Blade Runner e Blade Runner 2049: due capolavori a confronto
Dalle origini del mito, ad opera di Ridley Scott, all'opera celebrativa di Denis Villeneuve, ecco un excursus completo sul capolavoro Blade Runner.
Era il lontano 1982 quando il pubblico di tutto il mondo (un po’ meno la critica a dire il vero) venne affascinato da Blade Runner (1982) diretto da Ridley Scott (Alien, Il gladiatore). Uno dei quei film per cui la tanto inflazionata parola “capolavoro” è d’obbligo, con un impatto nella storia del cinema come pochi altri nel secolo scorso. Blade Runner infatti, è secondo solo a Quarto Potere (1941) di Orson Welles, e Guerre Stellari (1977) di George Lucas.
Le ragioni del suo successo, del suo valore intrinseco, sono da ricercarsi nel suo essere un noir fantascientifico la cui narrazione – dai forti risvolti filosofico-esistenzialisti – mette in scena il depotenziamento totale dell’eroe protagonista. Il Rick Deckard di Harrison Ford infatti – divenuto negli anni oggetto delle più svariate teorie da cineforum – può poco dinanzi al vigore animalesco dei replicanti capitanati dall’antieroe Roy Batty di Rutger Hauer . Braccati così, in una caccia all’ultimo respiro nell’ambiente narrativo distopico di una Los Angeles malata, buia e perduta, la perfetta cornice di un film divenuto oramai iconico.
Blade Runner – Ridley Scott ricorda Rutger Hauer
Blade Runner – Le origini del mito tra Director’s Cut e The Final Cut
Tratto da Il cacciatore di androidi (1968) di Philip K. Dick, l’impatto di Blade Runner nella storia del cinema è tale che dal rilascio in sala nel 1982 il suo valore cinematografico s’è notevolmente accresciuto. Il celebre monologo finale di Batty dal chiaro sottotesto Oraziano, le riflessioni relative al come l’evoluzione tecnologica avrebbe potuto incidere nel 2019 immaginato da Dick e reso cinematograficamente immortale da Scott, il rapporto uomo-macchina e la colonna sonora di Vangelis – hanno accentuato ulteriormente il valore di una pellicola divenuta negli anni un cult assoluto.
L’annosa domanda: “Deckard è un umano o un replicante?” – e le susseguenti riflessioni “da forum” da parte dei fan più accaniti, hanno così permesso a Scott, nei successivi venticinque anni di giocare con il pubblico elaborando e rielaborando e rimontando la mitologia alla base della narrazione della pellicola del 1982 tra Blade Runner: Director’s Cut (1992) e Blade Runner: The Final Cut (2007). Tutti elementi che han permesso a Blade Runner di divenire un oggetto cinematografico mitologico.
Blade Runner 2049 – L’intento celebrativo di Villeneuve per una pellicola che vive di luce propria
A distanza di trentacinque anni dalla bellezza pura e inviolata della Rachel di Sean Young, il volto quello duro e “androidesco” del Batty di Rutger Hauer però, Denis Villeneuve (Prisoners, Enemy, Sicario, Arrival), uno di quei registi che da La donna che canta (2010) ad Arrival (2016) ha saputo dimostrare di non sbagliare un film nemmeno a farlo apposta – e prossimo a misurarsi con Dune (2020) dopo il colpo mancato di David Lynch del 1984 – confeziona Blade Runner 2049 (2017) scegliendo la via della citazione nell’impostazione scenica “opposta” rispetto al mitologico film di Scott, riportandoci così nella fredda e cupa Los Angeles dei romanzi di Philip K. Dick.
Sin dalle sequenze iniziali, il primo piano dell’occhio, la visione suggestiva e panoramica della California del 2049 intuiamo come in Blade Runner 2049 non ci troviamo dinanzi alla semplice e accattivante operazione commerciale con qualche sporadico riferimento o easter egg del film precedente (come avvenuto in altre saghe cinematografiche “redivive” come Alien e Star Wars).
