Batman: The Animated Series – storia e analisi di un cult intramontabile

La serie animata che ha fatto la storia.

The Dark Knight Returns Forever! Da fine novembre Netflix ha reso disponibile anche in Italia una delle serie animate più amate dai fan del mondo supereroistico, Batman: The Animated Series, il cartoon degli anni Novanta, ideato e portato avanti da Bruce Timm ed Eric Radomski, per Warner Bros..
Batman è un’icona pop contemporanea. Anzi di più. Batman è, probabilmente, un vero e proprio mito moderno. Il personaggio creato da Bill Finger e Bob Kane nel 1939, più di altri suoi colleghi è riuscito, infatti, a trasformarsi in un archetipo in grado, attraverso infinite riscritture, di riflettere le contraddizioni, le ossessioni e le utopie della società occidentale e del sistema politico che ne definisce l’identità, cioè quello democratico.

1. Chi è Batman?

Batman: The Animated Series Cinematographe.it

Eroe umano, privo di superpoteri, utilizza gadget ipertecnologici e si traveste per apparire un animale antropomorfo sovrannaturale. Batman è, come ricorda Canova, una sorta di filiazione dell’archetipo dell’ibrido: una creatura dall’identità in crisi, né umana, né animale, ma fissa in una via di mezzo, esattamente come tanti mostri del cinema classico. Secondo la lettura di Frezza, invece, il personaggio si riallaccia direttamente al mito di Ulisse: l’eroe che vince le sue battaglie contro gli dei, attraverso l’astuzia e la tecnica/tecnologia. Facendo una sintesi fra le due interpretazioni, Batman è un uomo che attraverso la tecnologia proietta nel buio dei vicoli di Gotham City un’immagine ibrida, mostruosa, di sé. Cioè l’idea stessa di Batman può essere intesa come una rielaborazione delle potenzialità che presenta il cinema, in quanto dispositivo in grado di aiutare il soggetto in crisi/spettatore della società di massa a riarticolare la propria soggettività, attraverso gli archetipi mitologici classici e folklorici (per esempio quello del vampiro). Si ricordi infatti che Bruce Wayne è dipinto prima di tutto come una soggettività in crisi. Un bambino traumatizzato dall’omicidio dei suoi genitori, che non è mai riuscito a mettere in atto strategie di crescita sane.

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Ma Wayne è anche un ricco capitalista, che gestisce una multinazionale hi-tech, in grado di finanziarne gli exploit in uno scenario fornito dalle vie della megalopoli postfordista. Gotham City è una città che, negli anni, ha assunto tratti gotici europei, non rinunciando mai, ovviamente, alla propria natura statunitense, ma integrandola anzi in una rappresentazione culturale, di matrice transnazionale, della Metropolis langhiana ai tempi del neoliberismo della Silicon Valley. Cioè il personaggio, attraverso il proprio rapporto con le dinamiche economiche capitaliste e con l’immagine della metropoli, intesa, seguendo la lettura di Abruzzese, come fantasmagoria metropolitana e paradigma culturale dell’Occidente, chiama in causa il rapporto fra l’uomo e il proprio ambiente, la responsabilità del singolo nei confronti del corpo sociale collettivo, la genesi delle diseguaglianze economiche e sociali, la marginalità di chi è percepito diverso in una società massificata e così via.
Un ulteriore elemento che rafforza le potenziali letture socioculturali delle avventure dell’eroe consiste, infine, nel suo rapporto con le proprie nemesi. I vari Joker, Pinguino, Catwoman, Due Facce, Enigmista estremizzano, infatti, ciascuno degli aspetti psicologici del protagonista, trasformandosi in degli specchi deformanti dei valori etici, filosofici e persino economici che l’eroe cerca, di volta in volta, di affermare all’interno del contesto di Gotham/paradigma della democrazia occidentale.
Vediamo allora come gli spunti di riflessione sul supereroe e l’immaginario che da decenni esso veicola, siano stati rielaborati e, in alcuni casi, generati ex novo, dalla serie Batman: The Animated Series.

2. Batman: The Animated Series e il cinema: la struttura narrativa e i protagonisti

Il cinema, inteso come un linguaggio specifico ma anche come fonte inesauribile di immagini e stilemi, è alla base della struttura narrativa di Batman: The Animated Series, forse anche più dei fumetti dell’eroe – da cui comunque adatta varie storie.
La serie presenta una narrazione verticale fatta di singoli episodi fra loro sconnessi – al massimo alcune avventure sono divise in due puntate – e la continuity è molto vaga. Insomma ogni episodio è per lo più autoconclusivo e segue la struttura in tre atti di un piccolo film.

