Anna Magnani: il mito e la carriera della Donna dai tre volti
"Io sono una stronza, io dovevo nascere contadina nell'agro romano [...] Invece mi son messa a far l'attrice, sono diventata Anna Magnani e sono stata un'infelice per sempre"
Anna Magnani non ha mai scritto in corsivo, non era composta, si imponeva nella scena come un temporale incessante, manipolava la luce, frantumata, esplosiva. Non amarla è un delitto. Non avrà mai avuto il portamento di Grace Kelly o i tratti gentili di Audrey Hepburn o il disincanto di Greta Garbo ma compensava infinitamente con lo splendido crinale che formavano le occhiaie cupe con la seta della sua pelle, una bellezza rarissima, perché battezzata dal dolore, un carattere irruento perché da sempre unita con la rabbia della strada. “Io sono una stronza, io dovevo nascere contadina nell’agro romano, fare tredici figli, sì, scodellare figli a mio marito e ogni volta che aprivo bocca quello mi riempiva la faccia di schiaffi. Questo era il personaggio mio, per essere vera con la mia natura. E dovevo far così. Invece mi son messa a far l’attrice, sono diventata Anna Magnani e sono stata un’infelice per sempre”.
La scelta di essere un’attrice non fu indirizzata o così semplice e intuitiva, fu più una necessità, aveva fin da bambina delle voragini familiari e affettive che si ripercuoteranno poi sulle sue scelte amorose, cosa che ebbe del determinante e sintomatico, cosicché venire al mondo senza figura paterna e una madre che non perse occasione di abbandonarla per un amore passeggero certo la rese una viandante tra le negazioni primordiali e l’eccessivo amore che ottenne per la sua metodica attoriale.
Ciò che potrebbe sorprendere era l’impatto che aveva sulla gente, con quella sua indole viscerale, un approccio quasi per nulla metafisico che sincerava nelle sue interpretazioni, era in verità il risultato finale fatto di studi, ossessioni e metodo che la spingeva a non uscire di casa per studiare la parte finché non potesse essere talmente credibile da diventare quelle stesse ombre, camminare con il passo di Mamma Roma o vaneggiare della solitudine di Serafina.
Anna Magnani e i film che l’hanno resa celebre
In ordine di grandezza ha interpretato nella sua carriera pilastri filmici che non hanno mai smesso di essere citati o studiati come Roma città aperta, il manifesto della scuola neorealista, crudo, lacerante ed epocale.
Un film indimenticabile del 1945, primo della Trilogia della guerra diretto da Rossellini, che secondo la versione più accreditata nacque in una trattoria romana in seguito alla liberazione di Roma da parte degli alleati, da ciò Rossellini assieme a Sergio Amidei pensò di comporre un documentario sugli accadimenti che vedevano protagonisti i cittadini romani durante l’occupazione fascista. Le stesse riprese del film furono tormentate da svariati motivi tecnici, quali l’impossibilità di accedere agli studi di Cinecittà, rasi al suolo dai bombardamenti, procurare i materiali come pellicole era arduo e molto costoso, si girava esclusivamente nelle ore del coprifuoco poiché almeno si era certi che non ci sarebbero stati problemi di mancanza di elettricità, col risultato che il film il primo giorno incassò 692 lire per poi esplodere definitivamente nel periodo del 45-46 con 162 milioni di incassi. L’eternalità di Roma città aperta è insidiata in un nuovo modo di percepire e rendere il cinema, cambia lo sguardo, cambia il modo di mostrarlo e lo spettatore è componente della sua resa poiché può scegliere se contraccambiare o puntare gli occhi su altro.
La protagonista è Pina, una vedova madre di un bambino, le cui disavventure vanno a segmentarsi con quelle di Manfredi, uomo di spicco della Resistenza, che sfuggendo a una retata si rifugia presso Francesco, un tipografo antifascista, il quale avrebbe dovuto sposare Pina il giorno seguente. L’emblema e la resa più insolita risiede nel far scomparire la protagonista a metà film, la sua morte, in una delle scene più straordinarie mai realizzate da mente umana, non è neppure consolidata da una ripresa precisa ma è alquanto distratta, non si sofferma sul dolore, sulla disperazione, con l’intento di de-drammatizzare la sua macchina da presa. Anna Magnani era talmente precisa che quella scena della sua morte la girò tantissime volte, cascando ancora e ancora sull’asfalto.
