A Star Is Born: dal migliore al peggiore, dal 1937 al 2018
Ecco la nostra classifica di tutti i remake di È nata una stella: e il vostro preferito qual è?
Dal 1937 al 2018 Hollywood ha infilato ben quattro film dal titolo A Star is Born, ognuno il remake aggiornato del primo, sfavillante diretto da William A. Wellman, fino alla versione di Bradley Cooper, qui per la prima volta in qualità di regista, oltre che di attore.
Ognuno di questi film aveva una protagonista indiscussa, una stella a brillare più delle altre, a suo modo specchio dell’epoca, a partire dalla Janet Gaynor della Golden Age, fino alla Streisand del terzo titolo, in pieni anni ’70. Memorabile resta, fra tutte, l’interpretazione di colei che fu l’enfant prodige per eccellenza, una Judy Garland strepitosa nel remake di George Cukor, in stagione technicolor: Grace Kelly le strappò l’Oscar, ma la Garland riuscì ad ottenere il riconoscimento del Golden Globe. Chi meglio di Stefani Germanotta in arte Lady Gaga poteva raccogliere questa smodata eredità, accettare la sfida e vincerla a pieni voti? Probabilmente nessuno, nessuno con le stesse doti canore, nessuno con lo stesso volto iconico, nessuno che sapesse affrontare lo scoglio della credibilità recitativa con il medesimo smalto.
Qual è la migliore versione di È nata una stella – A Star Is Born?
Una storia che ha attraversato i decenni, e sopratutto i generi: a partire dal dramma del primo È nata una stella, per passare al musical, al melodramma e all’impasto maturo di ognuno di questi. A onor di cronaca, ci sarebbe anche A che prezzo Hollywood?, interpretato da Constance Bennet e girato da Cukor nel 1932, il cui rifacimento venne rifiutato dallo stesso quattro anni dopo per l’eccessiva somiglianza, e infine ripreso nel 1954. Come in ogni favola hollywoodiana che si rispetti, A Star is Born fa esattamente questo: ripropone la stessa narrativa, lo stesso soggetto, ogni volta svecchiandolo e dimostrando come esista sempre la stessa storia, e sempre una declinazione diversa.
Ma, al netto di attrici brillanti, non ognuno di questi quattro film splende di luce propria come dovrebbe. Alcuni, semplicemente, hanno una luce più fioca. Vediamoli, allora, ordinati in una nostra personale classifica decrescente.
È nata una stella (1976)
Kris Kristofferson e Barbra Streisand nel remake di Frank Pierson (ottimo sceneggiatore, ma modesto cineasta): il film sposta il fuoco per la prima volta da Hollywood al mondo dell’industria musicale, laddove Barbra è una dilettante, ma sorprendente cantautrice che viene intercettata in un locale notturno da una rockstar decaduta e spossata da una vita fatta di vizi e alcol. Il film sottolinea le doti eccellenti della Streisand (che d’altronde al cinema aveva già dato tanto negli anni precedenti) e il physique du rôle di un brusco Kristofferson, ma si perde eccessivamente negli stilemi melodrammatici, indugiando in maniera non sempre giustificata nel sentimentalismo della coppia. La nervatura drammatica è, infine, debole e il film fatica a competere con i predecessori, nonché con le carriere di entrambi gli attori. Grande successo di pubblico, la Streisand si porta a casa sia Oscar che Grammy per Evergreen (il tema principale).
È nata una stella (1954)
George Cukor riprende la paternità su quello che fu, in origine, un suo progetto, e svolge un remake molto, molto simile al film di Wellman, innervandolo, grazie alla lezione di Minnelli, di continui momenti onirici, di ampi spazi musicali, di flashback, in una rincorsa mastodontica di produzione, tra technicolor, il nuovo sistema Cinemascope, ma anche tagli netti che ci vedono restituita solo nell’home vision una versione lunga ben 169 minuti. Insomma, una super-produzione hollywoodiana costruita intorno al mito (da rispolverare) di Judy Garland, che torna per ricordarci ogni sua invidiabile qualità di entertainer. Le nomination, infatti, non tardano ad arrivare (anche per la splendida The Man that Got Away, cantata da Judy in una scena particolarmente intensa, in cui la protagonista si esibisce nel night club in una specie di assolo per sé stessa). Ma il film funziona meglio nella sua prima metà, dove Esther/Vicky, entusiasta alla conquista di Hollywood, ci consegna alcune tra le migliori interpretazioni di tutta una carriera, o quando finge spensieratezza nei numeri di danza, mentre i problemi di alcol di Norman (James Mason) si fanno sempre più evidenti: da lì in poi la dinamica relazionale inizierà ad incrinarsi.
È nata una stella (1937)
Come facilmente immaginabile, il film di William Welman rimane, a decenni e decenni di distanza, l’opera che meglio ha saputo formulare la parabola del successo e della fama all’interno dei meccanismi hollywoodiani, espressi con sguardo intelligente, sottolineandone falle e trappole. Siamo nella Golden Age del cinema americano, ma il film non risparmia una certa visione cinica delle regole dello spettacolo, analizzandole dall’interno e non limitandosi a farne un’idealizzazione romantica. Si parte dal punto di vista e dall’ascesa di Esther (Janet Gaynor), figlia di un’educazione e di un background provinciale, cioè dei suoi tentativi, inizialmente fallimentari, di diventare una stella. L’incontro con Maine, attore affrancato nell’industria, la farà emergere, mentre per una sorta di spinta gravitazionale egli inizierà, parallelamente, a spegnersi. È anche la versione in cui il finale risulta più credibile.
A Star Is Born (2018)
Leggi la nostra recensione di A Star is Born
A ben 42 anni di distanza dall’ultimo remake, l’esordio di Bradley Cooper procede in un aggiornamento assolutamente consapevole dei suoi predecessori, guardando al 1937 tanto quanto alla figura della Streisand per la caratterizzazione del personaggio di Gaga. È probabilmente la migliore versione mai realizzata fino ad ora, rivelando le doti registiche e canore di Cooper (che ha appositamente migliorato le sue skill musicali) e, al contempo, la fotogenia tutta cinematografica della Germanotta. Non solo: è, in maniera evidente, un progetto nel quale entrambi hanno creduto fermamente, da cui scaturisce probabilmente una chimica importante tra i due interpreti. Il discorso sul talento e su come esso vada rispettato, cioè su come si debba essere sempre fedeli a sé stessi, è senz’altro la tematica principale, mentre il film evita facili drammatizzazioni, anche nel finale (che fatica, anche qui, a trovare una sua dimensione coerente). Fantastica Shallow e la colonna sonora nel suo insieme.