Venezia 74 – West of Sunshine: recensione del film di Jason Raftopoulos
Il rapporto tra padre e figlio viene sviscerato in West of Sunshine, il film di Jason Raftopoulos presentato a Venezia 74.
West of Sunshine è un film australiano, presentato alla 74ª Mostra del Cinema di Venezia in concorso nella sezione Orizzonti. Jason Raftopoulos dirige una pellicola che si concentra sul rapporto difficile che intrattiene un padre con il figlio, interpretata da Damian Hill, Ty Perham, Kat Stewart, Tony Nikolakopoulos e Arthur Angel.
La trama di West of Sunshine si srotola nell’arco di un giorno. Jim è un uomo pieno di debiti, preda delle scommesse e del gioco, che dovrà restituire una somma ingente a uno strozzino prima che sia troppo tardi. Jim è separato e l’ex moglie, ignara delle sue criticità, gli affida il figlio Alex per un giorno. Il loro rapporto, incrinato e algido, verrà ancor più messo in discussione dagli accadimenti e da sfortunate dinamiche che vorticosamente porteranno la vita di Jim a un bivio, in cui scegliere diventa un’urgenza assoluta per il suo futuro.
West of Sunshine racconta della possibilità di riscattarsi, indagando sull’uso del libero arbitrio
L’opera prima del regista Raftopoulos tiene ben salda l’intuizione che pervade tutto il film dall’inizio alla fine, ovvero la possibilità di scegliere, di riscattarsi, indagando sull’uso del libero arbitrio. Il sentimento che lega Jim ad Alex sembra cambiare letteralmente fisionomia, nonostante i loro ruoli non cessino di essere quelli di padre e figlio. Ma il trauma che porta Jim a quel distacco, a quel rigetto, e contrariamente a spendere tutto sé stesso nel gioco, pone le sue basi nell’abbandono che lui stesso ha subito. Il gioco è uno strumento che viene abusato da Jim per liquidare la propria memoria, depauperare ogni esperienza, così da dilatare unicamente l’attimo del gioco, ovvero della vincita. Uno schiacciamento temporale che in un certo senso si ritrova con l’idea del film di traslarsi in 24 ore di redenzione.
Jim oltrepasserà ogni limite, come padre, come marito, come figlio e come uomo incapace di gestire le proprie emozioni. Vivrà momenti che capovolgeranno ogni sua certezza, avvicinandosi al figlio che ha tenuto spesso ben a distanza da sé, mettendolo in pericolo e accorgendosi di quanto piccoli gesti ed esperienze frivole valgano tantissimo a livello personale, intimo. Una scena irrimediabilmente carezzevole è il momento in cui padre e figlio si siedono durante gli ultimi attimi di luce di Melbourne e si tagliano i capelli, malissimo, a vicenda.
West of Sunshine senza fardelli etici o smisurate retoriche racconta una storia che riflette un disagio generazionale
Nel film non mancano momenti poetici, simbolici che mostrano di come a volte si possa parlare per astrazione senza rischiare di essere vuoti o inespressivi. Nell’ora e un quarto di durata la narrazione a tratti perde lucidità e consequenzialità, forse perché il regista desidera davvero concentrarsi su Jim e Alex, in quanto insieme apprenderanno quale sarà il loro avvenire; giacché i problemi paterni di Jim non partono davvero dal loro rapporto, ma dal rapporto che egli intrattiene con sé stesso. Alex è un uomo in lotta con la parte inetta di sé, incapace di perdonarsi, di ricostruire la propria vita abbracciando il presente. Un uomo schiavo dei propri demoni e che non crede di meritare gioia.
West of Sunshine regala istanti crudi, spensierati, alienati, scanzonati. Nonostante la prevedibilità di alcune scene e la confusione nella connessione di altre è una pellicola che lascia qualcosa di concreto nella coscienza dello spettatore, che senza fardelli etici o smisurate retoriche racconta una storia che riflette un disagio generazionale.