Editoriale | Perché Bernardo Bertolucci è l’ultimo grande maestro del Novecento?
Perché Bernardo Bertolucci è l'ultimo grande maestro del Novecento? Ecco l'eredità che ci ha lasciato il regista premio Oscar.
Se ne è andato oggi, all’età di settasette anni, l’ultimo grande regista del Novecento, Bernardo Bertolucci. Regista, poeta, documentarista, polemista, uno dei più grandi autori del cinema italiano, è stato ed è tutto questo ma anche molto di più Bertolucci, nato a Parma il 16 Marzo del 1941, figlio del poeta Attilio e fratello del regista e sceneggiatore Giuseppe. Amico di Pasolini, di Moravia e della Morante, si è cibato di arte in tutte le sue forme e tutto è confluito nell’amore per il dramma, per le scene madri, per l’approccio mitico e popolare. Attraverso la sua opera, scandalosa, intellettuale e autoriale, proprio per il suo background culturale, per la sua fede politica, per il suo ateismo, ha composto il canto dell’Italia, della politica e dell’uomo. Dai film in cui ha sperimentato se stesso e il suo cinema alla cinefilia, dai lavori low budget alle produzioni internazionali, dalla provincia italiana alla visione internazionale Bertolucci è stato Bertolucci, con uno stile, una poetica, un modus narrandi unico nel suo genere e rappresentazione di un sistema valoriale ben definito, impossibile da ripetere e da emulare.
Bernardo Bertolucci: addio al maestro
Bernardo Bertolucci: padre di un cinema vitale ed energico
Il conformista, un libero atto di libertà, Novecento, sintesi della storia italiana, Ultimo tango a Parigi, Il té nel deserto, Piccolo Buddha e L’ultimo imperatore, il film da nove Oscar, fino a Io e te il regista non ha mai tradito se stesso, rimanendo il padre della Nouvelle Vague italiana, assieme a Marco Bellocchio, e confermandosi sempre il grande autore che è stato, capace di interpretare, capace di portare sullo schermo ciò che gli altri non sono riusciti a portare (L’ultimo imperatore), raccontare le pagine della nostra storia e di chi siamo stati e, forse in parte siamo tutt’ora. Il suo è un cinema che si fa atto d’accusa, che arriva fin nel profondo, declinato in tutte le sue più calde, tormentate e “patetiche” sfumature, usa l’occhio cinematografico in modo nuovo e rivoluzionario, si fa padre di nuovi movimenti di macchina, quindi anche di nuovi punti di vita.
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Bertolucci è stato in grado di sviscerare l’erotismo più violento ed estremo, come ad esempio nello scandaloso Ultimo tango a Parigi, addirittura incestuoso (La luna), di penetrare nella crisi quella morale e sociale (Prima della rivoluzione), quella dei più giovani (The Dreamers, Io e te), di chi deve ribellarsi e vendicarsi di una vita sbagliata (Il conformista). Racconta la morte (La commare secca, Il tè nel deserto) e la più profonda “mancanza”, quella del padre (Io ballo da sola), di una guida, di sé. Bertolucci nelle sue storie perlustra ogni singolo giorno dell’individuo, indaga il più profondo desiderio con la stessa passione e bramosia di quando mostra l’impeto rivoluzionario – storia e privato si stringono per la prima volta in un abbraccio intenso -, tanto quello comunista (in Italia, in Francia, in Cina) quanto quello fascista.
Bernardo Bertolucci: un grande conoscitore dell’uomo
Il grande narratore di favole erotiche, scure, politiche, crepate dalla crisi, è un grande conoscitore dell’uomo, solo, disperato, prigioniero di se stesso e degli eventi, colto nel momento in cui attende di trovare qualcosa o raggiungere qualcuno, in procinto di partire o appena arrivato. Al centro ci sono gli ultimi come i primi, i borghesi come i proletari affondando il suo occhio in un tessuto sociale animato da scosse telluriche di cui lo spettatore diventa partecipe, rimanendo vittima di spasmi di pietà come anche di nausea. La sua è una filmografia dei corpi, “pianeti” che errano, si struggono nei più segreti tormenti, oggetti desideranti che si intrecciano e avviluppano l’uno all’altro, rappresentando la carnalità senza censure né omissioni, filmografia che gli è valsa la nomea di regista trasgressivo e oltraggioso.
