36° Torino Film Festival – 10 film da recuperare assolutamente
Dal cinema greco a quello danese, dal vincitore Wildlife al folle Mandy... Ecco 10 titoli assolutamente da non perdere del Festival di Torino.
Quello di Torino è veramente uno degli eventi di cinema più interessanti nel nostro panorama festivaliero. L’incontro di cinefilia e industria che riserva un’occhio di riguardo ad opere che potrebbero non veder mai la luce della sala, ma che non si riserva di lasciare posto a pellicole tra le più attese del cinema che vedremo nei prossimi mesi. Un connubio felice, che lascia sempre lo spettatore emozionato davanti all’esperienza cinematografica del Torino Film Festival e permette di fruire di pellicole da lodare.
Non è dunque un’operazione facile scegliere soltanto alcuni titoli per stilare la lista delle migliori opere del festival. Una classificazione in cui, però, vogliamo avventurarci per ripercorrere con voi alcuni grandiosi titoli della 36esima edizione del festival, imprescindibili per qualunque amante del cinema. Tra punte di diamante della prossima stagione cinematografica e piccoli gioiellini europei, ecco i 10 film che vale assolutamente la pena scoprire.
I 10 film assolutamente da vedere del 36esimo Torino Film Festival
High Life (Claire Denis)
Ipnotico, denso, pieno come è piena la vita. Anche nello spazio e oltre questo. High Life è l’opera più sorprendente del Torino Film Festival. La regista francese Claire Denis conduce Robert Pattinson in direzione di un buco nero e lo rende perno di una riflessione sul sesso e l’umano che apre a tanti interrogativi, lasciando sconvolto lo spettatore. La fantascienza che diventa più umana che mai, una riflessione sulla penetrazione dell’essere nel mondo e, con High Life, nello spazio vuoto.
Blaze (Ethan Hawke)
Blaze è poesia. Biopic firmato dall’attore Ethan Hawke, la pellicola sul cantante country e la sua storia d’amore con Sybil Rosen viene raccontata al pari di una canzone suonata da un musicista ubriaco alla flebile luce di una lampadina. È cinema in versi, che parla di musica come pochi altri film hanno saputo fare, con tutta la portata del genere cantato da Blaze Foley e le ricadute che l’esistenza ha riservato ai suoi componimenti. Una pellicola calda che si imprime nel cuore grazie, soprattutto, ad un montaggio attraverso cui passa tutto il significato del film.
Wildlife (Paul Dano)
Paul Dano vince con la sua opera prima Wildlife al Torino Film Festival. Passato alla regia, l’attore americano mostra una solidità visiva invidiabile per chi si ritrova alla propria esperienza iniziale dietro la macchina da presa, una dramma familiare tutto filtrato dallo sguardo del figlio, di cui la camera diventa ampliamento per mostrare la storia agli spettatori. Una direzione degli attori matura, che fa di Carey Mulligan una madre sfrontata e in cerca di sicurezza e di Jake Gyllenhaal un marito e padre inefficace, alla ricerca di un successo che non arriverà mai.
The Guilty (Gustav Möller)
Alla sua prima esperienza sul grande schermo, il giovane Gustav Möller porta al Torino Film Festival l’opera che apre al discorso cinematografico più interessante dell’intero evento. The Guilty è il thriller che non vedremo mai, in cui il protagonista principale è un auricolare e quello soltanto. Una sceneggiatura studiata nel dettaglio, che incanala tutta la suspance che parte dalle chiamate telefoniche, passa per l’orecchio del protagonista principale e finisce per colpirci con una freddezza e un’angoscia davvero sorprendenti, visto che tutto rimane incentrato puramente sul lato dell’udito. Un esperimento impressionante, che lascia estasiati per le sue risoluzioni.
