9 compositori di colonne sonore insieme per gli UniVision Days
Univideo, l’Unione Italiana Editoria Audiovisiva – Media digitali e online ha promosso, a partire da quest’anno, la manifestazione UniVision Days, per «offrire al grande pubblico momenti di incontro culturale sul mondo dell’home entertainment, un mercato che intrattiene, educa, diverte e sorprende attraverso i suoi contenuti filmici, televisivi e documentaristici per tutte le fasce di età e di spettatori». A Milano dal 6 al 14 maggio e a Roma dall’11 al 18 giugno, gli UniVision Days offrono un ricco calendario di incontri, proiezioni, workshop e masterclass, come quella che si è svolta il 7 maggio all’Università IULM di Milano, anche per festeggiare la giornata mondiale della proprietà intellettuale: La musica nei film e nelle serie televisive. Come nasce l’ispirazione e perché è importante tutelare la creatività. Moderata da Gianni Canova e Marco Spagnoli, la masterclass ha visto la partecipazione di alcuni importanti compositori italiani di colonne sonore (tra parentesi alcuni dei loro principali lavori): Pasquale Catalano (Le conseguenze dell’amore, La guerra di Mario, Romanzo criminale – La serie, La versione di Barney), Giordano Corapi (La Bas, Sulla strada di casa, Take Five), Pivio (tra i molti lavori insieme a Aldo De Scalzi, Il bagno turco, Distretto di polizia, Le frise ignoranti), Riccardo Giagni (compositore di riferimento di Marco Bellocchio), Fabio Liberatori (solida collaborazione con Carlo Verdone), Lele Marchitelli (Piano, Solo, Ma che colpa abbiamo noi, La grande bellezza), Santi Pulvirenti (La mafia uccide solo d’estate, La scuola più bella del mondo), Umberto Scipione (Benvenuti al Sud, Benvenuti al Nord, Il principe abusivo, Si accettano miracoli) e Giovanni Venosta (collaboratore di Silvio Soldini).
Subito vengono posti di fronte a un interrogativo: come mai, questi compositori che nella totalità avranno preso parte a 400 film, non si sono mai, prima d’oggi, incontrati tutti insieme? Tutti rispondono indicando la mancanza di un’associazione, di momenti di aggregazione, di un festival specifico. Per il critico Gianni Canova, che apre l’incontro, «la musica per il cinema, il lavoro del musicista, è forse quello meno valorizzato, tanto che non ci sono premi nei grandi festival… È una mancanza colpevole perché svalorizza il lavoro di molti professionisti e artisti che danno un contributo decisivo nella realizzazione del film». Anche i compositori sono d’accordo: per Giagni non manca l’interesse, ma la consapevolezza, la volontà di vedere quest’arte come un mestiere; Corapi aggiunge che è difficile avere occasioni in cui poter parlare di questo lavoro, anche per colpa, secondo Liberatori, dei problemi economici, che creano una fortissima differenza di budget tra i compositori nostrani e quelli americani, non essendoci più, in Italia, la generazione storicamente “nobile” di produttori cinematografici. Si parla infatti di 20.000 euro contro il milione di dollari negli Usa – e sono soldi che, ovviamente, servono per pagare anche i musicisti, le prove, lo studio, il missaggio. Santi Pulvirenti è diretto: «La musica è un attore, dà in più quello che il film non ha, e non viene pagata come un attore. C’è una mancanza di rispetto sia dall’alto che dal basso».
Il discorso si sposta quindi sulla nascita di questa passione, che da tutti viene vista come una sfida e uno stimolo, un linguaggio che deve giocare all’interno di altri linguaggi, facendo un lavoro di sintesi. Pivio si sofferma sul meccanismo, dicendo che nel costruire una colonna sonora si ha una libertà di espressione maggiore (mentre «il mondo della musica pop è noioso, mangia se stesso e si riproduce senza più inventiva»), ma che, al tempo stesso, deve rispettare dei vincoli, e sono proprio questi che permettono di trovare delle soluzioni che uno non avrebbe preso in considerazione, creando così dei mondi altrimenti impossibili. Venosta inizia a porre il problema della creazione della colonna sonora e del rapporto del compositore con il regista: in sostanza, infatti, a questo viene chiesto di creare del materiale malleabile, basato su qualcosa di già esistente (Giagni fa una battuta su Fellini, che diceva sempre al Maestro Rota «Fammi la musichetta…»). Il dibattito si fa vivo e Pasquale Catalano ribadisce che serve l’unità del tema, il compositore deve avere umiltà per ottenere qualcosa di riconoscibile. I registi, d’altronde, «vogliono sempre quella musica perché l’hanno sentita già mille volte in quel tipo di scena», anche se, secondo Lele Marchitelli, «non esiste una bella musica senza un bel film. La musica non salva una scena venuta male. Anzi, a volte la peggiora, perché la sottolinea! Non esiste ispirazione, ci sono disciplina e metodo». Sarebbe necessario partecipare di più al montaggio (anche per evitare danni possibili da parte del montatore), oppure iniziare a lavorare già, con la musica, sulla sceneggiatura: ma questo ha un costo, può essere rischioso, ed è più pensabile se il compositore ha già un rapporto di collaborazione con il regista.
Pensando alle soluzioni per il futuro, emergono anche delle riflessioni sul ruolo crescente della tecnologia (a volte dettata anche da questioni economiche, poiché il sound designer costa meno dei musicisti): si spende sempre di più per gli effetti sonori, tanto che, per Riccardo Giagni, «nel futuro parleremo molto più di suono di un film, che di musica». Secondo il Maestro Umberto Scipione l’eccesso di tecnologia impoverisce la vera creatività. E lancia, lo dice lui stesso, una provocazione: «I concerti di musica per film di un domani, come saranno?».
Le ultime considerazioni sono rivolte, naturalmente, al problema della mancanza di un’adeguata educazione musicale nelle scuole – che invece si limita a essere storia della musica, o dell’arte. Scipione non manca di rivolgere una veloce critica alla riforma che ha toccato anche i conservatori, impedendo così agli insegnanti di seguire un alunno durante la sua intera crescita musicale. Senza fare particolari digressioni politiche, tutti i nostri compositori ritengono che il problema di fondo sia anche sociale, manca la giusta sensibilizzazione: Gianni Canova afferma che c’è bisogno che «quello che avete raccontato oggi qui, meriti di uscire da qui».