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I protagonisti sono spesso costruiti sulle fattezze di attori iconici. Bruce Wayne è modellato su Gregory Peck, come d’altronde già era accaduto nel fumetto Batman: Year One. Mentre il doppiatore Kevin Conroy basò la sua performance vocale su quella di Lesley Howard in La primula scarlatta (Young, 1934). Alfred, il maggiordomo dell’eroe, ha il volto dell’attore britannico David Niven. Pinguino e Catwoman sono costruiti sulle fattezze di Danny DeVito e Michelle Pfeifer, loro controparti filmiche – i primi episodi della serie uscirono praticamente in contemporanea, nel 1992, con Batman – il ritorno di Tim Burton. Inoltre la rappresentazione della Donna-gatto è vagamente ispirata anche alla Kim Novak che visse due volte per Hitchcock. Poi una serie di personaggi secondari sono omaggi espliciti ai volti del noir degli anni quaranta. Dal povero Chuck, vittima di un sadico scherzo di Joker, che è costruito sulle fattezze di Alfred Hitchcock stesso, a Poison Ivy, una versione cartoon di Gilda/Rita Hayworth. Gli scagnozzi dei vari gangster sono spesso riconducibili a modelli che ricordano attori come James Cagney o Peter Lorre. Il capomafia Arnold Stromwell è addirittura una reinterpretazione del padrino Marlo Brando.

3. Le citazioni nella serie Warner Bros.

Le vicende raccontate si rifanno a due direttrici tipiche del film noir. La prima è quella tratta da film come La strada scarlatta (Lang, 1945) o Detour – Deviazione per l’inferno (Ulmer, 1945) in cui un uomo comune si ritrova, suo malgrado, vittima di macchinazioni criminali più grandi di lui. A seconda dei casi verrà poi tirato fuori dai guai da Batman o intraprenderà una discesa nell’abisso che lo renderà una nemesi per l’eroe. La seconda è quella più detection, tratta da pellicole come Il mistero del falco (Huston, 1941), in cui Batman assume il ruolo del detective hard boiled, intento a risolvere i crimini escogitati dai vari villain. Un sottofilone che si inserisce fra le pieghe di queste due direttrici è quello dell’amor fou, in cui l’amore diventa catalizzatore di tragedia e crimine.
Le inquadrature stesse della serie sono un ulteriore omaggio a questo tipo di cinema e all’espressionismo tedesco. Abbondano i Dutch angle, le inquadrature plongée e contre-plongée di edifici colossali, le composizioni che privilegiano le linee diagonali, montate secondo gli stilemi del cinema sovietico. Le luci sono nette e dividono il mondo di Gotham in un ambiente contrastato come ne Il gabinetto del Dottor Caligari (Wiene,1920). Le numerose scene oniriche spesso si rifanno proprio all’assetto scenografico espressionista di Wiene, come nel caso dell’incubo di Bruce, nella puntata Doppia personalità Parte 1. Altre volte invece è l’universo di Dalì, così come filtrato dal cinema di Hitchcock, a far capolino nei momenti più allucinatori della serie.

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Ma le citazioni non si limitano al cinema classico. A volte sono la Nuova Hollywood di Scorsese e Coppola a far capolino fra i vicoli malfamati di Gotham. Altre volte film impensabili come Scommessa con la morte (Van Horn, 1988) o Lionheart – Scommessa vincente (Lettich, 1991) forniscono spunti quali l’espediente delle auto giocattolo bombarole (Attenzione al Fantasma Grigio) o una sorta di tortura/punizione con delle casse di metallo esposte al sole (I dimenticati). Forse poi la citazione più metalinguistica è quella che, nella puntata Attenti al Fantasma Grigio, vede Adam West – il Batman della serie camp anni sessanta – doppiare l’attore protagonista di una serie supereroistica di cui il Bruce animato, da bambino, era fan e a cui si ispirò nel costruire la propria identità di crime fighter.
Infine il mondo del cinema horror proietta la sua ombra in puntate come Notte di luna piena, dove una storia classica di Wein e Adams viene riadattata utilizzando spunti visivi tratti da Un lupo mannaro americano a Londra (Landis, 1981). L’isola del Dottor Moreau (Taylor, 1977) è praticamente plagiata in Tigre, tigre e ogni volta che compaiono il Man Bat e Clayface non si può non sentire l’eco dei creature feature degli anni ottanta. Persino Terminator (Cameron, 1984)e 2001 Odissea nello spazio (Kubrick, 1968) vengono remixati nelle puntate Cuore d’acciaio parte 1 e 2 e Anima ai siliconi, in cui appare un CyberBatman che ricorda l’Arnold dal teschio metallico del film di Cameron.

