Strappare Lungo i Bordi: la colonna sonora di Giancane è un’esplosione di romanità e punk rock
Scopriamo insieme la colonna sonora di Strappare Lungo i Bordi, dalla sigla composta da Giancane alle canzoni edite, da Ron a Gli Ultimi
Se Strappare lungo i bordi di Zerocalcare riesce a sondare perfettamente il nostro io immergendoci in quel mondo così labile e impreciso che è la quotidianità del nostro tempo, ci riesce anche grazie al supporto di un cantautore in grado di tramutare in suoni e parole il pensiero di una generazione intera, gli scorci nascosti della Roma in cui (proprio come il creatore della serie Michele Rech) vive. Giancane (nome d’arte di Giancarlo Barbati), romano dal 1980, tramuta con illuminata sensibilità la rabbia muta di chi l’ascolta, aprendo spiragli di bellezza tra le crepe del disgusto.
Ricamata lungo la sigla della serie Netflix (dal titolo Strappati lungo i bordi) la voce di Giancane apre la visione di ogni episodio con la leggerezza incantevole di un battito d’ali, in un crescendo di decibel in cui rincara la dose di quell’ira giustificata, arrugginita dal tempo e fossilizzata dentro al cuore. Le corde vocali vibrano ai rintocchi dei ricordi, mentre l’animo rock e ribelle esce con violenta placidezza.
Strappare Lungo i Bordi: la sigla della serie Netflix firmata da Giancane
L’incipit della sigla composta e interpretata dal cantautore romano, ex chitarrista del gruppo Muro del Canto, inizia con un tuffo in un passato recente (“Te lo ricordi qualche anno fa/ Quant’eravamo soli?/ Sempre rinchiusi dentro ad un garage/ E tutto il mondo fuori”) in cui rimembra attimi di solitudine. Tutta la canzone è intervallata da flashback capaci di mettere man mano in mostra un piccolo lato personale o condiviso, coadiuvando una polemica sottile verso il mondo esterno, come quando dice “Me lo ricordo qualche anno fa/ Quant’eravate sordi/ E noi cresciuti in cattività/ Strappati lungo i bordi”), come a sottolineare lo status di inadeguatezza di una generazione (quella nata negli anni ’80, la stessa di Zerocacare e Giancane) le cui ferite sono passate inosservate; chi avrebbe dovuto proteggerli, ascoltarli, non l’ha fatto, si è girato dall’altra parte.
È allora doveroso manifestare “disgusto” davanti a ciò che “sembra giusto”: una rima baciata che percorre l’intera sigla, affermando fino alla fine l’anticonformismo dell’autore nei confronti di ciò che quotidianamente accade e che sembra filare liscio, andare bene, ma per chi?
Giancane mostra la sua disapprovazione in un crescendo di note e lo fa con stile rock, bellissimo e vistoso, specie se alternato – durante la visione degli episodi – a composizioni dolci come praline di zucchero. Le note che sorreggono il racconto di Zerocalcare restano in sottofondo, senza invadere troppo. È il caso, per esempio, del tormentone del 2001 di Tiziano Ferro, Xdono, che si ascolta brevemente contestualmente ai racconti dell’autore sulla sua adolescenza o del brano Clandestino di Manu Chao. Gli animi più punk avranno poi certamente fatto caso all’intrusione degli storici Klaxon con la canzone Libero, che si ascolta durante la scena del concerto.
E se l’inizio del primo episodio che ripercorre la fanciullezza di Zerocalcare è segnato da Asli Piano di Peter Pragas, una delle scene più liberatorie di Strappare lungo i bordi, ovvero quella in cui Sarah spiega a Zero la bellezza di essere solo un filo d’erba in un prato, viene celebrata da Jonathan Lloyd & Cliff Norell con Goodbye Love: una ballata indie folk che ci invita, semplicemente, a lasciar andare il passato.
Ma nte rendi conto di quanto è bello? Che non porti il peso del mondo sulle spalle, che sei solo un filo d’erba in un prato? Non ti senti più leggero?
Strappare Lungo i Bordi: romanità e punk rock nella soundtrack
Se il secondo episodio si chiuse sulle note di Dancing with myself di Billy Idol, a siglare la congiunzione con se stessi, tra le musiche non originali da appuntare nel terzo episodio va certamente menzionata The Prophecies of Nostradamus, posta sarcasticamente dopo la scena in cui Zerocalcare fa uno sproloquio solo per la scelta di una pizza.