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È da intendersi piuttosto come un’intera celebrazione del film di Scott che va dai piccoli e minuziosi accorgimenti registici, alle scelte cromatiche, alla colonna sonora di Hans Zimmer rievocativa di quella di Vangelis; fino all’intera struttura narrativa che attinge a piene mani dalla mitologia alla base del film dell’82, ampliandola e rispondendo “all’annosa domanda”.
Nonostante tutto questo però, non si sbaglia nel dire che Blade Runner 2049 cammina con le sue gambe sin da subito, e l’intento celebrativo non è fine a sé stesso, ma diventa strumentale per Villeneuve per opporsi al film precedente.
La Los Angeles nella saga Blade Runner: Fotografia e scelte cromatiche di Cronenweth e Deakins
L’opposizione alla base della celebrazione tra le due pellicole di Blade Runner trova il suo principale punto di riferimento nell’impostazione della scena tra scelte di luce e di tipo cromatiche da parte dei direttori della fotografia. Se la fotografia di Jordan Cronenweth nella pellicola del 1982 di Scott mostrava una Los Angeles cupa, ombrosa, e angosciante vista la totale presenza di scene in notturna.
Nella pellicola di Villeneuve, fatta in larga parte di scene diurne, la fotografia premiata agli Oscar 2018 di Roger Deakins – alla terza collaborazione con il regista di Arrival – ha permesso di sfruttare al massimo la luce naturale e la foschia dei paesaggi apocalittici negli spazi aperti, e la penombra e fortissime luci al neon negli spazi chiusi in opposizione al buio dell’ambiente esterno, mettendo in risalto così una scenografia ora minimale, ora nostalgica, ora futuribile per una Los Angeles che viene maggiormente esplorata, tra ambienti urbani, sub-urbani e rurali – facendo così immergere realmente lo spettatore nella distopia Dickiana.
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L’intento oppositivo si declina anche nelle scelte cromatiche, se nel Blade Runner di Scott, i colori erano freddi e asettici, in linea con l’ambiente circostante, in Blade Runner 2049 di Villeneuve alle coloratissime e fredde luci al neon tra le strade di Los Angeles si oppongono colori caldi e aridi come il giallo ocra del deserto della California, mostrandoci così sempre un’ambiente narrativo distaccato, freddo e popolato d’anime perdute, ma comunque variegato.
Tra neo-noir e fantascienza pura – Un’opposizione stilistica “di genere” nella saga di Blade Runner
La scelta di volersi opporre nell’uso della fotografia e in quelle cromatiche nell’impostazione della scena tuttavia è data anche dal genere alla base della narrazione. se la pellicola di Scott infatti, è da considerarsi come una declinazione del genere noir a cornice di un’ambientazione fantascientifica – nota nell’ottica del postmodernismo come Neo-Noir – il Blade Runner 2049 di Villeneuve è invece da intendersi come una pellicola di fantascienza a tutti gli effetti declinata secondo i dettami del genere del cinema d’azione, secondo quindi i canoni tipici del genere aggiornati al secondo decennio del nuovo millennio.
Generi diversi, per narrazioni diverse, e sottotesti scaturenti differenti riflessioni – non è un caso infatti che Scott avesse posto il focus narrativo sul rapporto uomo-macchina e la caducità dell’esistenza umana, una lezione Oraziana sul valore della vita, in uno scenario distopico da uno contro uno – Deckard v Batty. L’evoluzione tecnologica veniva così espressa in toni freddi ed esasperanti tipici della fantascienza degli anni Ottanta, figlia delle riflessioni sociali della fantascienza degli anni Cinquanta ma con una dose di spettacolarizzazione in più fornita dagli effetti speciali di ultima generazione.