4. Gotham City, la metropoli Dark Déco

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La metropoli postfordista, città-mondo che racchiude in sé tutte le speranze utopiche dei primi anni del Novecento, insieme alle derive distopiche della società di fine millennio, assume in Batman: The Animated Series un ruolo centrale.
Prendendo spunto dalla rielaborazione fatta da Tim Burton nei suoi due film ispirati all’eroe, Eric Radomski propose un look per Gotham che poi venne definito Dark Déco. Egli elaborò una rappresentazione metropolitana che, come quella burtoniana, si estende a più livelli in altezza, attraverso una fitta serie di ponteggi, dando l’impressione di essere un’immensa cattedrale gotica. Ma invece di puntare su architetture medievaleggianti e postindustriali, Radomski decise di adattare l’impianto gotico alle decorazioni e ai modelli architettonici, come quelli ideati dall’architetto Hugh Ferriss, tipici dell’art dèco, stile in voga negli anni in cui Kane e Finger idearono il personaggio. Così facendo la Gotham di Batman:The Animated Series richiama direttamente all’epoca d’oro supereroistica e contemporaneamente la rilegge in una chiave cupamente tragica. I set infatti sono disegnati su cartoncino nero, a cui poi sono stati aggiunti tocchi di colore. In questa maniera i vicoli, i grattacieli e le guglie gothamite sembrano emergere dalle ombre stesse. Ma avendo un corpo strutturale solido e monolitico, in cui le decorazioni déco e le immancabili gargolle, appaiono come delle forme di vita integrate e pietrificate, questa versione della metropoli restituisce un’immagine solenne e senza tempo. La Gotham animata estremizza infatti l’idea burtoniana che mette insieme tecnologia moderna e suggestioni anni ’40. In questa Gotham le tracce del presente sono quasi del tutto scomparse rispetto alla grottesca città di Burton. Se quest’ultima è una foresta di simboli della decadenza del capitalismo novecentesco, che trasforma la città in una prigione criptofascista per chi la abita, la Gotham di Timm e Radomski è invece un palcoscenico tragico, fisso in un tempo mitico. Una cupa versione vagamente retrofuturista degli anni in cui Batman fu creato – cioè dell’utopia del New Deal roosveltiano – dove l’assetto scenografico serve ad amplificare i conflitti che la società postfordista genera, ma anche gli atti eroici compiuti da chi cerca di porvi rimedio.

5. Una visione umanista: Batman è un supereroe moderno

Batman, in questa rappresentazione più che in altre, è l’epitome del supereroe moderno. Timm, Radomski e gli altri autori hanno preso come modello estetico per il character design dell’eroe i cartoni animati degli anni quaranta di Superman, realizzati dai fratelli Fleischer. In questa maniera ne hanno sottolineato visivamente l’eredità eroica classica, seguendo un processo inverso a quello attuato da Tim Burton al cinema e da Frank Miller nei fumetti. Il Batman/Keaton infatti risulta una figura quasi cibernetica, un umano potenziato da un’armatura tecnoindustriale, che nasconde un’identità borghese tutto sommato fragile. Il Batman di Miller invece è un colosso gigantesco in calzamaglia. Il suo corpo anziano ma ipermuscoloso non riesce quasi a esser più contenuto dal costume: è un eroe più grande del suo stesso mito, che infatti alla fine del Dark Knight Returns abbandona il mantello per diventare un rivoluzionario (antireaganiano) tout court. Il Batman animato invece è perfettamente integrato in quel palcoscenico tragico creato dagli autori. È un corpo indice di un’umanità all’apice delle proprie capacità, agile e potente, in grado di farsi un tutt’uno con l’oscurità che lo circonda. Si tratta di un eroe tutto d’un pezzo, animato sì da mille dubbi, ma non di ordine psichico come quello burtoniano, bensì di ordine etico (a riguardo si veda la puntata Io sono la notte). Non è, inoltre, un uomo ossessionato, convinto di dover imporre un suo ordine a un mondo insensato, come quello milleriano.

