L’incredibile storia dell’Isola delle Rose: la colonna sonora rivoluzionaria è un omaggio anni ’60
La colonna sonora del film Netflix è un'esplosione rivoluzionaria di suoni che rievocano tutta la bellezza, le lotte e i sentimenti dei giovani di quel periodo.
Con L’incredibile storia dell’Isola delle Rose Sydney Sibilia elogia pienamente lo spirito utopico e sovversivo del ’68, lo fa attraverso la vera storia dell’ingegnere Giorgio Rosa, condensando nel giovane interpretato da Elio Germano tutti i sogni, i pensieri, le ipotetiche possibilità di una nuova classe sociale, nettamente in contrasto con quegli italiani adulti e stantii, ancorati a leggi, modi di fare e agire ingessati.
Il film Netflix prende così in esame un’impresa personale per farci intendere lo status di un’intera generazione, servendosi di un approccio alquanto internazionale di cui si trova traccia non solo nella struttura registica ma anche nella colonna sonora, la cui promiscuità si genuflette magistralmente a quell’intrusione rivoluzionaria nell’Italia che implorava il cambiamento.
In occasione del suo debutto su Netflix il regista torna a collaborare col compositore romano Michele Braga, classe 1977, che si era già occupato della soundtrack di Smetto quando voglio – Ad honorem. Le note con le quali l’autore suole accompagnare l’impresa del giovane ingegnere evocano l’avventura, infondono coraggio, talvolta hanno persino delle sfumature jazz o ancora ci immettono in atmosfere tipicamente da war movie o da giallo. Basti rimembrare la scena in cui Germano si dirige con la sua singolare automobile a Strasburgo o quella in cui l’isola sta per essere distrutta per concepire in un solo istante tutta l’intrinseca diversità che Braga immette in quelle sette note.
La sua musica, accompagnata da brani pazzeschi e perfettamente in linea col periodo di riferimento, sigilla esaustivamente ogni dettaglio artistico e tecnico de L’incredibile storie dell’isola delle Rose.
L’incredibile storia dell’Isola delle Rose: tutte le canzoni della colonna sonora omaggiano gli anni ’60
Come saprete se avete visto il film, sceneggiato dal regista insieme a Francesca Manieri e prodotto dalla Groenlandia (fondata nel 2014 da Matteo Rovere e Sydney Sibilia), ripercorriamo gli eventi con l’ausilio del flashback, partendo così dalla fine per poi di fatto ritornarci.
Nella scena d’apertura, a movimentare una fredda e innevata Strasburgo, troviamo il brano Mes Amis (Selectracks), che ci accompagna verso la visione del protagonista infreddolito e fermamente intenzionato a farsi dare ascolto. Dalla curiosità ch’egli suscita nei confronti del presidente del Consiglio d’Europa Jean Baptiste Toma (interpretato da François Cluzet) si dipanerà l’intera storia.
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Dal punto di vista sonoro si balza un po’ in avanti nella storia, oltrepassando quindi l’incontro tra Giorgio Rosa e Gabriella (interpretata da Matilda De Angelis) per piombare direttamente in pista: nella cornice dell’autodromo di Imola, tra le curve e l’impegno del motociclista, ascoltiamo My Baby Loves Me di Mark G Hart & Stephen Emil Dudas, meravigliosamente intersecato col ruggito dei motori.
Anche Jimi Hendrix nella soundtrack de L’incredibile storia dell’Isola delle Rose
Ma il brano fa presto a svanire per dare gradualmente e finalmente spazio alla figura di Elio Germano. La macchina da presa ce lo lascia spiare mentre compie diligentemente il suo lavoro, facendoci gustare tutte le pieghe che adagio gli appiccicano sul volto la tipica espressione esterrefatta di chi ha avuto un’illuminazione e se ne sta fregando del mondo intorno, persino dell’incidente che sta per provocare. La visione dell’insegna di Misano Petroli coincide con l’inizio di Hey Joe, una delle poche canzoni di Jimi Hendrix arricchita da cori femminili, uscita nel dicembre del 1966. A fare la fortuna di questo brano, oltre alla strepitosa interpretazione di Jimi Hendrix, Noel Redding e Mitch Mitchell (insieme, The Jimi Hendrix Experience), fu il manager degli Who, Kim Lambert. Il brano scritto da Billy Roberts nel ’62 era infatti inizialmente una cover e come tale veniva interpretata da diversi autori; a ispirare questa versione inserita nella soundtrack de L’incredibile storia dell’Isola delle Rose fu il cantante folk Tim Rose.