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Villeneuve invece amplia il raggio d’azione – in linea con la scelta di approfondire l’ambiente narrativo non solo della Los Angeles del 2049 ma dell’intera California. Villeneuve parte così dalle premesse mitologiche del rapporto uomo-macchina del capolavoro di Scott mostrandoci i possibili e spaventosi effetti della tecnologia implementata nella società. Espediente con cui far riflettere lo spettatore su svariate tematiche sociali, dalle relazioni umane al cambiamento climatico sino a come cambierà l’agricoltura da qui ai prossimi trentacinque anni.
Passiamo in rassegna adesso una serie di punti di contatto scenici tra i due capitoli di Scott e Villeneuve.
Blade Runner & Blade Runner 2049 – Replicants
Entrambe le pellicole della saga di Blade Runner hanno la particolarità di iniziare con un breve antefatto testuale a caratteri bianchi e rossi su sfondo nero. Se l’opera del 1982 presentava la Tyrell Corporaton e il suo operato nel 2019; la pellicola del 2017 si muove invece presentandoci il fallimento della Tyrell stessa, la bancarotta, il collasso degli ecosistemi e il personaggio di Niander Wallace (interpretato da Jared Leto) che acquisisce ciò che resta della Tyrell per creare la Wallace Corporation.
In entrambe le presentazioni a parte il carattere difforme, esistono dei punti in comune. La parola “Replicanti” in rosso, una rivolta degli stessi che ha generato il collasso della società, e il loro essere resi fuorilegge – legittimando così la nascita dei Blade Runner.
Blade Runner & Blade Runner 2049 – La sequenza in apertura
L’opposizione tra le pellicole di Blade Runner a distanza di trentacinque anni l’un dall’altra è ravvisabile già nella sequenza in apertura delle rispettive narrazioni. Se l’opera di Scott procedeva nel presentarci l’ambiente narrativo buio e tetro della Los Angeles del 2019, lo stesso non può dirsi nel film di Villeneuve, dove in modo “opposto” ci viene presentato un ambiente nebuloso, dove lo smog fa da cornice alla vastità della campagna californiana.
Ciò che è pressoché identico però, è il ritmo della narrazione e la composizione della sequenza, ovvero la presentazione dei personaggi e del conflitto che sta alla base del racconto. Se nel caso di Blade Runner parliamo entriamo direttamente nella sede della Tyrell e del colloquio di lavoro di Leon (interpretato da Brion James) – subito smascherato dal cacciatore Holden (interpretato da Morgan Paull); trentacinque anni più tardi l’Agente K (interpretato da Ryan Gosling) dà la caccia al replicante Supper Morton (interpretato da Dave Bautista) arrivando a scoprire il segreto della riproduzione dei Nexus-8.
Blade Runner & Blade Runner 2049 – Il marchio di fabbrica della saga: il primissimo piano dell’occhio
Altro punto da non sottovalutare – e che meritava un paragrafo a sé – è che in entrambe le pellicole, la sequenza d’apertura prevede l’intermezzo del primissimo piano di un occhio azzurro nel presentarci l’ambiente narrativo tra la Los Angeles del 2019 e la campagna della California del 2049.
Entrambi gli occhi riflettono lo scenario al suo interno, i fuochi e i crepitii delle fabbriche del 2019 nel caso della pellicola di Scott, e l’algida, nebulosa e vuota campagna californiana del 2049 nel caso di quella di Villeneuve.
Blade Runner & Blade Runner 2049 – Tra il 2019 e 2049: Sempre Coca-Cola
Probabilmente la più nota pubblicità inserita all’interno di una pellicola, la gigantesca insegna luminosa in Blade Runner di Ridley Scott è ormai entrata di diritto nella storia del cinema – un po’ come tutti i pannelli luminosi che arricchivano l’ambiente narrativo della Los Angeles del 2019.
Non manca la sua presenza scenica anche in quella del 2049, dove però non viene più presentata bidimensionalmente, ma nella forma di un’ologramma tridimensionale accanto alla new-entry Peugeot. Come recitava il celebre slogan nel primo decennio degli anni Novanta – e più che mai attuale se rapportato alla distopia Dickiana: Sempre Coca-Cola.
