Elle: intervista a Paul Verhoeven, regista dell’acclamato film con Isabelle Huppert
Uno dei successi cinematografici dell’ultimo anno è finalmente pronto ad approdare nelle nostre sale il 23 marzo: Elle (recensione) con la splendida Isabelle Huppert è la storia controversa di una donna e delle mille e più sfaccettature del genere femminile, della sessualità e della violenza racchiuse nel bel film del regista olandese Paul Verhoeven, che ci parla dell’opera durante la presentazione a Roma.
Toccando l’argomento Oscar, quest’anno Isabelle Huppert è stata candidata come Migliore Attrice Protagonista, mentre il film non è rientrato nella lista dei film candidati per il Miglior Film Straniero. Che il film affronti argomenti troppo controversi per gli americani?
Si possono solo formulare delle ipotesi circa quanto è successo, sicuramente il terzo atto del film Elle è una parte molto difficile che gli americani non sono riusciti a comprendere pienamente. Di certo è molto controverso il fatto che la protagonista da vittima passi ad instaurare un rapporto sado-masochista con il suo aggressore. Per questo abbiamo avuto problemi anche nel trovare finanziamenti in America.
Difficoltà nel trovare finanziamenti in America e nessuna attrice statunitense che si è sentita a proprio agio nell’accettare il ruolo. Come è stato lavorare con Isabelle Huppert e pensi che in Europa ci sia un’apertura artistica maggiore?
In Europa ora come ora c’è molta più libertà per un cineasta rispetto che in America. Isabelle Huppert era interessata ad interpretare la protagonista del film già da molto tempo, tanto che aveva anche contattato lo scrittore del romanzo. Ma vivendo in America con i miei collaboratori abbiamo cercato di portare tutto negli Stati Uniti. Abbiamo consegnato la sceneggiatura a produttori, attrici, ma dopo qualche tempo ci siamo resi conto che nessuno avrebbe mai accettato di finanziare né di interpretare Elle, per le attrici il ruolo era troppo controverso.
Così sono stato messo davanti alla necessità di uscire da questo vicolo cieco, l’unica soluzione era andare a Parigi. Abbiamo chiesto molto umilmente a Isabelle se era ancora interessata ad interpretare la protagonista del film e lei ha immediatamente detto sì. Oltretutto con Isabelle non è stato necessario discutere degli aspetti psicologici del ruolo, ha accettato tutto ciò che riportava la sceneggiatura, non ha avuto mai da ridire nulla e questo perché è un’attrice molto audace soprattutto quando crede intensamente nel suo personaggio. Fa quello che pensa il personaggio debba fare, non cerca di accaparrarsi la simpatia del pubblico e così neanche io.
Il film affronta un tema non prettamente leggero, ma nell’opera c’è anche tanta ironia, presente anche nel libro dal quale Elle è tratto. Come è stato affrontato questo aspetto umoristico nel racconto e in che chiave bisogna leggerlo?
L’ironia era già accennata nel romanzo di Philippe Dijan, lo scrittore passa da scene di grandissima violenza ad aspetti molto più sociali, soprattutto per quanto riguarda i rapporti della protagonista con tutti coloro che lei ha intorno. È un aspetto però che ho comunque voluto sottolineare maggiormente.
Non volevo dare un genere specifico, è un thriller certo, ma si passa per varie sfaccettature. La vita non è un genere ed io non volevo realizzare un film che fosse catalogato in un ambito specifico perché è così che viviamo, ascoltando una tragedia la mattina al telegiornale e ritrovandoci la sera a ridere per una battuta. Il cinema sta sempre più tendendo ad una serie di etichette e volevo svincolarmene, perché così fa la vita.
Paul Verhoeven: “Isabelle Huppert quando crede in un personaggio va fino in fondo.”
Il film sembra molto sottolineare la potenza e la forza delle donne, un’opera dove gli uomini sono decisamente meno perspicaci e maturi rispetto al sesso femminile. Era già nel libro anche questo aspetto o è stata un’idea originale inserirlo?
Sì, sicuramente era già descritto questo squilibrio nel libro, il finale dell’opera è lo stesso infatti, questo fotogramma dove rimangono inquadrate soltanto due donne. Per il film abbiamo fondamentalmente preso tutto dall’opera di Philippe Djian, forse ampliandone alcuni aspetti, ma abbiamo completamente seguito quello che il libro ci offriva.
Un aspetto però del libro è stato del tutto stravolto: il lavoro della protagonista. Da cosa parte l’intenzione di metterla a capo di una sede di creazione di videogiochi?
Nel libro la protagonista scriveva sceneggiature insieme ad un manipolo di collaboratori, ma questo mestiere non andava parallelamente con il racconto, bisognava trovare qualcosa che potesse inserirsi più evidentemente nella storia. È stata mia figlia minore a dare l’idea durante una cena a Los Angeles e quando l’ho proposto allo sceneggiatore del film era entusiasta visto che ne è un grande fan.
Ci sono progetti futuri imminenti?
Il prossimo film alla quale sto per mettere mano è tratto da uno studio di una professoressa universitaria che ha investigato piccoli borghi italiani del Medioevo. L’opera è intitolata Immodest Acts, ma il titolo del film sarà Blessed Virgins e tratterà di due suore in un monastero della Toscana. Poi nel futuro potrei lavorare alle due storie che ho in mente da tempo: un biopic su Gesù basato sul Vangelo di Matteo e un film su una donna protagonista dove Hitler è uno dei personaggi.