I personaggi di Carlo Verdone: uno spaccato di vita e ilarità
I personaggi memorabili della filmografia di Carlo Verdone nati dall'osservazione della realtà.
Uno degli attori e registi viventi più amati del panorama italiano: è difficile non volere bene a Carlo Verdone, figlio della migliore commedia all’italiana. 40 anni di cinema e 27 film da regista all’attivo a cominciare da quel gioiellino di Un sacco bello nel 1980 al quale seguiranno i successi intramontabili di Bianco, rosso e Verdone, Borotalco, Acqua e sapone e Troppo forte per citarne alcuni.
Per Carlo Verdone il mondo che lo circonda è una fonte inesauribile di ispirazione: un attento osservatore delle persone, dei loro tic, delle fissazioni, delle loro ossessioni. È nota a tutti la sua tendenza a “captare” per strada, nelle farmacie, nei bar del suo quartiere, negli uffici postali, delle strane parlate o degli atteggiamenti comici nella gente. Da qui nascono i personaggi memorabili nel cinema di Carlo Verdone con le loro frasi tormentone, le loro rocambolesche avventure, un misto tra comicità e malinconia che fanno del suo cinema una toccante e spassosa commedia umana. Personaggi di una Roma ancora popolare che arrivano come una ventata di freschezza dopo un periodo non troppo esaltante del nostro cinema, quello delle ultime “cartucce” dei polizieschi, dei thriller e della commedia sexy anni ’70 che avevano ormai superato il loro periodo d’oro.
Verdone spazza via il decennio precedente, ripulisce la città e riparte dai personaggi che non sono orfani di una stagione di contrasti politici e sociali, ne sono immuni, avendo trascorso quegli anni nei teatrini, allora rigorosamente off, e in televisione. Al regista romano, è evidente, interessano i volti, la mimica, il linguaggio, i modi di dire, le inflessioni dialettali, i tic, le ossessioni di quegli attori sconosciuti che si esibiscono ogni giorno per pochi eletti sul palcoscenico della vita
si legge nella monografia Carlo Verdone – L’insostenibile leggerezza della malinconia a cura del critico Enrico Magrelli.
Riscopriamo, allora, alcuni dei personaggi più significativi della filmografia di Carlo Verdone
Il pedante – Furio, Raniero e Callisto
Il pedante è uno dei personaggi più riusciti di Verdone con le sue nevrosi, i tic e le espressioni forbite che il regista immortalerà in tre film in particolare, in tre personaggi con sfumature diverse ma costruiti sulla stessa falsariga, come accadrà anche per gli altri tipi. Il primo è l’iconico Furio Zoccano di Bianco, rosso e Verdone (1981): logorroico, ansioso, paranoico e ipocondriaco. Si perde in lunghi ragionamenti che non importano a nessuno, è fiscale per quanto riguarda gli orari e l’uso dei bagni pubblici “distributori automatici della salmonellosi”, ha un’espressione inquietante a tratti mefistofelica.
La domanda ossessiva rivolta alla moglie: “Magda tu mi adori? Allora vedi che la cosa è reciproca?” è una delle frasi del repertorio verdoniano entrata nel linguaggio comune. Furio è l’incubo di Magda la quale, raggiunti livelli di esaurimento impensabili, manifestati con il tormentone “Non ce la faccio più!”, lo lascerà scappando con un affascinante playboy. Furio ha tutto sotto controllo: il gas e le persiane chiuse prima della partenza, una tabella di marcia da rispettare, i documenti, i succhi di frutta e i sandwich, le valigie ben posizionate nel bagagliaio dell’auto e tormenta l’ACI, di cui è socio, con quesiti assurdi sulla viabilità.
Un personaggio, a detta dell’attore, che è un incrocio tra suo zio Corrado, sempre a mille e meticoloso, e un professore, un latinista rigoroso che frequentava casa Verdone. Un soggetto che Sergio Leone, produttore di Bianco, rosso e Verdone e pigmalione di Verdone, non sopportava, convinto che Furio non facesse ridere e che sarebbe stato odiato dal pubblico. Come racconta Carlo Verdone durante un’intervista, il regista e produttore per testare la reazione al film prima dell’uscita nelle sale e dimostrare che aveva ragione, organizzò una proiezione privata con degli spettatori molto speciali: Alberto Sordi e Monica Vitti. I due attori, smentendo la previsione di Sergio Leone, apprezzarono tantissimo Furio, entusiasti di quel marito folle e impossibile.
Questo personaggio tornerà al cinema in nuove vesti nel 1995 in Viaggi di nozze: qui è il dottor Raniero Cotti Borroni, un luminare della medicina, ossessionato dal lavoro, disponibile 24 ore su 24 al cellulare per i suoi pazienti ai quali propina puntuali diagnosi e prescrizioni di medicinali. Raniero ha dei tratti inquietanti rispetto a Furio: la prima moglie Scilla si è suicidata e con la timida e fragile Tosca (Veronica Pivetti), sua novella sposa, organizza una luna di miele simile a quella trascorsa con la moglie defunta. Raniero è così opprimente da causare numerose crisi a Tosca che sin da sopra l’altare si rende conto di aver commesso un terribile (e fatale) errore a sposarlo. Anche lui come Furio è abituato a programmare tutto ma in una maniera più angosciante: programma la posizione delle loro tombe nella cappella di famiglia, la paragona continuamente a Scilla tanto da farle indossare i suoi abiti e organizza puntualmente il loro primo rapporto sessuale continuando a parlare al telefono durante.