Da notare il garbo con cui le musiche vengono tatticamente inserite, ad esempio, verso la conclusione di ogni episodio della serie animata, come se non volessero disturbare, parliamo di Black Water (Apparat), per esempio, invece trovano uno spazio maggiore i brani in lingua italiana o francese (va ricordato che Michele Rech è cresciuto anche in Francia, paese d’origine della madre): l’autore sceglie giustamente di aumentarne il volume, disponendoli in momenti cruciali del racconto, come se si stesse premurando di ribadire chi è e da dove viene.
La scena in cui corre a consolare Alice, così, seppur affrescata dalle sinfonie di Max Brodie con For the better, si conclude con il brano del rapper Fauve, Haute Les Coeurs/ Rag #2, che scandisce anche i pensieri più reconditi del protagonista circa la sua infatuazione nei confronti di Alice.
Sempre nel quinto episodio rintracciamo le voci di Chris Bussey, Craig Bussey e Annie Drury con Sun Will Rise, un brano che mostra tutta la consolazione possibile e immaginabile per chi si trova ad affrontare un periodo difficile; chi canta si mette fisicamente nei panni di chi soffre (“posso sentire il peso lì nei tuoi occhi […] la spina nel tuo fianco / Le tue nocche sono ferite da una lotta persa […] Vetri rotti sotto i tuoi piedi / Pensi che il giorno non spezzerà la notte senza sole/ Il Sole sorgerà […] andrà tutto bene”).
Strappare lungo i bordi: nella colonna sonora anche Gli Ultimi e Ron
Gli Ultimi, street punk band composta da Alessandro Palmieri, Maurizio Papacchioli, Path e Roberto Bernabei, inaugurano il sesto e ultimo episodio della serie con Un battito ancora, che si inserisce nella giornata più triste e rivelatoria dell’intero racconto, quella in cui si tengono i funerali di Alice. Scelti da Zerocalcare in persona, che aveva già collaborato con la band romana realizzando il video del brano Favole, Gli Ultimi inondano la colonna sonora di Strappare lungo i bordi con la loro verve fresca e sfacciata, invitandoci a ridere in faccia alla paura, a non arrenderci mai alla vita, anche quando sembra di aver fallito, non è mai detta l’ultima parola. Citiamo di seguito, a tal proposito, una parte del brano:
Non ho santi in cielo sai ma paura non ne ho
Niente piani di riserva qui il tempo passa come un treno
Se mi guardo dritto allo specchio so che ho già perso forse però
Dammi un altro battito ancora e poi me ne andrò.
Dei medesimi autori è Ragazzo malato, tratto dall’Ep del 2011 Questi anni. Non si può poi non citare, facendo un passo indietro, il mitico brano di Ron dal titolo Non abbiam bisogno di parole, che ascoltiamo durante la rappresentazione della corsa di Achille e della tartaruga. Uscita nel 1992 all’interno dell’album Le foglie e il vento, la celeberrima canzone penetra dentro il cuore di chi l’ascolta, spingendolo ad abbandonarsi dolcemente all’amore, l’unico sentimento in grado di regalarci l’immortalità, che si fa bastare i silenzi e gli occhi chiusi. Una poesia che gioca con l’affinità emotiva, sorreggendo alla perfezione le immagini prodotte da Zerocalcare.
Nella colonna sonora di Strappare lungo i bordi si inseriscono inoltre, tra i brani non originali, Wait degli M83, Leave your troubles dei The Wiyos, Smalltown Boy dei Bronski Beat, The funeral della Band of Horses e Super Human dei Remember Summer, mentre la tracklist originale della soundtrack composta da Giancane per la serie Netflix è formata da un totale di undici brani – Strappati Lungo i Bordi, Strappati Lungo gli 80’s, Strappati Tranne i Bordi, Strappati Lungo i Beatles, Emo10, Armadillo Funk, Latina, Non Dormo Ancora, Papà Francesco, Mirko, Strappati Lungo i Bordi (Karaoke Version) -, disponibile in streaming e, dal 17 dicembre 2021, in una speciale edizione limitata in vinile giallo numerato.