Scrive un canto politico anche quando narra il sesso, ad esempio nello struggente e desolato Ultimo tango a Parigi in cui un appesantito e invecchiato Marlon Brando possiede, usa, odia una Maria Schneider altrettanto desiderosa di lui e portatrice di un dolore, di uno strazio simili. Due sconosciuti si incontrano, passano ore a consumarsi rotolando in uno sconsolato orgasmo di solitudine e disperazione; è una storia questa che all’epoca dell’uscita ha aperto una complessa vicenda giudiziaria e anche censoria, che non ha fatto sconti al regista – tornato a parlare in più di un’occasione di alcune scene di questa pellicola in cui è stata coinvolta l’attrice.
Bernardo Bertolucci e la sua claustrofilia
Bertolucci è uno dei pochi a saper raccontare mondi interi racchiusi in quattro mura, è la chiusura in una “stanza” a far sì che il cineasta, costretto a causa di un’operazione mal riuscita da ben 12 anni sulla sedia a rotelle, entri ancora più in profondità, collocando la macchina da presa ad un’altezza a lui funzionale, nei suoi personaggi. Uno scantinato, un appartamento, una stanza, sono luoghi in cui emergono, come in un utero-prigione, paure, solitudini, speranze di uomini e donne, di giovani e adulti, di disperati che portano sulle spalle il dramma di un’intera generazione. Mette in scena la claustrofilia, quell’amore per i luoghi chiusi in cui ci si rifugia, ma dove anche si trova ispirazione per risollevarsi, rigenerarsi, combattere, usa l'”appartamento”, nel senso dell’appartarsi, per tagliare fuori dal mondo i suoi personaggi che lì iniziano a ricercare il proprio posto. Nell’appartamento di The Dreamers, ad esempio, i fratelli Isabelle e Théo, legati da un rapporto inscindibile, figli della borghesia francese, si vogliono e si amano, e portano nel loro mondo, fatto di cinefilia e erotismo, l’americano Matthew, affascinato e imprigionato come capita allo spettatore che viene dolcemente e profondamente turbato da quel cinema di continua ricerca, da un regista che ha trasformato la settima arte, il modo di raccontare e la visione del mondo.
Bernardo Bertolucci, il grande imperatore di un cinema che mancherà
Bertolucci è un cineasta atipico e affascinante, che supera lo scandalo, il dogmatismo, e consegna alla Storia un’opera contaminata dalla psicanalisi, dalla dottrina marxista, e dalla musica, elemento fondamentale per comprendere il suo lavoro. Tra una danza erotica e una col pugno alzato, “ambigua” ed esistenziale, studia il dentro, portandolo fuori, esplora l’intimo, facendo emergere ciò che c’è nell’uomo di più nascosto, tirando fuori quell’io spaventoso, disturbante, ma anche più profondo che proprio quando viene alla luce si dimostra lontano, sconosciuto, quasi nemico di se stesso. Bertolucci per l’arte è un Dio laico e pagano, colui che ha inventato un movimento di macchina, che ha creato e dato forma alle cose, che ha riscritto il cinema con un febbrile occhio e con una incontenibile voglia; è un ribelle che ha distrutto la tradizione, narrato un mondo in continuo mutamento, un uomo in preda allo smarrimento.
Un uomo intellettuale ma anche nazional popolare, visionario ma fortemente radicato alla terra; è riuscito ad essere un maestro che ha viaggiato in lungo e in largo in tutto il Novecento assorbendo luoghi, cose, persone portandole su grande schermo. Se è vero che, come ha detto il regista, “non si può vivere senza Rosselini”, è vero anche che per noi, formati, piegati, “costruiti” sul suo cinema, sarà molto difficile vivere senza Bertolucci: non ci sarà più la sua carrellata, i suoi dolly, le bandiere rosse svolazzanti sulla città, i suoi erotici racconti d’amore e di dolore. Il cinema sentirà profondamente la sua mancanza e lo spettatore sarà irrimediabilmente e tragicamente più solo.