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Questo cavaliere oscuro è un eroe umanista, che trae spunto dall’interpretazione definitiva che ne diede Dennis O’Neil negli anni ’70 – sono almeno cinque le storie adattate da fumetti scritti da O’Neal – coadiuvato da Neal Adams. Egli osserva il mondo che gli sta attorno. È un detective che prima di buttarsi nella mischia, indaga e cerca di comprendere anche le ragioni dei suoi avversari. In definitiva il Batman animato è un eroe empatico, consapevole di vivere in un mondo complesso, in cui esistono diseguaglianze e storture determinate dal sistema economico (Appuntamento con il crimine, I dimenticati, Gli abitanti sotterranei) oltre che da egoismo, alienazione e avidità (Un padre invisibile, Il medico della mala, Non è mai troppo tardi). Questo Batman agisce non con lo scopo di punire o vendicare, ma con l’obiettivo di aggiustare le cose, di aiutare il suo prossimo a vedere la stessa luce in fondo all’oscurità che egli stesso si sforza di scorgere. E si tratta di una luce morale, una visione umanista del mondo, appunto, che si oppone a tutte le fantasie di potenza reazionarie tipiche di certo intrattenimento supereroistico, così come alle folli utopie neoliberiste in voga negli anni in cui la serie vide la luce – da Dagget a Boyle, da Mockridge a Biggis, la serie è piena di figure di imprenditore privo di scrupoli che sfrutta il prossimo e la comunità, generando tragedie in nome del profitto. Siamo, insomma, dalle parti dell’imperativo categorico morale kantiano e delle speculazioni sull’importanza del singolo nella propria collettività, tipiche del cinema idealistico di Frank Capra. Ma quello che rende affascinante questo approccio è che esso non risulta mai moralista né bacchettone, grazie alle capacità di scrittura di autori come Paul Dini, che hanno reinterpretato per la modernità sia l’eroe, che i suoi nemici, raggiungendo vette di profondità insperate, fino a quel momento, per l’animazione commerciale americana.

6. La riscrittura dei villains e i dilemmi etici affrontati in Batman

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La serie trasforma, infatti, i freak di Gotham in delle risposte devianti agli stessi dilemmi etici affrontati dall’eroe. Pinguino a suo modo mette in luce l’invidia, il senso d’ingiustizia e di ridicolo generati dalle differenze di classe (Illusione d’amore). Catwoman ha un percorso di crescita che la vede passare dall’essere incarnazione dello stereotipo della femme fatale/love interest a donna cosciente di sé, in rotta con le convenzioni borghesi e impegnata in una lotta animalista radicale. Lo Spaventapasseri è un’immagine dello snobismo elitario di un certo tipo di cultura accademica. Il Cappellaio matto è una riflessione sul vittimismo tossico propagandato dalla cultura maschilista – oggi diremmo Incel. L’Enigmista viene riletto come una sorta di rivincita intellettuale sull’amoralità del sistema economico, così come Mr Freeze, protagonista forse dell’episodio più famoso della serie, che valse a Timm e Dini un Emmy Award. In Cuore di ghiaccio, infatti, quello che era un classico mad scientist camp diventa una figura tragica, vittima dell’avidità di un businessman, Ferris Boyle, che lo condanna ad anelare un amore ormai congelato, in un corpo privato, letteralmente e metaforicamente, di calore umano.

7. Joker in Batman: The Animated Series fa il male perché è divertente

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Joker è un caso particolare invece. Timm e i suoi autori adottano un approccio interessante e tutto sommato molto più in linea con i comics, rispetto anche alle più recenti reinterpretazioni del cattivo. Il Joker animato, doppiato magistralmente da Mark Hamill, appare infatti come una forza della natura caotica, in grado di rendere reali le strambe trappole tipiche di un cartoon dei Looney Toons. L’arlecchino del crimine è carismatico, divertente, letale e soprattutto, sta qui la differenza principale rispetto a versioni come quella di Ledger o di Phoenix, non cerca scuse o giustificazioni. Joker in Batman: The Animated Series fa il male perché è divertente. Non vuole vendetta, non prova rancore sociale e non vuole dimostrare un bel niente. È semplicemente mosso dalla stessa volontà prometeica di Batman ad autodeterminarsi. Solamente che lui lo fa senza empatia e senza cercare di correggere le storture della società postindustriale. Piuttosto vuole portare queste ultime al parossismo per farsi una risata sulle rovine di quel palcoscenico tragico che è Gotham – d’altronde è logico che al “re della commedia” stia stretto un teatro tragico.