Carlo Verdone riprenderà Furio e Raniero nel 2008 in Grande, grosso e… Verdone una sorta di revival di Bianco, rosso e Verdone: qui è il professore Callisto Cagnato, docente universitario in storia dell’arte con delle sfumature da film horror che terrorizza il figlio Severiano e la fidanzata Lucilla con le sue manie. Metodico, maniacale, finto benpensante che va a prostitute: un folle che vuole controllare la vita di chi gli sta accanto. Un personaggio totalmente odioso e privo di quella vena squisitamente comica da rimanere meno impresso nella memoria collettiva.
Il coatto nei film di Carlo Verdone
Uno dei cavalli di battaglia di Carlo Verdone è ovviamente il romano verace che ha immortalato in film come Un sacco bello, Troppo forte, Viaggi di nozze e Gallo Cedrone. Forse il personaggio più amato dal grande pubblico perché parodia irresistibile dei tanti coatti che si incontrano nei quartieri popolari di Roma o si incrociano in centro intenti ad abbordare qualche bella ragazza, magari una turista, con qualche frase, come direbbe lo stesso Verdone, “da fischi”. “Il coatto inventa, la borghesia non ha inventato niente” ha più volte affermato il regista che nel quartiere Campo de’ Fiori dove bazzicava da giovane ha attinto fedelmente alle numerose spacconaggini, frasi divertenti, atteggiamenti da bulli dei coatti “per eccellenza”.
Il primo a fare capolino nella sua filmografia è Enzo in Un Sacco bello il finto bullo che in una Roma deserta di ferragosto si tira a lucido per un avventuroso viaggio in Polonia in compagnia di Sergio, un amico demotivato che appena fuori città avrà un malore e finirà in ospedale. Qui Enzo intratterrà senza tregua infermieri e portantini con i racconti di sue improbabili avventure, millantando conquiste e grandi imprese.
Come Oscar Pettinari in Troppo forte attore spiantato che tenta di mantenersi facendo lo stuntman in film minori venendo puntualmente scartato. Anche lui ai suoi colleghi ricorderà inverosimili episodi “epici” come quando morso da una non ben precisata bestia tropicale durante le riprese di un film gli vengono iniettati 12 sieri:
Come ve ‘a spiegate ‘sta resistenza ai sieri, daje, come te ‘a spieghi? È che c’ho l’anticorpi coi controcojoni c’ho! Ma magari me venisse l’AIDS, la sdereno in du’ ore, che ore so’? E 10 e mezzo, a mezzogiorno e mezzo l’ho sventrata!
Quello che accomuna questi personaggi è una mitomania di fondo, una sorta di via d’uscita da un’esistenza che non li soddisfa: in Enzo e Oscar è facile, infatti, scrutare quella malinconia, anche quella tenerezza, che caratterizza il cinema di Verdone e quindi tanti altri suoi personaggi. Fragili anche se vogliono mostrarsi vincenti – infatti agli occhi degli altri non lo sono affatto e vengono spesso derisi – disperati in cerca di compagnia, non per forza di una donna ma anche di un amico con il quale intraprendere un viaggio che sia in Polonia o a Ladispoli, imitazione comica del macho, dell’uomo che non deve chiedere mai e che non saranno mai.
Il mitico Ivano di Viaggi di nozze, personaggio ripreso con il nome di Moreno in Grande, grosso e … Verdone, rappresenta invece quel coatto che in qualche modo ce l’ha fatta, perlomeno agli occhi dei suoi amici e parenti: di famiglia arricchita, sposa la bellissima Jessica, la sua versione femminile, con la quale “ ‘o fa strano” ascoltando musica rock.
Tante sono le scene e le frasi memorabili che ci ha regalato questo personaggio: la cerimonia di nozze trash, il sesso in auto a 220 km orari, le disquisizioni sul nome da dare ai figli. Dietro questa facciata sfrontata tipica del coatto anche Ivano nasconde insoddisfazione e frustrazione: ha provato e fatto di tutto e sembra non rimanergli più niente da inventare, da vivere: neanche la visione di una stella cadente gli fa venire in mente un desiderio da esprimere. Anche con Jessica sembra finito tutto: “Ci conosciamo troppo, non c’è più un segreto” gli dice la moglie che sembra non provare più attrazione per lui. Nel finale del film, di ritorno a casa dopo la luna di miele, infatti, subentra tra i due l’apatia e la noia, non avendo neanche voglia, come al loro solito, di fare l’amore.
