Wil: recensione del film Netflix di Tim Mielants
La recensione di Wil, il film Netflix per la regia di Tim Mielants disponibile sulla piattaforma streaming dall'1 febbraio 2024.
1942, occupazione tedesca di Anversa. Hitler inizia a rendere evidente il suo progetto, conquistare l’Europa, uccidere il nemico, ebrei, comunisti, dissidenti. L’esercito nazista deve appoggiarsi agli ufficiali di polizia locali, di questo gruppo fanno parte Wil (Stef Aerts) e Lode (Matteo Simoni), non credono nella causa, anzi, hanno l’idea di appoggiare la resistenza ebrea, ma il loro compito sul campo, tuttavia, è affiancare i tedeschi, osservarli durante le retate e se c’è bisogno intervenire. Durante una retata succede qualcosa che cambia il corso delle cose. Così inizia Wil, il film – che trae ispirazione dal romanzo best seller di Jeroen Olyslaegers – di Tim Mielants che entra nel catalogo Netflix l’1 febbraio 2024.
Wil: una storia drammatica e violenta che scuote le coscienze
Ci sono dei momenti nella grande e piccola storia durante i quali l’individuo può modificare l’esistenza propria e degli altri, questo è il caso di Wil. Durante una retata ai danni di una famiglia ebrea, non esegue gli ordini ma uccide un soldato tedesco e nasconde il corpo grazie all’aiuto dell’amico.
L’ufficiale in comando, Jean (Jan Bijvoet), fa l’elenco delle dei dettami del regolamento, il principio è uno, la polizia è “mediatrice tra il nostro popolo e i tedeschi”, ma poi la realtà viene a galla, emerge ciò che pensa veramente, ciò che pensano in tanti in questo momento e in molti altri, se dovesse succedere qualcosa, qualcosa di pericoloso, la cosa migliore è “stare lì, guarda e basta”. Questo riecheggia in tutto il film. Si formano di minuto in minuto, riflessioni per l’essere umano (ma non per Wil e Lode), dubbi che pulsano nella testa. È codardia restare a guardare i nazisti all’opera, o è eroismo rifiutarsi di collaborare con loro? Come si fa ad accettare ciò a cui si assiste passivamente ma dall’altra parte la banalità del male esiste e è insita in ognuno di noi, c’è chi riesce a combatterla e chi no.
Wil e Lode non hanno molto tempo per riflettere, devono agire, non appena lasciano la stazione per la prima ronda, un soldato tedesco farneticante e drogato chiede di assisterlo nell’arresto di alcune persone che “si rifiutano di lavorare”: una famiglia ebrea, in altre parole. I giovani sono inizialmente paralizzati dalla situazione che è fuori controllo, più per la disperazione che per l’eroica resistenza da parte dei due poliziotti. Lode e Wil tornano al lavoro in uno stato di terrore paranoico, sono costretti a mantenere un pericoloso doppio gioco, anche se Wil cerca di eseguire il più possibile gli ordini impartiti (“un lavoro orribile e sporco che vi fa diventare uomini”, si dice) eppure l’umano bussa alla porta della coscienza. Non è finita, Wil è anche il racconto di una storia d’amore, il protagonista si innamora di Yvette (Annelore Crolett), sorella coraggiosa di Praise.
Partendo da questa notte dolorosa e tragica, Mielants esplora la città occupata, segue e insegue Wil e Lode. Wil si trova in più di un’occasione di fronte ad un bivio e cerca strade alternative per divincolarsi dal prendere posizione sull’occupazione.
Un protagonista tra dubbi e scelte difficili da prendere
Inizia a lavorare per salvare vite ebraiche ma non è una scelta definitiva perché quegli anni sono tumultuosi e violenti, spaventosi e sanguinari, tutto si complica maggiormente di ora in ora e tutto si ridisegna e si riscrive. Il film ha una visione lucida riguardo ai crudeli compromessi tra occupazione e collaborazione, ma è anche fatalista perché spesso l’uomo finisce per crogiolarsi nel proprio senso di colpa e nella propria disperazione. Questa è una verità oscura, e non necessariamente una di quelle che qualcuno ha bisogno di sentire, eppure il film si barcamena quasi come seguisse il pensiero del protagonista e di chi ha vissuto quei drammatici anni, tra attimi tensivi e forti e una stantia prosecuzione del progetto nazista, tra momenti di coraggioso ribaltamento della realtà e costretta condivisione dell’ideologia.
Persone, situazioni, reazioni mettono in dubbio ogni cosa per Wil che continua a tenere per sé molte cose che pensa e “dice” una verità parziale mediata dalla paura, dalla necessità di vivere.
È forte la scelta di realizzare un thriller sull’Olocausto scegliendo come protagonista un uomo che rifiuta di prendere posizione. Mielants fa reggere tutto sulle spalle di Wil e di Lode, carica in modo efficace ogni scena e dialogo con una minaccia implicita di ciò che potrebbe succedere. Will è un film teso, oscuro e spaventoso, girato in modo claustrofobico in proporzioni squadrate con lenti che offuscano il bordo dell’inquadratura che in parte risulta forte, dall’altra si scontra con una narrazione lenta e a tratti faticosa.
Wil: conclusione e valutazione
Wil, tra il grigio e il seppia, i volti smunti, le risate delle SS, lontane da ogni barlume di umanità, è un film che mostra una storia drammatica, difficile, una delle più tristi pagine dell’umanità, pone al centro contraddizioni e dubbi del protagonista, schiacciato da un peso insopportabile. Salvati, sacrificati, scappa, questa è la direttrice su cui si muove Will e di minuto in minuto, di scena in scena lui cambia e ricambia strada, riflette su ciò che ha fatto, su ciò che potrebbe fare, si riposiziona, cancellando ciò che ha appena fatto. Le sensazioni umane di Wil (personaggio) non sono legate all’archetipo dell’eroe, e anzi sono strutturate per crescere in base agli eventi, lui cambia, modifica, spariglia le carte anche e forse soprattutto rispetto a ciò che gli altri fanno. Wil è un film disperato e drammatico ma che in certi punti si attorciglia su di sé, si perde a causa del minutaggio, è un’opera che sembra essere riuscita più in quanto thriller che in quanto cronistoria di fatti realmente accaduti – si sottolinei che Wil non è una storia vera ma i fatti inevitabilmente fanno riferimento a ciò che è accaduto.