Assetate di vendetta: il controverso filone Rape and Revenge
Chi è la vittima e chi è il carnefice? I confini diventano labili quando si parla di Rape and Revenge movie, un sottogenere del cinema d’exploitation nato in USA negli anni ’70 che ha letteralmente diviso l’opinione pubblica ( soprattutto la critica femminista), tra i più censurati e condannati della storia del cinema. La vendetta è il tema centrale della narrazione filmica, sempre portata a termine da una donna vittima di umiliazioni e violenze maschili, oppure, nel caso in cui la vittima muoia, da terzi a lei affezionati.
A disturbare la visione sono le scene di violenza (in alcuni casi splatter) descritte in maniera dettagliata, fredda e distaccata, soprattutto per quanto riguarda lo stupro e le sevizie della donna. In questo modo nella prima parte del film lo spettatore è psicologicamente portato a soffrire assieme alla protagonista, vittima impotente di terribili torture; la situazione si ribalta nella seconda parte: l’agnellino indifeso si trasforma in un temibile squalo assetato di sangue e con esso, chi guarda, gode in un certo senso della resa dei conti.
Ma vediamo qualche film che ha scritto il genere Rape and Revenge:
The Last House on the Left di Wes Craven, 1972.
Mari (Sandra Cassel) è una ragazza di 17 anni che decide di passare il giorno del suo compleanno assieme alla sua migliore amica (Lucy Grantham). Sfortunatamente, mentre cercano della marijuana, le due capitano a casa di un criminale psicopatico evaso dal carcere(David Hass), affiancato dalla sua banda di malviventi. Inizia così una delirante serie di gratuite torture efferate e violenze sulle due malcapitate …Ironia della sorte, i criminali cercheranno rifugio proprio nella casa dei genitori di Mari, cosa che rimpiangeranno amaramente!
Considerato da molti il film iniziatore del genere, l’esordio alla regia di Craven è in realtà dichiaratamente ispirato a Jungfrukallan (1960) di Ingmar Bergman, la trama dei due film è pressoché identica. All’epoca della sua uscita la pellicola scosse profondamente e fu oggetto di pesante censura a causa della ferocia realistica delle sue immagini, a detta sua Craven fu influenzato da un crudo documentario sulla guerra in Vietnam; il film, oltretutto, andava a toccare in maniera nichilista temi scottanti della società americana quali la droga, la famiglia, la polizia ed una violenza sanguinaria non lontana da quella perpetuata in quel periodo dalla Manson’s Family. Dice lo stesso Craven a proposito della sua pellicola:
L’ultima casa a sinistra è stata una mia reazione a tutta la violenza che ci circondava[…] Ho preso parte a molte manifestazioni di protesta contro la guerra, e volevo mostrare come la violenza infetti le persone. Il film spazzò via tutti i cliché della violenza al cinema… Io ne feci una cosa dolorosa, protratta, scioccante – e molto umana. Così come resi umani coloro che la praticavano.
La fotografia ed il montaggio del film sono imperfetti ma è un elemento essenziale a creare un’atmosfera di “sporca realtà” andata perduta in molte contemporanee pellicole patinate.
Dennis Iliadis realizza un remake poco riuscito nel 2009, attenuate sono le imperfezioni registiche ma lo è anche il clima disturbante e trasgressivo, ripulito e reso fruibile ad un vasto pubblico da multisala.
Curiosità: la campagna promozionale ebbe un impatto non da poco sul pubblico con frasi ad effetto come “Se non volete svenire, continuate a ripetervi: è solo un film, è solo un film, è solo un film”.
L’ultimo treno della notte di Aldo Lado, 1975.
Monaco, vigilia di Natale. Lisa e sua cugina tedesca Margareth viaggiano in treno per Verona, dove ad attenderle per festeggiare ci sono i genitori. Costrette per una presunta bomba a cambiare treno, si troveranno a bordo di un convoglio deserto fatta eccezione per due balordi criminali affiancati da un’ elegante donna misteriosa. Per le due ragazze ha inizio l’incubo: violenze ed abusi atroci le porteranno ad una tragica fine; ma proprio quando i criminali pensano di averla fatta franca, scendendo dal treno si imbattono nel padre di Lisa che presto scopre l’orribile verità…la feroce vendetta non tarda ad arrivare!
Sulla falsa riga di The Last House on the Left, la nostrana pellicola di Lado non ha nulla da invidiare a molti film statunitensi e merita un’attenta visione perché , oltre ad appartenere al filone Rape and Revenge, porta al suo interno tematiche importanti per il periodo storico in cui si inserisce: una forte critica anti borghese, assieme ad un disprezzo verso i falsi valori perbenisti dell’ alta società. La particolarità della trama è che, assieme ai due ragazzi criminali, vi è una donna misteriosa ( bravissima Macha Mèril) che, a differenza della dissoluta Sadie di Craven, sembra la classica borghese per bene: è lei, in realtà, a muovere i fili ed incitare alla perversione violenta verso le due ragazze. Personaggio decisamente riuscito dalle affascinanti sfumature.
