TFF38 – Wildfire: recensione del film di Cathy Brady

Presentata al TFF38 Wildfire è l'opera prima di Cathy Brady, un'eclissi temporale che attraverso il dramma familiare illustra la recente evoluzione del conflitto irlandese.

Presentato al Festival di Toronto e al BFI London Film Festival Wildfire è il primo lungometraggio scritto e diretto da Cathy Brady, premiata con il IWC Schaffhausen Filmmaker Bursary Award. Nell’opera prima della regista il passato e il presente dell’Irlanda si fondono nella performance allegorica di Nika McGuigan e Nora-Jane Noone, le sorelle Kelly e Lauren, che nell’elaborazione della perdita manifestano la volubilità di un passato destinato a ripetersi. Un eterno ritorno quello che Cathy Brady ritrae attraverso le psicosi delle sue protagoniste, conosciute singolarmente in alcuni dei suoi progetti precedenti e fortemente volute a collaborare sullo schermo. È stato l’urto provvidenziale delle loro energie a mettere in moto quel processo organico che ha portato la regista, e il produttore Carlo Cresto-Dina, a trasformare sensibilmente il soggetto adeguandolo alla storia presente dell’Irlanda post-Brexit. L’incipit di Wildfire è una drammatica pagina di cronaca che procede per immagini dall’intensa carica emotiva, una finestra sulla sorte di un paese che a più di vent’anni dalla fine del conflitto nordirlandese vede riaprirsi vecchie ferite mai del tutto lenite.

Wildfire: il confine invisibile tra ossessione familiare e identità civile

Il 10 aprile 1998 il Good Friday Agreement (Venerdì Santo) mise fine al conflitto nordirlandese, conosciuto come The Troubles, la guerra “a bassa intensità” che dagli anni sessanta alla fine degli anni novanta del XX secolo coinvolse l’Irlanda del Nord. Con l’accordo di pace veniva stabilita la parità delle due comunità, cattolico-nazionalista e unionista-protestante, la prima fermamente britannica e legata al Regno Unito, la seconda indiscutibilmente irlandese e propensa alla riunificazione con la Repubblica d’Irlanda. Una pace dormiente che la Brexit (dall’inglese Britain exit), il processo che ha posto fine all’adesione del Regno Unito all’Unione Europea, ha risvegliato incrinando la fragile architettura che manteneva l’armonia attraverso la condivisone dei poteri e i confini aperti tra le due Irlande. Un sottotesto politico che la regista Cathy Brady non aveva previsto nel disegno iniziale di Wildfire ma che, complici gli avvenimenti recenti, si è rivelato il decorso più naturale per una storia concreta e coerente con il presente storico in atto.

Dopo un anno dalla sua misteriosa scomparsa Kelly (Nika McGuigan) fa ritorno nella città natale e cerca conforto nella sorella Lauren (Nora-Jane Noone), ancora fortemente turbata dal suo allontanamento. Le sorelle, legate nel ricordo della dolorosa perdita della madre morta suicida durante la loro infanzia, faticano a metabolizzare il lutto alienandosi dalla realtà circostante con conseguenze nefaste sui loro rapporti professionali, familiari e sociali. Il rapporto viscerale di Kelly e Lauren emerge in maniera prorompente sullo schermo, un magnetismo dovuto alla densità emotiva dei loro sguardi e ai ricordi che acquistano vividezza nei continui flashback della memoria. Un cappotto rosso, simbolo di una ciclicità sfumata tra passato e presente, diventa emblema di un’ossessione tramandata, di un confine abitabile in cui i contorni esistenziali si fanno fluidi accogliendo e indossando un nuovo passato prossimo.

La fotografia di Cristel Fournier è una carezza livida sui volti delle sorelle

La fotografia invasiva ma non invadente ritrae la duplice natura dei paesaggi, un’ambiguità simultanea che sembra permeare ogni strato della narrazione. Le due sorelle incarnano le due fisionomie dell’Irlanda, una ancorata al passato, infestata visibilmente dai fantasmi e dalle ombre insolute, l’altra protesa al futuro seppur profondamente cambiata. Un auspicio forse, quello di ricordare dimenticando, prendere atto coscientemente delle tensioni, delle verità fumose, familiarizzare con il non detto, edificare nuove apparenze tangibili agli occhi di una comunità sempre pronta a relegare nella follia ogni manifestazione del passato ricorrente.

È qui che la regia risente di una sceneggiatura di superficie, frettolosa e lacunosa: la presenza scenica delle due protagoniste è impetuosa ed irruenta ma non basta a colmare quel sostrato del non detto che, se nel primo atto della narrazione si intensifica attraverso i ricordi, nell’epilogo si esaurisce in maniera epidermica ma inconsistente. L’ossimoro, nella convulsa delicatezza della lente di Cristel Fournier, si fa ancor più intollerabile alla notizia della recente scomparsa di Nika McGuigan. L’attrice, da anni malata di leucemia linfoblastica acuta, è scomparsa poco dopo la fine delle riprese a soli 33 anni: è a lei che Cathy Brady dedica la pellicola, nel ricordo del suo incredibile talento.

Regia - 3
Sceneggiatura - 2
Fotografia - 3
Recitazione - 3
Sonoro - 2
Emozione - 3

2.7