La teoria del tutto: la precisione vibrante della colonna sonora
Jóhann Jóhannsson viene dall’Islanda, un Paese ai confini, ma teatro di grandi sperimentazioni e collaborazioni musicali. Da anni compone e produce musica che combina un’orchestrazione classica e strumenti elettronici, per progetti eterogenei e per un gran numero di documentari e rappresentazioni teatrali. Con Prisoners, film del 2013 diretto da Denis Villeneuve, con Hugh Jackman e Jake Gyllenhaal, il suo lavoro è stato portato all’orecchio del vasto pubblico, nonostante la colonna sonora resti in un ambito sperimentale e di contaminazioni, al quale i più non sono abituati. Scarna e “abrasiva”, quella musica conduceva il film nella crudezza di alcune scene e nell’ossessiva ricerca dei suoi protagonisti. Jóhannsson dimostrò, già con Prisoners, di non eccedere nell’uso della colonna sonora, lasciando un silenzio anche dove ci si aspetta qualche suono inquietante – producendo quindi un effetto ancora più alienante.
Anche in un film completamente diverso come La teoria del tutto, Jóhannsson porta avanti questo gioco di silenzi fondamentale. La colonna sonora rappresenta, qui, un lato opposto, ma sempre proprio della personalità del compositore. I toni sono caldi, l’orchestrazione, più che nelle dinamiche, risplende nei colori degli strumenti, che illuminano le scene come lo stesso cosmo. Jóhannson, che ha dichiarato di aver letto Breve storia del tempo durante l’università, ha voluto enfatizzare, con questa tecnica delicata e vibrante, la tensione tra l’uomo-Hawking e lo scienziato-Hawking, con il suo stupore per i misteri dell’universo e la sua costante forza di volontà nella malattia degenerativa. La musica, infatti, non si propone mai come la descrizione di qualcosa di negativo o doloroso, ma anche nelle scene più difficili, resta cristallina, o sparisce del tutto.
Questa scelta di concentrarsi su spazi e tempi, in un film così denso di emozione, risulta sicuramente la carta vincente. Entrato nel progetto già a buon punto del montaggio, Jóhannsson si è fatto guidare soprattutto dalle performance di Eddie Redmayne e Felicity Jones, preferendo, quindi, non appesantire le scene con una musica troppo ornamentale, ma che resta elegante e fluida. L’ostinato di quattro note al pianoforte che sentiamo nella scena iniziale, con Stephen in bicicletta, forte e determinato durante il suo dottorato, si ripete come un motivo conduttore in gran parte del film, eseguito anche da altri strumenti, a diversi ritmi, tempi e in tonalità maggiori e minori.
Così, la forza cinetica che sprigionava in quella scena, resta e permea gran parte della pellicola, anche se con delle sensazioni diverse, ma sempre per ricordare la grande risoluzione di Hawking. Questo aspetto è portato avanti anche dalla scelta del pianoforte come strumento predominante: la sua precisione meccanica e matematica, così come le sue svariate sfumature, lo rendono perfetto per trasmettere l’emozione di un uomo che ama la scienza.
Se La teoria del tutto risulta un po’ romanzato, la precisione musicale che caratterizza la registrazione di questa musica senza cliché e che sa tacere per non risultare sovraccarica, riesce sicuramente ad equilibrare l’emozione del film, che finisce in un gran crescendo, mentre le scene più pregnanti corrono a ritroso – come se la linea del tempo dell’universo fosse stata invertita.
Questo gennaio, Jóhann Jóhannsson ha vinto il Golden Globe per la colonna sonora de La teoria del tutto; nominato agli Academy Awards insieme a compositori più “pomposi” come Desplat e Zimmer, potrà conquistare l’Oscar solo se le sue sperimentazioni e i suoi silenzi arriveranno anche alle orecchie dei più abituati alla grandeur musicale.