Parigi e il cinema: itinerario enogastronomico nella città dei fratelli Lumière
Un’itinerario mozzafiato nella Parigi del grande cinema. Da Notre Dame de Paris al Moulin Rouge fino al Café des Deux Moulin che fece da set a Il favoloso mondo di Amelie e ancora al Museo del Louvre finoa finire tra le braccia della Senna. Seguiteci!
Io mi chiedo sempre che emozione mai sarà
stare un giorno là con loro…
Là fuori,
che darei non so!
Solo un giorno fuori,
so che basterà.
Nel 1996 queste parole entravano nelle case di chiunque abbia avuto la fortuna di far crescere i propri figli coi classici d’animazione Disney (Cari genitori non arrossite: sappiamo bene quanto piacciano anche a voi!). Era l’anno de Il gobbo di Notre Dame e Massimo Ranieri dava voce a Quasimodo, lo storpio campanaro della cattedrale parigina alla fine del XV secolo e protagonista del romanzo di Victor Hugo Notre Dame de Paris (1831). Il testo sopra citato è di Via di qua, un inno al desiderio di vivere la Parigi di cui ha sempre e solo ammirato il panorama dalle alte guglie tipicamente gotiche in compagnia dei suoi unici amici Goblin.
Ma cosa sarebbe accaduto se lo spietato Frollo gli avesse concesso quell’unico giorno per poi tornare prigioniero della cattedrale? Cosa avrebbe visto, sentito, odorato o gustato? Non è una domanda chissà quanto scontata. Certo, più di 600 anni fa Quasimodo avrebbe avuto molto meno da visitare; ma la storia va avanti, vengono edificati palazzi, musei, costruzioni destinate a fare storia e, logicamente parlando, sarebbe quasi impossibile immaginare un itinerario di un giorno per gustarsi in toto la Parigi del 2015… Ma qui parliamo di cinema e sappiamo bene che il primo insegnamento del grande schermo è che nulla è davvero impossibile quindi non ci resta altro che catapultare Quasimodo nella nostra era, vestirlo in maniera che possa dare nell’occhio solo per il suo aspetto fisico e il gioco è fatto. Una volta sceso dal campanile e lasciatosi alla spalle le immense porte della cattedrale ancora avvolta nel chiarore di una fantastica alba, sarebbe un delitto non cominciare la giornata con una colazione adeguata. La sua attenzione viene rapita da un piccolo locale all’angolo della piazza di cui fino a poco prima conosceva solamente la planimetria; lì dentro una donna che sembra sapere il fatto suo sta solidificando un denso liquido giallastro su una sorta di fonte calorifera.
Il risultato sembra quasi una magia: è una crepe! Aveva sentito parlare di quel semplice impasto di uova, farina, latte e burro che aveva origini ben più antiche di lui. Pare, infatti, che la ricetta risalga al V secolo. Si narra che Papa Gelasio, molto caritatevolmente, volle sfamare dei pellegrini francesi stanchi ed affamati, giunti a Roma per la festa della Candelora. Da allora sono diventate un piatto caratteristico della cucina francese e, grazie alla loro semplice e veloce preparazione, uno degli esempi di “street food” meglio riusciti. L’unica loro pecca è la vastissima gamma di farciture proposte: crema di cioccolato, marmellate e sciroppi di ogni sorta rendono la scelta un autentico dilemma.
Peccato solo che l’organismo di Quasimodo, debilitato dal viaggio temporale di circa 6 secoli, non sia abituato a cibi del genere (non si era mai spinto oltre poltiglie di dubbia provenienza e passati di verdure accompagnati da un tozzo di pane raffermo). Sarebbe il caso di richiedere in prestito la DeLorean DMC-12 di Doc Emmett Brown, non ce ne voglia Marty McFly se resterà un giorno in più nel 1955 coi suoi futuri genitori, ma ci serve per rendere davvero indimenticabile il giorno più bello mai vissuto dallo sfortunato gobbo.