Armando Feroci in Gallo Cedrone è l’irriducibile coatto che se per certi versi fa ridere, per la stragrande maggioranza delle azioni che compie, delle situazioni in cui si trova, imbarazza e fa tristezza. Non più quindi la tenerezza che si prova verso Enzo o Oscar, personaggi che accoglieremmo con simpatia nella nostra compagnia di amici. Armando Feroci è, invece, l’amico del quale ci vergogniamo, volgare e meschino: quello che per uno scherzo di cattivo gusto fa venire un aborto spontaneo alla compagna, o quello che quando una donna che abborda per strada lo ignora la insulta pesantemente, quello che ha una storia con la moglie del fratello e che in un paese nord africano facendo delle becere avance a una donna del posto viene per questo condannato a morte da un gruppo integralista islamico. Un tipo di italiano, non quindi unicamente un coatto, che ancora purtroppo ritroviamo nella nostra società. “L’Italia è piena di Armandi che citano a sproposito Dante e imitano ancora Elvis” – ha spiegato Verdone in un’intervista – “poi cercano di crescere ma non ce la fanno a fare “il sorpasso””.
Il bambinone
Tra le ispirazioni captate da Verdone nel quotidiano c’è un vicino di casa dell’infanzia, Stefano: “Un ragazzo di grande poesia” a detta del regista che ha “riversato” nei personaggi di Leo di Un sacco bello e di Mimmo di Bianco, rosso e Verdone (che ritorna, ma non in maniera memorabile, in Grande, grosso e… Verdone). Il “bambinone” è goffo, tenero e ingenuo, parla sempre con un tono di voce alto e ha lo sguardo perso nel vuoto quando riflette intensamente su qualcosa.
La tenerezza provata da Verdone verso il vicino Stefano è la stessa che il pubblico prova verso questi due personaggi: Mimmo con l’inseparabile nonna (Sora Lella) che deve accompagnare a Roma per le elezioni, urla come un bambino per chiamarla, un urlo che ha fatto storia, le chiede consigli, si lamenta dei suoi dolori alle gambe – “E allungaje ‘e gambe, e ripiegaje ‘e gambe, aristendije ‘e gambe, aritiraje ‘e gambe, aricoprije ‘e gambe…io jee tajerei quee gambe!” – e quando non comprende una cosa con gli occhi al cielo chiede: “In che senso?”, due battute entrate ormai a fa parte del linguaggio comune. Come il “Marisool” di Leo e la sua ossessione per Ladispoli dove deve raggiungere la madre per Ferragosto.
Mimmo e Leo a uno sguardo superficiale potrebbero apparire come due semplici macchiette nel repertorio di Verdone che invece li ha dotati di una poesia, e spesso di una saggezza, che non si ritrovano nei suoi personaggi più navigati.
Avviene, per esempio, in Bianco, rosso e Verdone quando Mimmo e la nonna cercano invano in un cimitero la tomba del figlio di un’amica dell’anziana del quale non ricorda il nome. Una ricerca che si rivelerà rocambolesca e che prenderà presto una piega commovente: quando la nonna incrocia una bellissima tomba esprime al nipote il desiderio di averne una uguale alla sua morte scatenando l’ira di Mimmo che non vuole pensare a una tale circostanza. Cosa che però avverrà poco dopo quando la nonna morirà nella cabina elettorale tra la disperazione di Mimmo e l’indifferenza dei membri del seggio intenti a litigare sulla validità della scheda: Mimmo sgomento e schifato dall’insensibilità di quelle persone scappa via piangendo. Una delle scene più strazianti della filmografia di Verdone che dimostra con efficacia come una persona non certo acuta come Mimmo sia sicuramente superiore a chi è considerato dotato di grande intelligenza ma si dimostra, come in questo episodio, povero di sentimenti.
O come nel finale di Un sacco bello, quando Leo, dopo varie vicissitudini e dopo non essere riuscito a conquistare Marisol, per l’ennesima volta al solito incrocio vicino casa rischia di essere investito e di rovesciare di nuovo, come all’inizio del suo episodio, la spesa per terra:
“Oh ma tutte a me me devono capità aoh. So’ proprio dei giorni che le cose me vanno bene, cioè quasi bene, cè so’ delle volte che me vanno proprio tutte storte, menomale che nun c’è due senza tre ma qua me pare che nun c’è tre senza quattro, nun c’è quattro senza cinque, nun c’è cinque senza sei, nun c’è sei senza sette, nun c’è sette senza otto”
“Aoh… e ‘m bhe?” gli dice il solito uomo impiccione alla finestra.
“Eh si fai presto te a dì aoh e ‘m bhe la alla finestra calmo… ti ci vorrei vedè io a combattee c’a’a vita, che’e strisce, co’ l’olio, co’ i pompelmi, con mi madre… aoh dice… aoh”.
Anche in questo caso un personaggio ingenuo come Leo, da molti considerato un semplice fesso, con poche, semplici e anche confuse parole, sempre con un’amarezza di fondo, sembra aver compreso la morale di tutto e cioè che solo chi rimane in disparte, alla finestra appunto, può, forse, preservarsi da quella lotta continua e spesso infame che è la vita.