Zamora: la recensione del film di Neri Marcorè
Dal 4 aprile al cinema Zamora. L’esordio alla regia di Neri Marcorè ci catapulta nella Milano degli anni Sessanta, dove un giovane e timido ragioniere cerca di sopravvivere alle partite di calcetto organizzate dal suo capo, senza conoscere le regole del gioco.
Nelle sale cinematografiche a partire dal 4 aprile 2024 Zamora, l’atteso esordio alla regia dell’artista marchigiano Neri Marcorè. La pellicola ci catapulta nella Milano glamour degli anni Sessanta, dove un giovane e timido ragioniere, proveniente dalla provincia (Alberto Paradossi), cerca di sopravvivere alle partite di calcetto organizzate settimanalmente dal capo della sua azienda. Nel cast, oltre a Marcorè, nel ruolo del mentore del protagonista, troviamo volti noti del cinema italiano, tra cui Giovanni Storti, Marta Gastini, il duo comico Ale & Franz, e Giovanni Esposito.
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Zamora: la trama del film di Neri Marcorè
Anni Sessanta. Il trentenne Walter Vismara è appagato dalla sua vita ordinaria e senza sorprese: un lavoro sicuro in una piccola fabbrica a Vigevano, le serate in famiglia a guardare i programmi televisivi a quiz, di cui lui si vanta di indovinare tutte le risposte. Quando la fabbrica nella quale lavora chiude improvvisamente, Vismara dovrà lasciare la sua cittadina per trasferirsi nella mondana e frenetica Milano, dove trova lavoro come contabile in un’azienda moderna e dinamica. Il giovane vorrebbe svolgere il suo lavoro indisturbato, ma viene coinvolto nelle obbligatorie partite di calcetto organizzate settimanalmente dal suo capo, l’imprenditore cavalier Tosetto (Giovanni Storti). Walter ha sempre disprezzato il calcio ma, non volendo rischiare il licenziamento, accetta di prender parte alle sfide settimanali come portiere della squadra degli scapoli, l’unico ruolo che conosce.
Puntualmente infastidito e bullizzato da un suo collega, l’ingegner Gusperti, che gli affibbia il nomignolo di “Zamora” (portiere spagnolo degli anni Trenta), Walter chiede all’ex atleta Giorgio Cavazzoni (Neri Marcorè), dal carattere ruvido e poco amichevole, di fargli da allenatore. Il piano di Vismara è quello di stupire tutti i suoi compagni all’attesa partita ufficiale del primo maggio, e di conquistare il cuore di Ada, sua collega (Marta Gastini).
Il calcio come metafora della vita
L’esordio alla regia di Neri Marcorè è una piacevole sorpresa. Le atmosfere curate nei minimi dettagli, i costumi, le musiche. Nulla è lasciato al caso. L’elemento più affascinante è, ovviamente, l’osservare le differenze tra il calcio oggi, servo della società dello spettacolo, e quello di ieri, più reale e meno patinato. E nessuna metafora sarebbe stata più azzeccata di quella calcistica per Walter. Un giovane che si lascia vivere, in un certo senso, senza rischiare mai nulla. Il protagonista preferisce subire in silenzio le angherie del suo collega piuttosto che reagire, così come si sente più a suo agio a perdere un potenziale amore piuttosto che esprimere i suoi sentimenti. Con l’aiuto di Giorgio, Walter capirà di non avere “le ossa di vetro”, per citare un celebre film francese, ma di possedere tutte le potenzialità per scontrarsi con la vita; non è importante che vinca o che perda ma che trovi il coraggio di rialzarsi. Il ruolo del portiere in Zamora è tutt’altro che casuale: l’estremo difensore della squadra, un solitario che, nel momento clou, è obbligato a uscire dalla sua zona comfort per diventare l’assoluto protagonista del match, nel bene o nel male.
Un altro dei temi portanti di Zamora è la relazione tra città e provincia. Nonostante la dinamicità di Milano venga ampiamente messa in mostra nel corso della pellicola, Marcorè non cade nello stereotipo che vede i comuni di dimensioni più modeste mentalmente più chiusi rispetto ai grandi centri urbani.
È da apprezzare, inoltre, la scrittura dei personaggi femminili, liberi da stereotipi e luoghi comuni. Ada, l’interesse amoroso di Walter, così come Elvira (Anna Ferrarioli Ravel) e Anna, rispettivamente la sorella e la madre del protagonista, hanno tutte una maturità e un’intelligenza emotiva di gran lunga superiore a quella dei personaggi maschili. La scena che meglio rappresenta la visione di Marcorè in tal senso è quando Elvira, la sera di Natale, confessa alla famiglia di aver divorziato dal marito, scatenando l’ira del padre ma, trovando, a sorpresa, l’appoggio completo di sua mamma. Elvira è anche il personaggio che più di tutti mette Walter di fronte alla sua immaturità: “ti basta una delusione e ti chiudi a riccio”, gli fa notare. La sorella del protagonista è una giovane donna che, dopo anni all’interno di un matrimonio infelice, ritrova finalmente la sua libertà: le uscite con le amiche, le avventure di una notte, e il senso di appagamento nel non permettere a nessuno di giudicare le sue scelte. Certo, la condizione della donna nell’Italia degli anni Sessanta era molto diversa da quella descritta nel film, ma è stata una scelta giusta, quella di Marcorè, di scrivere un’opera in cui il punto di vista femminile è forte e determinante ai fini della storia.
Zamora: conclusione e valutazione
Oltre alla già citata scenografia, e ai costumi curati nei minimi dettagli, il film di Marcorè è da lodare per le musiche originali di Pacifico, e le interpretazioni del cast. Oltre all’ottima prova di Alberto Paradossi, sono da applausi le prove attoriali di Giovanni Storti e di Giovanni Esposito, in un certo senso “de-comicitizzati” dal regista per evitare che la pellicola cadesse in un’eccessiva ilarità e mantenesse, invece, quel senso di leggera malinconia, tipica dei racconti di formazione.
Il cinema italiano sta attraversando un momento di grande splendore. Dopo lo straordinario successo di C’è ancora domani, esordio alla regia di Paola Cortellesi, le sale offrono a noi spettatori ore di grande qualità, con opere come Un mondo a parte – con Antonio Albanese e Virginia Raffaele nei panni di due maestri che cercano di salvare l’ultima scuola rimasta di un piccolo comune abruzzese –, Romeo è Giulietta – commedia romantica con una straordinaria Pilar Fogliati, nelle vesti di un’attrice in declino che si finge uomo per tornare sul palco -, e Zamora che, con delicatezza e ironia, ci trasporta nell’Italia glamour degli anni Sessanta.
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