Avengers: Endgame – la consacrazione del Thor di Chris Hemsworth
Analizziamo l'evoluzione di Thor, il dio del tuono interpretato da Chris Hemsworth, e perché Avengers: Endgame rappresenta la consacrazione dell'eroe. ATTENZIONE L'ARTICOLO CONTIENE SPOILER SU AVENGERS: ENDGAME!
È il film più epocale dell’epopea Marvel, iniziata nel 2008 con il primo Iron Man e giunta con Avengers: Endgame al suo primo vero punto di demarcazione. Una fine che ribolle dentro, ma che segna il principio di un futuro che i Marvel Studios hanno tutto da scrivere. Abbandonare pilastri base della formazione dei primi vendicatori è, di certo, il trampolino per il proseguo di una saga che, come tutte le storie e i personaggi, ha bisogno di spostarsi in avanti, comprendendo il dover dire addio a chi abbiamo imparato ad ammirare nel corso degli undici anni di MCU e attendendo le sorprese che ci riserva il futuro.
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Se, dunque, la chiusura dei personaggi di Iron Man, Captain America e Vedova Nera si rivela la più dignitosa possibile per quelle figure essenziali allo sviluppo degli Avengers, ci sono stati ben altri due supereroi che non hanno potuto che deludere le aspettative dei fan. Quella di Hulk e Thor è stata, per molti, la demolizione di due characters che avrebbero meritato un’evoluzione differente, in prospettiva dello scontro con Thanos, e che invece si sono ritrovati a coprire il ruolo comico di un film che, pur conscio della gravità della situazione e delle implicazioni dello schiocco del guanto, non ha tralasciato la sua verve più leggera e, comunque, apprezzabile.
Che cosa è successo a Thor?
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Eppure nella costruzione di Thor c’è molto più ragionamento critico di quello che non si riesca a cogliere in un primo momento. Le caratteristiche fisiche e comportamentali di Thor sono indubbie: aspetto prestante, presenza scenica massiccia, personalità sempre al limite, tra le incongruenze che vanno creandosi tra un dio e i suoi colleghi umani. Ma, nonostante la descrizione delineata del personaggio, i film stand-alone del figlio di Odino non hanno mai raggiunto le vette di apprezzamento, professionale e del pubblico, dei suoi compagni vendicatori. Pur potendo ancora trovare godibile il primo Thor del 2011, sono stati i risultati disastrosi – tanto quando la produzione e il riscontro del cast – di Thor: The Dark World (2013) a dare la spinta ai Marvel Studios di intraprendere tutt’altra rotta rispetto a quella percorsa fino a quel momento dal dio del tuono.
Ecco, dunque, la trasformazione decisiva per il supereroe interpretato da Chris Hemsworth: Thor: Ragnarok. Dimenticati i toni scuri, anche dal punto di vista visuale e scenografico, dei precedenti film da solista di Thor, la Marvel prende tra le proprie fila Taika Waititi, personalità dello spettacolo che dalla nicchia della sua eccentricità, con mockumentary sui vampiri e passeggiate nei boschi con Sam Neil, travolge l’estetica e la narrazione Marvel con i fiumi della propria bislaccheria. Cambiamento vistoso, impossibile da non notare. E fonte, inevitabile, di una divisione sulla qualità non tanto di intrattenimento, quanto di coerenza con il dio nordico. Pur con tutte le ritrosie del caso, è però indiscutibile il successo che Thor: Ragnarok ha saputo catturare, destabilizzando per la sua cialtroneria intrinseca, ma facendo apprezzare a molti spettatori la vena irresistibile di un cineasta che non può che marcare la propria firma ad ogni opera che lo riguarda.
Quando tutto è cambiato, Thor: Ragnarok
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Con Thor: Ragnarok abbiamo, così, i primi semi di ciò che attende il personaggio in Endgame. Avendo imparato a divertirci della comicità del protagonista nella sua terza pellicola da solista, avendo riso delle gag con Hulk e con il Jeff Goldblum dj spaziale, era ineludibile proseguire su di una direzione che si mostrasse coesa con la mutazione avvenuta in Ragnarok, nolente o dolente che sia per molta parte dei fan. Una metamorfosi per Thor, che dopo il film di Waititi, ha proseguito con l’incontro in Avengers: Infinity War con i Guardiani della Galassia e che porta alle estreme conseguenze del Thor di Avengers: Endgame. Un’alterazione del personaggio che, però, è bene osservare anche all’interno degli eventi che hanno portato alla vittoria di Thanos e alla reazione di Thor.