Tra i brani della colonna sonora anche musica italiana “rara”, da Fidenco ai Dik Dik
A scatenarsi insieme alle indagini subacquee che il protagonista compie insieme all’amico è il rock dei The Kinks, una delle band inglesi più influenti degli anni ’60, all’epoca composta da Muswell Hill e dai fratelli Ray e Dave Davies. In effetti furono tra i tanti a eseguire il brano Louie Louie, composto nel 1955 da Richard Berry e divenuto un cult del genere pop e rock. Portata al successo grazie ai The Kingsmen, le parole della canzone ci trasportano tra onde del mare e profumo di rose, perfettamente in sintonia con la scena che il piccolo schermo ci restituisce.
A sigillare la prima conquista di Rosa – ovvero la spartana costituzione dell’isola (una semplice piattaforma) – e la decisione del protagonista di trascorrere la notte lì, troviamo il grande successo italiano degli anni ’60, quello di Nico Fidenco intitolato Legata a un granello di sabbia, che quando uscì (nel 1961) rimase primo in classifica per quattordici settimane, essendo tra l’altro il primo 45 giri a superare in Italia il milione di copie vendute. Un brano che, come la maggior parte, sottolinea la ricerca certosina compiuta dal team per elaborare la soundtrack del film Netflix, fatta di canzoni davvero non scontate e insite nella cultura di quegli anni, prima ancora che in ciò che adesso resta e viene ricordato di quel periodo dal punto di vista musicale. Basti pensare infatti che attualmente i dischi originali di Fidenco sono praticamente merce rarissima, rinvenibili sul mercato a cifre esorbitanti.
Dedicata palesemente a una ragazza, la canzone si sposa benissimo con lo stato d’animo del protagonista interpretato da Germano, con la sua affezione alla neonata isola, nella quale resta in solitudine in quella prima notte, nonostante il maltempo. Ecco allora che le parole di Fidenco rimarcano quel desiderio di Rosa di tenere a sé il suo sogno, legato a un filo flebilissimo (“legandoti a un granello di sabbia così tu/ nella nebbia più fuggir non potrai”).
Il rock psichedelico degli Shocking Blue e il Geghegè di Rita Pavone
L’amore domina anche la scena in cui l’Isola delle Rose inizia a popolarsi. Stavolta il brano comunica una richiesta semplice e vacanziera: Send Me a Postcard cioè: mandami una cartolina, e lo fa col rock psichedelico degli Shocking Blue, il gruppo olandese che nel 1968 eseguì la canzone scritta da Robbie van Leeuwen. Le vibrazioni delle loro chitarre e il fragore della batteria si propagano nell’aria e nelle nostre orecchie e sembra quasi di avvistare sullo sfondo persino il rumore a tratti nervoso del calpestio su quel suolo nuovo, su quell’isola che profuma di libertà.
A proposito del brano appena citato, vale la pena sottolineare che, oltre a essere stato usato anche nella soundtrack delle serie TV Hanna, non rientra tra le canzoni che hanno portato la band (scioltasi nel 1974) al successo, sintomo anche questo della certosina ricerca attuata dal team che ha lavorato al film di Sydney Sibilia.
Una parvenza di maggiore popolarità si avvista all’ascolto del Geghegè: l’iconico brano di Rita Pavone è un’esplosione di brio che trascina a oltranza ogni generazione nata dopo gli anni ’70. Una canzone ballabile singolarmente o in coppia, che sprigiona energia e abbraccia pienamente tutta l’internazionalizzazione di cui si permea la pellicola. Chi meglio della cantante, attrice e showgirl torinese può infatti prestarsi a surrogato di quel tempo? Lei che ha saputo conquistare il pubblico con la sua voce e il suo famigerato “Pel di carota”; che ha inciso dischi in sette lingue diverse, essendo tra i pochi italiani a entrate nelle classifiche britanniche.
Nella colonna sonora de L’incredibile storia dell’Isola delle Rose si avvista anche il primo successo della rock band americana The Human Beinz, Nobody But Me (1968). Composta inizialmente da John “Dick” Belley (voce e chitarra), Joe “Ting” Markulin (voce e chitarra), Mel Pachuta (voce e basso) e Gary Coates (batteria, successivamente sostituito da Mike Tatman), con questo singolo trascinante in cui gli strumenti sembrano schioccare le dita hanno raggiunto un l’ottavo posto nella Billboard Hot 100 (la principale classifica musicale dell’industria discografica statunitense).
