Within – Presenze: recensione del film con Michael Vartan
Within - Presenze procede su binari rodati e abbastanza prevedibili, ma riesce a stupire con un finale molto più cupo e angosciante di quanto ci si possa immaginare.
Within – Presenze è un film del 2016 diretto da Phil Claydon (Lesbian Vampire Killers) e interpretato da Erin Moriarty (Captain Fantastic), Nadine Velazquez (My Name Is Earl) e Michael Vartan, noto principalmente per il suo ruolo di Michael Vaughn in Alias. È inoltre presente con un piccolo cameo JoBeth Williams, celebre soprattutto per i suoi ruoli da protagonista in Poltergeist – Demoniache presenze e Il grande freddo.
John Alexander (Michael Vartan) si trasferisce in una splendida e spaziosa casa insieme al suo nucleo familiare, composto dall’adolescente Hannah (Erin Moriarty) e dalla moglie Melanie (Nadine Velazquez), sposata in seconde nozze dopo la morte della madre di sua figlia. Poco dopo il loro arrivo, nella casa si cominciano a manifestare strani fenomeni, che allarmano in particolare Hannah. I tre dovranno fare i conti con un’inaspettata presenza e con il sinistro passato di quella che ritenevano l’abitazione dei loro sogni.
Within – Presenze: quando il pericolo si annida fra le mura amiche
A 7 anni di distanza da quel Lesbian Vampire Killers che, pur nella sua ingenuità, era stato in grado di raggiungere un discreto successo, Phil Claydon torna con Within – Presenze, un horror fiacco e decisamente modesto, basato su stereotipi triti e ritriti del genere e privo di qualsiasi spunto ironico. Nonostante i due alternativi titoli originali (Within e Crawlspace) siano ampiamente rivelatori a proposito della trama, il regista dissemina per lunghi tratti del film indizi, suggerimenti e false piste, che mantengono per buona parte della pellicola un margine di incertezza a proposito della natura dei fenomeni dalla casa, ma si rivelano niente di più che pretesti banali e campati in aria per mischiare le carte.
Fra inquietanti figuri che si aggirano nei paraggi dell’abitazione degli Alexander, animali che si comportano in maniera stramba e vicini che immancabilmente avvertono la famiglia dell’oscuro passato del posto, Claydon sfrutta confusamente dinamiche tipiche dei filoni di home invasion e case stregate, utilizzando una fotografia fredda e artificiosa, che non fa che aumentare l’effetto di straniamento dello spettatore nei confronti di quanto accade nel film. Nel momento in cui vengono finalmente svelate le carte, Within – Presenze si imbarca in una serie di impressionanti buchi di sceneggiatura e di svolte narrative al confine fra l’assurdo e il grottesco, trovando la propria ragione di esistere solo in qualche riuscito jump scare, pur nel totale disprezzo delle leggi della fisica e della logica.
Una cronica mancanza di idee e originalità
Within – Presenze procede su binari rodati e abbastanza prevedibili, ma riesce a stupire con un finale molto più cupo e angosciante di quanto immaginabile, vanificato però da un’inaccettabile precisazione nei titoli di coda, tesa a dare una connotazione sociale ed economica a eventi capaci fino a pochi minuti prima di mettere a durissima prova la sospensione dell’incredulità di qualsiasi tipo di spettatore. Tolta la riuscita figura del villain principale, misterioso e tenebroso al punto giusto, e le discrete performance dei tre protagonisti, abili a caratterizzare dei personaggi convincenti e lontani dai classici standard di nuclei familiari felici e coesi, del film rimane così ben poco da salvare.
Within – Presenze si dimostra niente di più che un mediocre prodotto di genere, mai in grado di suscitare reale interesse o emozione. Il telefonato colpo di scena della fase finale, potenzialmente scoppiettante se dato in mano a un cineasta capace come M. Night Shyamalan, diventa così il simbolo di una cronica mancanza di idee e di un film destinato a finire in breve tempo nel dimenticatoio.