Meglio tornare nel 1832, anno in cui Valjean e Cosette (figlia dell’ormai defunta Fantine) arrivano a Parigi dopo essere riusciti a fuggire rispettivamente da Javert e Madame Thènardier. Lì tutto sembra avere più senso, riconosce le atmosfere create dalla penna di suo “padre” Victor Hugo e non può far altro che rendersi conto che avrebbe potuto benissimo essere protagonista anche de Les Miserables. A tal proposito non sarebbe giusto tralasciare la presenza di un poco più che sconosciuto Eddie Redmayne nei panni del giovane Marius, folle d’amore per Cosette.
Quanto è triste questa Parigi! Quella in cui viveva Quasimodo, almeno, era animata dai balli di Esmeralda e dagli innumerevoli spettacoli organizzati dagli altri zingari. Quella in cui si trova adesso è piena di tensione, l’aria è pesante ed è quasi impossibile incontrare qualcuno che non abbia il volto e i vestiti luridi di povertà. E, per di più, l’unica fonte di sostentamento che potrebbe avere la fortuna di trovare è il solito pezzo di pane a cui era già tristemente abituato; senza tener conto del fatto che ci vorranno ancora 88 anni prima che si inizi a sfornare Baguette.
Il tipico pane francese distinto per la sua forma allungata e per la caratteristica croccantezza della sua crosta, è un discendente del pane sviluppatosi a Vienna nella metà del XIX secolo. La forma venne adottata in Francia nell’ottobre del 1920, quando una legge vietò ai fornai di lavorare prima delle quattro, rendendo impossibile cucinare le tradizionali pagnotte rotonde in tempo per la colazione dei clienti: la baguette risolse il problema perché può essere preparata e infornata molto più brevemente.
Come se non bastasse l’aria è piena di tensione: gli hanno spiegato che c’entra una Rivoluzione… Non ci pensa su due volte, scappa da quella situazione asfissiante per continuare il suo graduale viaggio temporale in una città che trasuda storia da tutti i pori. Decide che è ancora presto per abbandonare il XIX secolo, ha vissuto solo la sua parte peggiore! Ed è subito 1899: Parigi ha cambiato volto, sembra un’altra città se non un altro pianeta. Ciò che Quasimodo non sa è che si trova nel quartiere a luci rosse della capitale francese: Pigalle. A due passi dalla suggestiva collina di Montmartre, Pigalle è noto per essere la patria del Moulin Rouge: un locale di cabaret inaugurato solo 10 anni prima.
Primo per fama ma non per cronologia, il Moulin Rouge ha sfruttato la formula che aveva fatto la fortuna del Moulin de la Galette già a partire dal 1870. Si tratta di un ristorante danzante che aveva sfruttato gli spazi interni di un vecchio mulino a vento in disuso per mettere in scena spettacoli a base di danza in abiti succinti dando il via al culto dell’osè (basti pensare alle giarrettiere nascoste sotto le gigantesche gonne di tulle tipiche del can can).
Una volta entrato, l’atmosfera che gli si para davanti è assolutamente inimmaginabile: persone di ogni rango sociale occupano posti più o meno distanti dal palco, l’unica cosa che li accomuna è la sobrietà da tempo perduta. Non è difficile scorgere anche intellettuali ed artisti. In un angolo buio c’è l’affezionatissimo Toulouse-Lautrec intento a fissare un bicchiere vuoto. Ma… Ha il volto di John Leguizamo (Vittime di guerra, Carlito’s way)! Ci basta un attimo per avere tutto chiaro: siamo sul set di Moulin Rouge! di Baz Luhrmann (Romeo+Giulietta, Il grande Gatsby). Ancora una volta si tratta di un musical: ispirato all’opera La Boheme di Giacomo Puccini, la pellicola è considerata atipica nel suo genere perché i brani cantati non sono opere originali, ma rivisitazioni di alcuni dei brani storici della musica pop interpretati dal cast, nel quale spiccano i nomi degli straordinari Ewan McGregor e Nicole Kidman nei panni di Christian (aspirante scrittore londinese) e Satine (affermata performer del Moulin Rouge), protagonisti di una storia d’amore impossibile.