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Infine questa è la serie che ha dato i natali a uno dei personaggi più iconici della cultura pop contemporanea. L’amante del Joker e vittima dei suoi abusi, Harley Quinn. Si noti come qui l’intero character arc di Harley, senza effettacci e cattivo gusto, riesce a delineare una relazione tossica e la necessità della sorellanza femminile per affrontare le dinamiche di potere patriarcale che ne stanno alla base (la puntata Harley e Pam è esemplificativa), in maniera molto più convincente e interessante che nelle odierne versioni della storia.

8. Batman: The Animated Series. Dai Looney Toons ad Akira

Da un punto di vista tecnico Batman: The Animated Series rappresenta un picco per l’animazione tradizionale supereroistica. Ai tempi in cui vide la luce infatti non esistevano show di alto profilo legati al mondo dei supereroi. I tentativi in tal senso attuati precedentemente da Marvel e Dc si erano rivelati fallimentari. Lavori come L’Uomo Ragno e i suoi fantastici amici o I Superamici presentavano disegni semplificati, animazioni legnose e ripetitive, nonché storie infantili e improntate alla censura preventiva.

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Mentre la Disney si affermava sul mercato come l’unica casa di produzione in grado di offrire dei prodotti ben realizzati, nella tradizione dell’intrattenimento per famiglie, la Warner Bros. decise di rinnovare il suo reparto animazione, spingendo sulla sperimentazione. Così prima affidò a Steven Spielberg la serie Tiny Toons Adventures che riadattava per gli anni ‘novanta ’90 la lore animata Warner, inserendovi citazioni metatestuali all’industria dello spettacolo e storie deliranti, costruite su gag surreali, in cui i limiti spazio-temporali descritti dalla macchina da presa venivano costantemente rinegoziati in nome del dialogo con lo spettatore. In un secondo tempo si affidò a Timm e Radomski per la realizzazione del loro Batman noir.

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Gli autori per quanto riguarda l’approccio tecnico guardarono, come già accennato, al Superman dei fratelli Fleischer e soprattutto all’animazione giapponese. Dal capolavoro di Otomo, Akira (1988), trassero infatti l’impostazione scenografica per dar vita alla loro Gotham Dark Déco. Ne ripresero lo stile di illuminazione per creare il contrasto espressionista fra luci e ombre e adattarono le colorimetrie usate da Otomo alla loro visione. La stilizzazione dei personaggi improntata su poche linee permise inoltre di rendere più semplici le animazioni delle complesse scene d’azione, così da evitare la legnosità di altri prodotti simili. Ciò inoltre permise alle aziende d’animazione estere – coreane e giapponesi – cui le varie puntate venivano appaltate, di mantenere facilmente una coerenza stilistica lungo l’arco dei 65 episodi che compongono la serie.

9. Violenza, sesso e armi: come rappresentarli?

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Batman: The Animated Series dunque risulta un prodotto forse non perfetto in termini di fluidità, ma sicuramente di gran lunga superiore alla media dei suoi concorrenti e soprattutto in grado di vincere sul terreno dell’originalità e delle tematiche trattate. Infatti un altro grande pregio della serie e dei suoi autori è stato quello di riuscire ad aggirare tutta una moltitudine di divieti sulla rappresentazione di violenza, sesso e armi, con espedienti prettamente cinematografici. Per esempio inquadrando parti del corpo maschile o femminile apparentemente prive di implicazioni erotiche, in chiave metaforica (scarpe femminili tolte con sensualità, pettorali scolpiti, denudati “casualmente” durante un combattimento, sotto lo sguardo femminile) o utilizzando un montaggio analogico degno delle avanguardie storiche del cinema per suggerire omicidi e altre nefandezze (emblematica è la riscrittura dell’omicidio dei Wayne nella forma di un incubo espressionista). Così alla fine pur non mostrando nulla di troppo shockante il cartoon è riuscito a rimanere fedele alle proprie premesse noir e a imporsi nella memoria collettiva di più di una generazione, come una serie profonda, matura e visivamente dirompente.