Mandy (Panos Cosmatos)
C’è chi lo ha amato, ma c’è, soprattutto, chi lo ha odiato. Perché è questo Mandy: tutto e niente. Amore e odio puro. Una visione che divide i propri spazi in due unità ben distinte, la prima più mistica, dilatata nei propri tempi e, per questo, quasi insopportabile da sostenere. Poi la sua seconda metà, con un Nicolas Cage che perde completamente la testa e finisce imbrattato dalla testa ai piedi di sangue, mentre passa dall’urlare in un bagno in mutande fino a combattere a chi ha la motosega più lunga con un demone motociclista. Un film, come i personaggi, sotto effetto di LSD, ma che vale decisamente una visione, almeno una volta nella vita.
Copia originale (Marielle Heller)
Melissa McCarthy potrebbe davvero raggiungere la serata degli Oscar. Non la statuetta magari, ma per la sua interpretazione della scrittrice Lee Israel c’è la possibilità di vederla in pole position nell’award season. La comica americana si sveste della solita carica giullaresca e si cala in Copia originale con una velenosità e un’asprezza inedita, sottolineata tanto dal suo ruolo, quanto dal film di cui è ottima protagonista insieme al collega Richard E. Grant. Una pellicola sullo scomparire dietro una firma eppure aver voglia di far conoscere i propri lavori al mondo. Un racconto personale e divertente, di cui sentiremo molto parlare.
The Front Runner (Jason Reitman)
Jason Reitman abbandona momentaneamente le sfere del privato che è andato sempre ricalcando per aprirsi al mondo della politica e lo fa con la sua ultima opera The Front Runner, storia di quelle presidenziali che avrebbero potuto davvero rendere, ieri come oggi, l’America grande di nuovo. È la storia del democratico Gary Hart che viene raccontata e Reitman sofferma la propria attenzione sul cambiamento che la figura della politica e i suoi esponenti hanno intrapreso, da portatori di valori e ideali a semplici figure di rilevanza, al pari ormai delle star di Hollywood.
Pity (Babis Makridis)
La Grecia continua a riservaci la parte più alienante e straniante del cinema mondiale. Pity di Babis Makridis è l’esplorazione del piacere del soffrire che intraprende l’estremizzazione più radicale, una riflessione masochista che mostra l’altro volto della compassione, rivelandone i lati che fanno sentire le persone amate e speciali. Un protagonista impassibile con la tempesta dentro. Un film che si incanala perfettamente nel filone dei contemporanei registi greci e che, nolente o dolente, ricorda quel Yorgos Lanthimos adesso ben più conosciuto.
Pupi Chulo (John Butler)
Matt Bomer non è più semplicemente l’uomo più bello sulla faccia del pianeta, ma con la regia di John Butler e il suo film Pupi Chulo acquista le sfumature della commedia e della tenerezza, in una versione inaspettata e lodevole. Un dramma portato in superficie gradualmente, che della patina di spirito fa la sua cartina con cui presentarsi per poi toccare il tema della perdita con un tatto che sa insieme accarezzare e colpire duramente. Tentare la sostituzione, ma comprendere che non tutti i vuoti sono destinati a venir riempiti. Non superficialmente. Non se prima non si decide di lavorare su se stessi.
Colette (Wash Westmoreland)
Seppur le ambientazioni e la scelta degli attori richiamo più un’Inghilterra da film di Joe Wright che la Parigi maliziosa a cavallo tra gli anni dell’800 e il ‘900, Colette di Wash Westmoreland è l’ulteriore prova di classe e irriverenza che contraddistingue la giovane attrice Keira Knightley. Storia vera della scrittrice e performance Sido, il film di Westmoreland prende in mano la questione femminile come fece il suo personaggio protagonista. Andare contro le convenzioni e il proprio matrimonio per riconoscere i meriti che ancora era troppo inconcepibile attribuire ad una donna. E che l’opera mostra senza scadere mai nella sterile polemica, ma rispecchiando il carattere della sua Colette realmente esistita.