Windfall: recensione del thriller Netflix con Lily Collins
Lily Collins, Jason Segel e Jesse Plemons sono i protagonisti del thriller da camera diretto da Charlie McDowell. Disponibile su Netflix dal 18 marzo 2022.
Prendi tre attori del calibro di Lily Collins, Jason Segel e Jesse Plemons, una sceneggiatura firmata tra gli altri dall’Andrew Kevin Walker di Seven e 8mm – Delitto a luci rosse, la regia di un figlio d’arte di talento come Charlie McDowell (suo padre è niente po’ po’ di meno che Malcolm McDowell), ed ecco che il gioco è fatto. Con ingredienti di questo tipo è facile aspettarsi una portata di tutto rispetto, servita in esclusiva per gli abbonati di Netflix a partire dal 18 marzo 2022 con il titolo Windfall.
Windfall mescola echi di un cinema classico vecchia scuola con quelli moderni dell’home invasion
Quello in questione è uno dei film di punta e di conseguenza più attesi del mese, che porta sulla piattaforma a stelle e strisce un’opera in cui si mischiano senza soluzione di continuità gli echi di un cinema classico vecchia scuola (su tutti Alfred Hitchcock) con quelli più strettamente moderni dell’home invasion. Un mix, questo, che sorregge le fondamenta e le mura portanti tanto della confezione estetico-formale quanto dell’architettura narrativa e drammaturgica di un thriller da camera, che fa dell’unità spazio-temporale il proprio cuore pulsante. Ed ecco che in una sola location, una lussuosa casa di villeggiatura tra i frutteti californiani nella contea di Ojai, a nord ovest di Los Angeles, si consuma una guerra psicologica fra tre personaggi alle prese con una battaglia verbale senza esclusione di colpi bassi e non solo, dove tutti, o quasi, ne escono con le ossa rotte. Oggetto della contesa tra un ladro per caso che finisce per diventare un sequestratore, un arrogante e cinico uomo d’affari e la tormentata moglie, un fitto e acceso scambio di idee in merito a questioni legate ai rapporti di coppia, all’economia contemporanea e ai divari sociali.
In Windfall le mura e gli spazi verdi di una residenza persa nel nulla diventano lo scenario di un “gioco al massacro”
L’esito è una convivenza forzata in un ambiente circoscritto che astrattamente assume le sembianze di un ring. Qui, tra le mura e gli spazi verdi di una residenza persa nel nulla, si consuma un “gioco al massacro” che richiama alla mente, seguendo altre traiettorie narrative e tematiche (con tutte le distanze del caso), un incrocio pericoloso tra il Carnage di Roman Polański e L’angelo sterminatore di Luis Buñuel. Dal primo, in particolare, prende in prestito l’impianto teatrale e lo scontro dialettico tra le pedine coinvolte, mentre dal secondo la cornice topografica che si tramuta in una trappola dalla quale si potrebbe ma non si riesce ad evadere. Chi pensava invece a possibili analogie con Funny Games dovrà presto ricredersi, perché al sadico e crudo gioco del gatto con il topo in un ambiente circoscritto alla Michael Haneke, McDowell preferisce un “combattimento” all’insegna del politicamente scorretto con frecciate di humour nero.
Windfall punta su un impianto di tipo teatrale, laddove lo spazio scenico tridimensionale della villa diventa il palcoscenico della contesa
Per la sua opera terza, il regista di Los Angeles, che oltre a lungometraggi conta all’attivo anche dei tv movie e degli episodi di serie, punta su un impianto di tipo teatrale, laddove lo spazio scenico tridimensionale della villa diventa il palcoscenico della contesa. L’unica topografia a disposizione è di fatto la componente che stabilisce le regole d’ingaggio in una “pièce” sorretta più che dalle azioni, dalle dinamiche e dai dialoghi continui tra i personaggi. Fortuna di McDowell che il terzetto chiamato in causa sia formato da interpreti capaci di farsi carico del duro compito a loro assegnato, altrimenti per Windfall le cose si sarebbero complicate ulteriormente. Si perché quello che scorre sullo schermo, al di là dei risvolti più o meno imprevedibili, ha nella tensione che si viene a creare tra i personaggi l’arma di distrazione di massa per tenere occupato lo spettatore di turno, altrimenti orfano e privato di quelle che per il thriller rappresentano la linfa vitale, ossia la suspence e gli intrighi da svelare. Questi qui si riducono ai minimi termini nonostante l’impegno profuso rispettivamente da chi ha lavorato dietro e davanti la macchina da presa. E ciò che resta ha il sapore inconfondibile dell’occasione persa, quella di regalare al pubblico un film in grado di tenere incollati alla poltrona.