con un’anima e un’energia per nulla scontate.