L’ultimo treno della notte non è propriamente un horror, tuttavia troviamo in esso sequenze particolarmente crude e di forte impatto emotivo come lo stupro di Lisa, perpetrato con un coltello serramanico, e la fredda vendetta finale del padre (Enrico Maria Salerno) un personaggio mite e silenzioso che si trasforma negli ultimi 10 minuti del film.
Il film fu accolto decisamente male dalla critica dell’epoca ed ebbe problemi con la censura di tutto il mondo, liquidato come una pellicola malriuscita che enfatizzava una “pornografia della violenza”. Nonostante diversi errori in alcuni raccordi e qualche dialogo un po’ forzato, il film tiene lo spettatore in bilico tra una claustrofobica realtà di pericolo e una morbosa ed ambigua atmosfera ( emblematico il personaggio del voyeur che fa una chiamata anonima alla polizia), una visione crudele e cinica ma che offre svariate chiavi di lettura. Particolare ed insolito il finale: la vendetta è realmente avvenuta? L’ultimo fermo-immagine è un amaro boccone difficile da ingoiare.
Curiosità: Morricone firma le musiche del film, uno dei due balordi suona con l’armonica lo stesso tema sinistro di C’era una volta il west.
I spit on your grave di Meir Zarchi 1978.
La giovane scrittrice Jennifer si ritira in una casetta nel bosco per scrivere indisturbata il suo primo romanzo, dopo poco tempo viene notata da quattro giovani del posto che riescono ad introdursi nell’abitazione e senza pietà brutalizzano, violentano e poi abbandonano la ragazza nella casa, credendola morta. Jennifer diventa una furiosa Erinni pronta a far scorrere, fino all’ultima goccia, il sangue di chi deve pagare le sue colpe.
Un film diventato simbolo del genere Rape and Revenge, pesantemente criticato per aver calcato con occhio celebrativo la parte rape, mostrata freddamente in una sequenza interminabile che ha letteralmente diviso l’opinione pubblica: chi taccia il film di una misoginia estrema e di una violenza gratuita, chi vede al suo interno la volontà del regista di far comprendere fino a che punto può spingersi l’essere umano e chi , addirittura, lo ha definito un film femminista incompreso. Nonostante tutto non c’è pornografia, la macchina da presa mostra tutto con un immobile totale evitando la morbosità del dettaglio; la regia minimal, quasi documentaristica, lascia un segno nello spettatore che osserva con distaccato e assieme morboso voyeurismo. Alla violenza esasperata e gratuita dei carnefici se ne sostituisce una traslata su una decisa vendetta morale che, tuttavia, sembra a tratti decisamente ludica.
Curiosità: Zarchi racconta di essere stato ispirato da un’esperienza personalmente vissuta in cui si ritrovò a soccorrere una ragazza vittima di violenza sessuale; il titolo originale del film era Day of the Woman trasformato per motivi di distribuzione in I spit on your grave, da sempre odiato dallo stesso regista.
The Woman di Lucky Mckee, 2011.
Durante una battuta di caccia Christopher, avvocato in carriera e manesco padre di famiglia, si imbatte in una donna selvaggia, ultima sopravvissuta di una tribù cannibale. Schifato e assieme ammaliato da tale visione, cattura ed incatena quest’ultima nel suo scantinato; l’intento di civilizzare la donna si trasforma ben presto in una scusa per perpetuare violenza e sodomia sulla prigioniera, vittima di sevizie e stupri da parte del padre e del figlio. Proprio quando la sadica follia di Christopher sembra raggiungere il suo picco, il malato progetto di addomesticamento viene interrotto da una ferocia brutale senza pari, che non può resistere a catene.
Film più recente, The Woman è un horror che sembra aver molto da spartire con il sottogenere Torture Porn, in realtà la struttura della trama e i temi trattati lo rendono del tutto attribuibile ad un Rape and Revenge movie. L’apparentemente perfetto nucleo familiare americano viene sezionato ed osservato da vicino: il vincente padre (Sean Bridgers) è in realtà un sadico perverso, la perfetta mogliettina è una casalinga sottomessa, l’educato figlio è fuorviato anch’egli dall’esempio paterno e la giudiziosa figlia è una vittima silenziosa. In tutto ciò la figura della donna (una spettacolare Pollyanna McIntosh), incatenata come un animale e trattata come tale, diventa il nucleo della disgregazione familiare, vittima di una violenza cruda e ludica. McKee mostra le torture subite e perpetuate senza remore, marcia e putrida è l’ atmosfera, ma anche l’interiorità dei personaggi. La violenza ha un ribaltamento: da patriarcale a liberatoria, non conosce regole civili ma solo sete di vendetta.
Curiosità: di forte impatto simbolico è la scena in cui il padre “civilizzatore” perde un anulare, staccato con un morso dalla donna selvaggia che, sgranocchiando una falange per volta mentre lo fissa negli occhi, sputa sprezzante la fede nuziale.
Criticato o esaltato, non si può negare che questo sottogenere abbia influenzato grandi registi contemporanei, primo fra tutti Tarantino. E voi cosa ne pensate? Qual è la vostra Lady Vendetta preferita?