Gli amanti del beat-pop italiano gioiranno poi all’ascolto di Sognando la California dei Dik Dik, uno dei gruppi italiani più amati e iconici degli anni ’60/’70. Questo pezzo è diventato uno dei brani simbolo della band, che rimaneggiò la canzone California Dreamin’ dei The Mamas & the Papas su un adattamento del grande Mogol. Pietro Montalbetti, infatti (che fa parte della band insieme a Giancarlo Sbriziolo ed Erminio Salvaderi), rimase basito dagli arrangiamenti dei colleghi statunitensi, chiedendo così a Mogol di preparare un adattamento italiano del testo.
Sognando la California sintetizza appieno la volontà del protagonista – ovvero quella di cambiare vita e fuggire via da quella solitudine e incomprensione che lo assilla – e il senso di sconforto che si legge negli occhi dei suoi genitori. Nel film di Sydney Sibilia infatti questo brano accompagna la conclusione del pranzo tra i tre in cui abbiamo avuto modo di appurare la distanza ideologica tra due generazioni.
Questo frangente inoltre anticipa anche la precarietà del progetto, inevitabilmente destinato a finire. Perché in fondo quella che il regista mette in scena è una guerra tra due modi di pensare, un braccio di ferro tra vecchi e giovani in cui i primi alla fine l’hanno sempre vinta, mentre ai secondi resta l’entusiasmo, la voglia e quella bella sensazione di non essere rimasti con le mani in mano, di averci almeno provato. Non è un caso allora se nel momento in cui apprendiamo della distruzione dell’Isola delle Rose, oltre a entrare in immediata empatia col personaggio che riceve la notizia, ci sentiamo praticamente in trincea: il suono di sottofondo ci ricorda un attacco aereo, ci strappa dagli occhi quelle bende imbevute di sogni per farci scontrare con la realtà grigia e austera. È guerra!
La protesta di Barry McGuire nella colonna sonora del film Netflix L’incredibile storia dell’Isola delle Rose
Ma quei giovani alla violenza si oppongono e lo fanno tenendosi per mano, creando una barriera umana a protezione del loro mondo. Non poteva esserci un brano di protesta più azzeccato se non Eve of Destruction di Barry McGuire, che già nel titolo (Vigilia della distruzione) anticipa ciò che sta per accadere. Nel testo non mancano i riferimenti ai movimenti per i diritti civili, alla guerra del Vietnam e alla guerra fredda, nonché all’assassinio di John F. Kennedy: un condensato, insomma, di tutte le frustrazioni, le paure e le ingiustizie che affliggevano i giovani in quel periodo.
Scritta da P.F. Sloan nel 1965, ebbe successo nella più nota versione interpretata da Barry McGuire e pubblicata lo stesso anno dalla Dunhill Records, ma per la verità sono stati in tanti a riproporla, dai The Dickies ai New wave Red Rockers, dai D.O.A. ai Crashdog fino a Gino Santercole, che ne ha registrato una cover in italiano nel 1966 intitolata Questo vecchio, pazzo mondo, poi ripresa nel 1984 da Adriano Celentano (che l’ha interpretata in un’occasione insieme a Luciano Ligabue). Infine in italiano è stata ripresa anche dal cantautore Pino Masi per il canzoniere di Lotta Continua riprendendo, come è intuibile, le tematiche care alla sinistra rivoluzionaria.
Il Sole è spento nel finale de L’incredibile storia dell’isola delle Rose
Il finale del film si tinge di delusione e sconfitta nonché della meravigliosa voce di Caterina Caselli, che col suo Sole spento corona perfettamente quanto si vede sul piccolo schermo. “È finita, è finita, la mia terra è senza amore, senza pioggia, è senza vento […] sole spento solo per me” recita il brano scritto e arrangiato da Daniele Pace, Mario Panzeri e Lorenzo Pilat e pubblicato nel 1967 dalla casa discografica CGD.
All’interno della colonna sonora de L’incredibile storia dell’Isola delle Rose si ascoltano anche Babababa-Ba (1966) de I Satelliti, Il capello (1961) e Il Peperone (1965) di Edoardo Vianello.