Non è esattamente il giorno migliore per darsi alla vita mondana, così Quasimodo è costretto a salutare gli eccentrici protagonisti del locale. Il suo stomaco non reggerebbe la caffeina, ma se voi vi trovate da quelle parti e avete bisogno di tirarvi su, il modo migliore per farlo è raggiungere il vicino Café des Deux Moulin: un caratteristico bar nonchè set de Il favoloso mondo di Amelie. Infatti si tratta del caffé dove lavora Amelie (Audrey Tautou), la protagonista della pellicola candidata a 5 premi Oscar con alla regia Jean-Pierre Jeunet (Alien-La clonazione, Lo straordinario viaggio di T.S. Spivet). Quando egli stesso si presentò al bancone del bar chiedendo il permesso di usare lo storico bistrot come teatro per le sue riprese, il caffè stava per chiudere.
Dopo l’uscita del film il bar ha ripreso pienamente la sua attività. Oggi il locale è tappezzato di foto e simboli che ricordano il film: dal menu allo specchio alla parete con l’immagine di Audrey Tautou alle foto del nano da giardino che campeggiano lungo il corridoio che porta alla toilette del caffè.
Ma il tempo stringe e non è mai troppo presto per catapultarsi in un’altra età, adesso tocca ai ruggenti anni ’20. La location è da sballo, si trova sull’uscio di quello che potremmo considerare il miglior ristorante di Parigi: il Maxim’s. Già in quell’epoca, a 30 anni dalla sua apertura, era un punto di riferimento per l’elite della popolazione parigina e, conseguentemente, un luogo di ritrovo per intellettuali di ogni campo del sapere provenienti da tutt’Europa. Tra l’altro epoca e luogo coincidono con quelli in cui si ritrova l’Owen Wilson di Midnight in Paris durante una normalissima passeggiata intrapresa nel presente e finita, straordinarimente, nel passato.
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Gil (questo il nome del personaggio interpretato da Wilson) è totalmente rapito dall’avvenimento soprannaturale e non riesce più a farne a meno. Complice anche il fatto che si innamora perdutamente di Adriana (una sensualissima Marion Cotillard) con la quale intraprende una relazione adulterina. La pellicola romanticamente malinconica è valsa all’artista dell’humor Woody Allen un Oscar per la miglior sceneggiatura originale nel 2012. Il famoso ristorante che fa da sfondo all’intera vicenda è un posto dove, effettivamente, il tempo sembra essersi fermato: l’arredamento tipico della Belle Epoque ne fa uno dei locali più suggestivi della capitale francese.
Oltre a poter assaggiare i migliori piatti della cucina dei nostri cugini d’oltralpe, è il luogo adatto dove sorseggiare un calice dei migliori vini francesi come Bordeaux, Borgogne, Chablis, Muscadet e gli Champagne invidiati dal mondo intero.
Dopo essersi bagnato le labbra con un goccio di succo d’uva fermentato ad hoc, Quasimodo è ancora più assetato di curiosità. Si può spingere ancora un po’ avanti nel tempo, ormai sa come si fa e non trova difficoltà a trasportarsi nel 1968. Si trova in una gigantesca sala con opere d’arte usate a mo’ di carta da parati. Non fa in tempo a rendersi conto di dove realmente si trovi che gli sfrecciano accanto tre ragazzi: il volto madido di sudore e le giovani gambe lanciate ad alta velocità.
Ebbene sì: è una delle scene più famose di The Dreamers, film del 2003 di Bernardo Bertolucci (Novecento, Piccolo Buddha). Chiarissima citazione di Bande à part (Jean-Luc Godard, 1964), è la scena che consolida l’insolito rapporto tra lo studente americano Matthew e i due gemelli Isabelle e Theo.
Ora è tutto più chiaro, Quasimodo si trova all’interno di quello che dalla seconda metà del XIV secolo è stata la sede della monarchia francese fino al 1682 (anno in cui Luigi XIV si trasferì a Versailles): il mastodontico Palazzo del Louvre.
