Alita – Angelo della battaglia e Cyberpunk 2077: mondi distopici con scopi comuni?
Alita - Angelo della battaglia e Cyberpunk 2077 sono solo due dei titoli più attesi di quest'anno, ma cosa hanno in comune?
Con l’arrivo in sala di Alita – Angelo della battaglia e con l’estenuante attesa del videogioco Cyberpunk 2077 di CD Project Red si torna a parlare di fantascienza, di società evolute e del rapporto tra uomo e macchina, in una parola: il cyberpunk. In una sorta di postmodernismo estremo queste realtà così lontane da noi, ma che ancora trascinano tutti i nostri errori e debolezze, ci conquistano con il loro fascino immortale, facendoci rabbrividire per i pericoli che celano. Per dar vita a quei fantastici mondi si attinge a una grande varietà di fonti e di materiale, un’infinita contaminazione di genere che trova, nell’era della psichedelia e della tecnologia, il suo terreno fertile. È però importante specificare che, a differenza della fantascienza, il cyberpunk ha una visione prettamente pessimista e catastrofica della nostra società.
La recensione di Alita – Angelo Della Battaglia
Il cyberpunk come visione distopica e pessimista della realtà
Sebbene recentemente abbia trovato la sua massima espressione nel cinema e nei videogiochi, il cyberpunk è nato come corrente letteraria negli anni ’80, gli anni d’oro della filosofia cibernetica. Le sue origini in letteratura risalgono alle opere di Aldous Huxley (la più importante è Il mondo nuovo), all’opera magistrale di George Orwell (1984), e al padre di Blade Runner, Philip K. Dick (il romanzo, però, si intitola Il cacciatore di androidi).
Ed è proprio grazie a Blade Runner che il filone letterario acquista il suo ritratto più fedele, convincendo tutti della sua esistenza. Quando si parla di Blade Runner ci si riferisce al film con la stessa autorevolezza con cui ci si rivolge a un capostipite, non a caso viene usato come metro di paragone per tutti i prodotti successivi e le citazioni che lo richiamano si sprecano. La sporca e allucinogena società che ha descritto Ridely Scott nel 1982 ancora oggi è fonte inesauribile di spunti; basti pensare a quanto abbia influenzato due prodotti usciti l’anno scorso: il videogioco Detroit: Become Human, nel quale gli androidi definiti “devianti” vengono cacciati solo perché capaci di provare emozioni; e la serie Netflix Altered Carbon, in cui il corpo umano non è altro una custodia di pelle, entrambi un chiaro riferimento ai replicanti creati dalla Tyrell Corporation.
Da Blade Runner a Ghost in The Shell, visioni lontane ma terribilmente attuali
Altered Carbon è solo la più recente serie televisiva del genere, ma il franchise che potrebbe eguagliare Blade Runner come importanza e vastità è senza ombra di dubbio Ghost in the Shell, il cui manga di Masamune Shirou del 1989 ha dato vita a una serie di altri prodotti d’intrattenimento, tra cui romanzi, videogiochi, serie televisive e diversi film, il più recente dei quali è l’adattamento con protagonista Scarlett Johansson. Punto cardine di queste opere è il precario confine tra uomo e macchina, arrivato in taluni casi a disintegrarsi per far spazio ai cyborg, uomini con innesti artificiali che però riescono a mantenere la qualità che più ci contraddistingue come razza: la comunicazione.
Vale la pena fare una distinzione tra cyborg, intesi come essere umani potenziati, e tra androidi, ovvero robot creati per assomigliarci. E non si può parlare di tali avanguardie senza citare due pellicole che più contraddistinguono il genere: RoboCop di Paul Verhoeven e Terminator di James Cameron. E proprio grazie a quest’ultimo i cyborg sono tornati a conquistare le sale. Non più col volto rude di Arnold Schwarzenegger, bensì con la bella Alita che, con i suoi occhioni e la sua tenera età, ci ha insegnato a non giudicare mai dall’aspetto. Alita è infatti una potentissima cyborg esperta nell’arte marziale del Panzer Kunst. Trovata in mezzo ai rifiuti della Discarica dal dottore Daisuke Ido, viene riparata e dotata di un nuovo corpo da combattimento.
Quello di Alita – Angelo della battaglia è il classico mondo distopico che ritroviamo nelle opere cyberpunk fin da Metropolis (1927) di Fritz Lang, in cui i più fortunati vivono e lavorano ai piani alti delle città, noncuranti della vita che sono costretti a fare i più poveri nei bassifondi, dove le rivolte sono sempre pronte ad esplodere. Questa realtà è molto affine a quella di uno dei videogiochi più attesti dell’anno: Cyberpunk 2077, basato sul gioco di ruolo Cyberpunk 2020 (pubblicato nel 1988), solo la più recente e massima immersione nel genere. Le ambientazioni grottesche, la società in mano alle corporazioni assetate di potere, l’umanità sempre più cibernetica e il sopravvento dell’intelligenza artificiale – unito al progredire della letalità delle armi – fanno del gioco il perfetto mezzo per immergersi in un mondo frenetico in cui le macchine, spesso, si rivelano più umane degli uomini stessi. E questa, è la perfetta sintesi del cyberpunk.