Cannes 2018 – Wildlife: recensione dell’opera prima di Paul Dano
Wildlife è un affresco statico, come le foto scattate dal giovane Joe, di una famiglia messa in trappola dalle sue stesse insicurezze, sotto gli occhi di un ragazzino che è l'unico autorizzato a rimanere passivo.
La Semaine de la Critique di Cannes 2018 si apre con Wildlife, opera prima da regista per l’attore americano Paul Dano (Litte Miss Sunshine, Il petroliere, Prisoners, Okja). Un ritratto familiare dai vari spunti allegorici, a partire dagli Incendi (titolo del romanzo di Richard Ford dal quale il film è tratto) che imperversano attorno e dentro i protagonisti, alle prese con una tempesta emotiva difficile da placare.
In Wildlife, Jerry (Jake Gyllenhaal) e Jeanette (Carey Mulligan) sono una giovane coppia con un figlio di 14 anni, Jo (Ed Oxenbould). Lei insegnante ipercontrollante, lui lustrascarpe presso un club di golf, la situazione precipita quando Jerry perde il lavoro e si rifiuta di riprenderlo per orgoglio, quando la donna va a fare pressione al suo capo per conto suo. Segue un periodo di stallo, in cui Jerry non sa cosa fare della sua vita ma non vuole cedere all’invadenza della moglie, convinta di poter risolvere le cose per tutti ma forse inconsapevole di quanto i suoi modi umilino l’uomo, determinato a trovare da sé la propria strada.
Un vasto incendio, spiccato dall’altra parte del Paese, è l’occasione per Jerry di poter tornare a guadagnare sentendosi utile, anche se ciò comporta un lungo allontanamento da casa. Jeanette non ne vuole sapere di tale iniziativa, sentendosi abbandonata e frustrata per non essere riuscita a far valere le proprie ragioni col marito, e la separazione fisica della coppia finisce per rappresentare il preludio di una frattura ben più profonda, mentre Joe diventa spettatore passivo del disfacimento della propria famiglia.
Wildlife: un incendio emotivo dal quale è difficile mettersi in salvo
Il titolo scelto da Paul Dano, per il suo esordio alla regia, esplicita sottilmente il senso di un film la cui trama superficiale non offre tutte le risposte necessarie a comprenderlo e apprezzarlo a fondo. Quando Jeanette porta Joe al confine dell’inizio dell’incendio, che il padre è impegnato ad estinguere, il ragazzino le chiede che ne sarà degli animali che popolano il bosco in fiamme. La risposta è che alcuni riusciranno a fuggire, mentre i più piccoli e paurosi saranno destinati a morire arsi vivi. Esattamente ciò che succede a questa famiglia che non sa dialogare, in cui un uomo poco coraggioso di far valere le proprie ragioni non riesce a relazionarsi con una donna non disposta a cedere, ma che finisce per rendere se stessa la reale causa della fine del matrimonio.
Jeanette è un personaggio complesso e volitivo, ma che nasconde una profonda fragilità. Pe paura di perdere il marito (o il controllo sul marito) per sempre decide di tradirlo in sua assenza con un uomo più anziano e che non ama, solo per non dover prendere in considerazione l’ipotesi di dover soffrire, attaccando per prima con lo scopo di non rimanere sopraffatta dalla possibile catastrofe. Come le creature che popolano il bosco (wildlife) scappa ma nella direzione sbagliata, restando coinvolta nel suo stesso rogo emotivo.
Wildlife è un film in cui ogni personaggio e vittima di un’emotività che sovrasta il raziocinio, elemento reso sapientemente dalla regia di Dano, tesa a mettere in risalto prima le reazioni e poi i fatti, secondari all’impatto interiore devastante vissuto dai protagonisti. Il risultato è una sorta di Revolutionary Road forse immaturo, per certi aspetti, ma che mostra il talento nascente del suo regista (già ampiamente dimostrato nella recitazione), anche dietro alla macchina da presa.
Un affresco statico, come le foto scattate dal giovane Joe, di una famiglia messa in trappola dalle sue stesse insicurezze, sotto gli occhi di un ragazzino che è l’unico componente autorizzato a rimanere passivo, affrontando il dolore della sconfitta con i mezzi a sua disposizione, senza smettere di sperare che il puzzle possa tornare completo.