Sull’onda della sua romanità che è radicata nel suo essere come un incesto bello e spudorato, nel 1962 interpreta Mamma Roma, un capolavoro indiscusso di Pier Paolo Pasolini. Qui incarna una prostituta che si accinge ad allontanarsi definitivamente dal suo lavoro e dal suo protettore per riappropriarsi del figlio e di una normalità quanto mai auspicata. La genialità è insita nell’eccesso consolidarsi delle sue disavventure, nei modi gergali che offre non solo il suo volto ma il suo stesso corpo che non cede mai alle disattenzioni o ai cambi di inquadratura, quando cammina per la strada in quello che è un eterno abbandono e un eterno ritorno alla sua vecchia vita la Magnani incede e conduce la sua interpretazione senza nobilitare lo spirito di quella donna dai poveri ideali e allo stesso tempo senza mortificare altrettanto la sua semplicità o la franchezza con la quale disattende le sue sfortune. Stupendi sono gli svariati richiami all’arte come ad esempio la scena iniziale, il matrimonio con il quale si apre il film, che è chiaramente il riproporsi del Cenacolo di Leonardo Da Vinci oppure quando suo figlio è morituro in ospedale, Ettore è in una posa incontrovertibile che ricorda il Cristo Morto del Mantegna. Pasolini, come lo stesso Rossellini o Tennessee Williams hanno scritto dei ruoli pensati al fine che fosse lei, e solo lei, ad indossarli. La Rosa tatuata (1955) le valse l’Oscar e divenne così la prima attrice italiana a conquistare l’Academy. Il personaggio di Serafina è in continuo divenire, una donna con le sue morbosità, devota a Rosario, suo marito, ma che nonostante le peripezie e le delusioni che subirà non si perde d’animo, non è mai messa in ombra o minimizzata da questa condizione che poteva scadere nell’asservimento totale.
Anna Magnani – l’interprete della sopravvivenza
Anna Magnani interpretava essenzialmente la sopravvivenza, la rinascita, le cadute e i suoi personaggi erano una novità, le sue donne erano polemiche, orgogliose, decise a sbagliare ma con vigore, pronte a conquistarsi il presente con la rabbia e la grazia di una vergine madre.Un incontro controverso e simbolico avviene tra la Magnani e Fellini, in quanto farà di tutto per averla nel film Roma del 1972 in cui gli attori si susseguono in una serie di vicende senza una trama definita: ci sono Alberto Sordi, Marcello Mastroianni, Gore Vidal, e Anna Magnani, che impersonano tutti sé stessi. Fellini in uno scritto sentenzierà che l’impressione riassuntiva di questa città è una: l’ignoranza. “Roma è abitata da un ignorante che non vuole essere disturbato e che è il più esatto prodotto della Chiesa. Può darsi che questo sia il volto dell’estrema decrepitezza, di chi ha digerito tutto ed è stato a sua volta digerito, è diventato escremento, esaurimento totale di tutte le esperienze e ritorno alla terra, concime.”
Fellini narra della Roma delle puttane, di quella Roma annichilita da tutto e che tutti possono assorbire e abusare. Proprio per questo la locandina del film è raffigurata da una donna con tre mammelle, come la lupa capitolina, essa è la città che l’ha partorito, professionalmente, con la sua trama torbida e cruda.
La scena finale è alta, sincera ed è proprio come lei: la Magnani viene ripresa mentre rientra a casa e rincorsa dalla voce di Fellini che la saluta come il simbolo della città, un po’ lupa, un po’ vestale, aristocratica e buffonesca. E lei con il suo sorriso incredulo e beffardo lo guarda e lo manda via provocandolo: “A Federì, ma va a dormì, va’”