Argo: la storia vera raccontata nel film di Ben Affleck
Argo è un film che coinvolge dall'inizio alla fine e poco importa se Affleck romanza in qualche caso la realtà, non segue pedissequamente la storia, ciò che importa è la forza di una pellicola che non si tira indietro, che sa sedurre lo spettatore con una storia appassionante.
Siamo nel 1979. Dopo la fuga negli Stati Uniti dello Scià Mohammad Reza Pahlavi durante la rivoluzione islamica (guidata dall’ayatollah Khomeini) i rivoltosi attaccano l’ambasciata americana di Teheran e coloro che vi lavoravano sono tenuti in ostaggio per più di 400 giorni. Sei degli impiegati fuggono e riparano nella residenza dell’ambasciatore canadese. La CIA vuole riportarli a casa e organizza così una missione di esfiltrazione creata da Tony Mendez aiutato da una vera produzione hollywoodiana. Mendez vuole avere da parte del Ministero della cultura iraniano il permesso di entrare e soprattutto di uscire dal paese per riportare in patria i sei ospiti dell’ambasciatore canadese, per fare ciò dà loro delle identità, spacciandoli per maestranze del film.
L’uomo per rendere più credibile il tutto (l’intenzione di girare un film di fantascienza in Iran) lavora su una sceneggiatura che è veramente nelle mani del sindacato sceneggiatori: Argo (nella realtà invece era Il Signore della Luce, un romanzo di fantascienza del 1967). Questo è Argo (candidato agli Oscar 2013 con sette nomination), il terzo film di Ben Affleck, dopo Gone Baby Gone e The Town; il regista prende ispirazione da avvenimenti realmente accaduti, ci gioca, vi mette mano per creare un’opera che è un mix di fantasia e realtà, verità e immaginazione, storia e fiction.
Argo: un film che mette al centro una storia vera
Il film diretto e interpretato da Ben Affleck, che con una recitazione misurata dà corpo a Mendez, un uomo tenace, risoluto, deciso, narra una delle più famose operazioni di spionaggio degli Stati Uniti: la “Canadian Caper”, messa in atto da Usa e Canada per risolvere la “crisi degli ostaggi” iniziata il 4 novembre 1979. Argo, oltre a partire dalla realtà dei fatti, prende le mosse dal libro autobiografico di Tony Mendez, The Master of Disguise; Affleck semplifica, ridimensiona, espande ed esaspera (il finale della vera Storia è molto meno movimentato) l’operazione mantenendo la portata e i pilastri della stessa ma ha la capacità di scrivere un’impresa nuova, da eroi, come quella degli Argonauti che con la loro nave, Argo appunto, si diressero in Colchide alla conquista del vello d’oro.
Il giovane regista crea una suspense così forte, soprattutto nella parte finale della pellicola, nel momento in cui i sei impiegati sono vicini a prendere l’aereo (quindi a fuggire), che lo spettatore ha veramente paura per loro. Nonostante la Storia abbia già fatto il suo corso, chi guarda teme che qualcuno esca dal “personaggio”, che i soldati, intuita la loro identità li catturino, riescano a fermarli a pochi passi dalla salvezza. Argo è un film complesso, solido, che lavora su più piani, sembrando quasi tre film in uno: nella prima parte sembra un classico film di guerra (le riunioni della CIA per elaborare un piano di fuga, le immagini di una Teheran in balia degli eventi), poi passa quasi alla commedia hollywoodiana (la ricerca degli uomini che avrebbero dovuto aiutarlo in patria, John Chambers/John Goodman, colui che ha curato nella realtà gli effetti speciali di Il pianeta delle scimmie, e il produttore Lester Siegel/Alan Arkin) per poi finire come un thriller teso e drammatico. Il film è tenuto insieme dal corpo attoriale di Affleck che riesce con il suo volto imperscrutabile a dare il senso del malinconico e severo rigore morale di chi ha la Storia tra le mani.
Argo: il racconto di un grande amore
Che il Cinema sia elemento fondamentale di Argo è innegabile; diventa forza quasi salvifica: Mendez riesce a riportare a casa i sei americani proprio grazie a Hollywood e alla sua fabbrica dei sogni. La pellicola è intrisa dell’amore di Affleck per la Settima arte, respira e vive di citazioni (le statuette nella camera del figlio dell’uomo della CIA), di richiami (Groucho Marx), di passione per i grandi film (Star Wars). Mendez/Affleck va a Hollywood, dove recluta John Goodman e Alan Arkin, sceglie la sceneggiatura (ripescata tra quelle non ancora realizzare) con una cura maniacale – il film deve essere plausibile e organizzato in tutto e per tutto – si spaccia per il produttore dell’opera portando in borsa gli storyboard (una tavola verrà portata dall’uomo al figlio). Si creano i poster del film, la presentazione per la stampa, lo studio cinematografico. Anche nell’arrivo a Teheran di Mendez, cavaliere senza macchia e senza paura, riecheggia la più tradizionale epopea del cinema americano dell'”arrivano i nostri”. L’uomo si spende in tutto e per tutto nell’impresa, si fa paladino di un gruppo e di una nazione, mette in pericolo se stesso quando decide di andare avanti anche se ad un certo punto viene lasciato solo.
Cinema e Politica sono più vicini che mai, camminano entrambe su una linea sottilissima che separa realtà e finzione: il cinema spesso racconta storie finzionali, si nutre della dicotomia vero/falso, e dal canto suo la politica frequentemente distorce la realtà, cibandosi di menzogne. In Argo tutto questo diventa intento programmatico che si moltiplica all’infinito: la Nazione si serve della fabbrica delle illusioni per eccellenza per salvare i suoi figli, giocando con ciò che è vero, con ciò che sappiamo essere falso, il risultato alla fine è la riuscita ed è questo ciò che conta.
Argo: il racconto della fuga
L’opera di Affleck è tutta orchestrata per il finale, una conclusione in cui ogni cosa deve essere al posto giusto, dove ogni elemento è funzionale ad un altro; basta poco per far crollare la costruzione, basta un passo falso e la vita di Mendez e dei sei americani è a rischio. La regia silenziosa ma precisa dell’attore dietro alla macchina da presa tira le fila e poi le allenta (a ogni passo avanti nel percorso si fa un sospiro di sollievo), muove come pedine il nascosto (la vera identità di ciascuno di loro) e il mostrato (i loro nuovi passaporti, i loro nuovi nomi), ciò che accade all’aeroporto di Teheran, ciò che accade nella città e ciò che accade negli Stati Uniti. Dal rifugio fino all’aeroporto la tensione sale, la paura dei personaggi aumenta e con la loro la nostra e lo spettatore percepisce con ogni cellula del proprio corpo il fiato sul collo del Nemico (quando i fuggitivi vengono portati in una stanza per fare loro delle domande).
Argo è un film che prende dall’inizio alla fine e poco importa se Affleck romanza in qualche caso la realtà, non segue pedissequamente la storia, ciò che importa è la forza di una pellicola che non si tira indietro, che sa sedurre lo spettatore con una storia appassionante.