Ponendo, perciò, sul tavolo sia il cambiamento già antecedente di Thor assieme al dolore dello sterminio attuato da Thanos, la svolta “Lebowski” del personaggio non deve certo venire accettata fin proprio in ogni sua declinazione, ma sarebbe necessario quanto meno cercare di comprenderla sotto la visione della spirale del personaggio. Ciò che più amiamo quando trattiamo racconti di supereroi (e eroi) è scoprire quel lato puramente umano che empatizza con il nostro, quel veder cedere ai vizi più infimi anche coloro che sapevamo, e sappiamo essere, superiori. Non per un puro gusto sadico, né perché questa sia l’unica maniera per trovare un contatto con loro. Ma perché capiamo che l’umanità va ritrovata anche nel dolore, che indistintamente tocca chiunque, umani e sovrumani.
Avengers: Endgame – Quando anche gli dei possono soffrire
Thor si fa crescere i capelli e aumenta di peso non solo perché Avengers: Endgame aveva bisogno di uno spunto comico, per quanto il bisogno di risata sia indiscusso, ma perché se un dio può innamorarsi di un umana, può far parte di team di persone terrestri, allora può anche soffrire come qualsiasi altra persona. Perché Thanos ha schioccato le dita proprio mentre stava cercando di impedirglielo, facendolo dubitare della propria influenza e del proprio valore, sminuendo l’essenza del dio. E se neanche il sovrano di Asgard può fermare Thanos, se neanche ucciderlo riporterà la popolazione indietro, allora anche un dio può sentirsi sprofondare.
Dunque coerenza, che può non piacere, ma non può non dirsi in stretta correlazione con ciò che Thor è diventato nel corso della sua evoluzione nel MCU e con gli atteggiamenti che gli sceneggiatori hanno voluto fargli metabolizzare dopo essere stato schiacciato da Thanos. E indicativo è anche il percorso finale di Thor nel film dei Russo: sulla navicella dei Guardiani della Galassia, il dio si appresta a salpare insieme a Star Lord, Rocket, Groot e tutto l’equipaggio, con quella che più si avvicina, ora, alla sua famiglia ideale (non a caso, dopo il licenziamento di James Gunn e prima di essere ingaggiato nuovamente, era stato proprio il nome di Taika Waititi a saltare fuori come appetibile sostituto). E se la delusione rimane comunque pressante, è bene ricordare che, in caso, la ragione è da ritrovarsi nell’intera cura della crescita del personaggio, che dopo l’avventura su Sakaar, ovviamente, non sarebbe più potuto essere lo stesso.
Da Thor a Hulk: che cosa è successo al supereroe verde?
Per quanto riguarda il povero Hulk? La questione, qui, diventa molto più complessa. Non avendo mai avuto un effettivo arco narrativo, condizione piuttosto limitante visto il peso che il Golia verde riveste nelle sorti degli Avengers, quello di Bruce Banner continua ad essere il supereroe più bistrattato, più difficile da inquadrare, vista l’impossibilità di poterlo vedere protagonista assoluto di un film. Il motivo è semplice quanto, al momento, poco comprensibile: la Universal, che ancora detiene i diritti del personaggio inventato da Stan Lee e Jack Kirby, è decisa a non cederli alla Disney/Marvel in alcun modo. Per ora, quest’ultimo ruolo dell’attore Mark Raffulo sembra rifarsi alla versione di Professor Hulk, un insieme di forza e controllo in grado di tenere lontano l’Hulk selvaggio.
La reazione di Mark Ruffalo all’imposizione della Universal? “Voglio mettere in chiaro le cose. Non ci sarà mai un film su Hulk. La Universal è ancora in possesso dei diritti per quanto riguarda i film con Hulk come protagonista e per qualche strano motivo non hanno intenzione di accordarsi con la Marvel. Forse non vogliono fare soldi.”.