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A partire dal 1800 ha iniziato a delinearsi come lo straordinario museo che tutti conosciamo, detentore di quelle che potremmo definire le maggiori opere d’arte della storia dell’umanità (grazie anche alle campagne Napoleoniche che hanno privato interi popoli della loro arte e cultura). Quasimodo è totalmente rapito dalla bellezza delle tele e delle sculture di Raffaello Sanzio, Michelangelo Buonarroti, Antonio Canova e Leonardo Da Vinci. Ma parliamoci chiaro, non riusciremmo mai ad aggirarci tra quelle immense sale collegate da imponenti corridoi con soffitti di vetro senza immedesimarci in Robert Langdon!
Il protagonista dei romanzi di Dan Brown ha avuto la sua iniziazione cinematografica proprio tra le mura del museo con più visitatori al mondo: Il codice Da Vinci (2006) ce lo presenta con le fattezze di Tom Hanks, aiutato da un’ Audrey Tautou nelle vesti di Sophie Neveu. La pellicola ha dato modo al regista Ron Howard (A beautiful mind, Rush) di far parlare di sè anche in Vaticano e, di certo, non per la sinuosità dei suoi movimenti di macchina.
Il cielo si sta imbrunendo e la stanchezza si fa sentire, quello che ci vorrebbe è un bel tour in Bateau Mouche in modo che Quasimodo non sprechi neanche un attimo del poco tempo che gli è rimasto per visitare Parigi. Sarebbe meglio compiere prima l’ultimo viaggio temporale per portarlo fino ai giorni nostri. Detto fatto: la Senna lo culla su un battello gremito di turisti che fende l’acqua nel punto in cui si riflette la luce di un immenso pannello pubblicitario composto da milioni di LED.
Rimane seduto per un lungo periodo di tempo, ammirando i palazzi a strapiombo sul fiume e i ponti che lo sovrastano; fin quando in lontananza qualcosa cattura la sua attenzione. Un cono gigante con la punta rivolta verso l’alto illumina il cielo come un frammento di stella poggiato sulla terra.
Lui non lo sa, ma si trova davanti all’universale simbolo di Parigi: la Tour Eiffel. Fu costruita dal 1887 al 1889 (anno in cui ebbe luogo in città l’esposizione universale) e prende il nome dal suo progettista Gustave Alexandre Eiffel. Nonostante la titubanza nel salire in ascensore, riesce a raggiungere l’ultimo piano e a sedersi nel ristorante che gode di una delle viste più spettacolari che ci siano. Ordina di tutto, i migliori piatti della cucina francese gli vengono serviti con una gentilezza che credeva spettasse solo ad un re. Non ci stupiremmo poi chissà quanto se scoprissimo che lo chef del ristorante fosse un piccolo ratto dall’olfatto sopraffino intento a preparare foie gras, escargot e a cimentarsi nell’arte della nouvelle cuisine.
Non dimentichiamo che Ratatouille non è solo un piatto provenzale a base di verdure stufate, ma anche il titolo di un film d’animazione targato Pixar del 2007, nonchè il nome del talentuoso roditore.
E a proposito di topi… dai un’occhiata QUI
Quasimodo ha finito di cenare ma non sembra intenzionato a schiodarsi da quella sedia; non tanto per pigrizia quanto per la meraviglia. Da lassù gode di un panorama diametralmente opposto a quello che ha sempre visto dal campanile di Notre Dame e, soprattutto, trasportato in un futuro che sa di non poter mai più vivere. Riesce addirittura a scorgere la cattedrale ma sa che, una volta tornato nel passato, non ci sarà modo di vedere la “Tour”. Spenderà le ore che lo dividono dalla sua epoca in cima a quella torre, aspetterà che un rivolo di luce inondi un pezzettino di cielo per poi tornare alla sua triste normalità. La giornata che ricorderà per il resto della sua vita non è stata chissà quanto tanto diverso dal paio d’ore che amiamo trascorrere in una sala cinematografica: ci facciamo trasportare in mondi inventati da altri nei quali non riusciamo a non immergerci, con la consapevolezza che l’ultimo frame di pellicola sfumerà nel nero dei titoli di coda, inghiottito dal riaccendersi delle luci. E l’unico posto in cui potrà sopravvivere la lacrima che ci ha rigato il viso un attimo prima, è nel buio della parte più interna di noi.