Blade Runner & Blade Runner 2049 – L’appartamento di Deckard e K
Un ulteriore esempio dell’opposizione fotografica e cromatica tra i due Blade Runner, ci viene data nella sequenza ambientata nell’appartamento del protagonista. Se in quello di Deckard abbiamo una fotografia color seppia che candeggia su tutto l’appartamento con luci fioche, soffocate dall’oscurità del luogo chiuso, in linea con la sensazione di caotica angoscia alla base del tono della pellicola di Scott – in quello di K è esattamente in senso opposto.
Le luci che dominano l’appartamento di K sono molteplici, e il color seppia della fotografia di Cronenweth lascia spazio al freddo asettico bianco di Deakins trasmettendoci però un rinnovato senso di angoscia mista a solitudine, non è un caso infatti che tra i temi trattati dalla pellicola di Villeneuve vi sia anche un’amara riflessione sulle relazioni umane ben esplicate dal rapporto tra K e l’ologramma Joi (interpretata da Ana De Armas).
Blade Runner & Blade Runner 2049 – Tyrell/Wallace Corporation
A distanza di trent’anni dagli eventi delle due pellicole di Blade Runner, cambiano i modelli di Nexus – da 6 a 8 – cambiano le rivolte e cambiano i cacciatori di replicanti, ma assieme alla Coca-Cola ciò che campeggia ancora una volta nel cielo di Los Angeles è la tetraedrica struttura della Tyrell Corporation – divenuta nel 2049 la Wallace.
Ciò che salta immediatamente all’occhio è come la Tyrell compaia immediatamente tronfia, illuminata dappertutto e con proiettori che puntano direttamente al cielo; lo stesso non può dirsi per la Wallace che è avvolta nel buio più totale, quasi come se fosse del tutto invisibile.
Il tutto sembra essere funzionale alla narrazione, non è un caso infatti che se nella pellicola di Scott, la Tyrell assume un ruolo centrale in quanto punto focale degli eventi a partire dall’incontro tra Deckard e Rachel nel primo atto, e l’uccisione di Tyrell (interpretato da Joe Turkel) da parte di Batty; in quella di Villeneuve invece, la Wallace ha sempre una certa rilevanza all’interno della narrazione, ma è chiaro che nella Los Angeles del 2049 ci sarà molto altro da esplorare.
Blade Runner & Blade Runner 2049 – Gli interni della Tyrell/Wallace
Gli interni della Tyrell/Wallace sono esattamente antitetici agli esterni a distanza di trentacinque anni di distanza dai film di Scott e Villeneuve. Se in Blade Runner infatti la fotografia di Cronenweith incede verso il mostrare l’ambiente della Tyrell come totalmente buio con appena uno spiraglio di luce dall’esterno, in Blade Runner 2049 tutto cambia trasversalmente.
La fotografia di Deakins infatti si illumina perennemente di giallo ocra, elemento che viene riproposto più e più volte anche attraverso elementi scenici come il replicante orrendamente squarciato dal Wallace di Leto per spiegare il fenomeno della riproduzione. Il giallo impera lungo tutta la sequenza in cui K è in cerca di informazioni nella sede della Wallace Corporation – entrando in contrasto non solo con dinamiche ombre che corrono lungo la scena avvolgendo e rilasciando i protagonisti, ma anche con i costumi di K, Wallace e la stessa Luv (interpretata da Sylvia Hoeks).
Blade Runner & Blade Runner 2049 – La stazione di Polizia di Los Angeles
Il forte contrasto nell’impostazione delle scene tra i due capitoli della saga di Blade Runner, è riscontrabile anche nelle scene ambientate nell’ufficio del comandante del distretto in cui lavorano rispettivamente Deckard e K.
Se nel 2019, l’ambiente della stazione di Polizia nel film di Scott è buia, tetra e illuminata unicamente dalla luce retroriflettessa dei monitor e dei led – dando allo spettatore quel senso di cinema d’altri tempi, quello dei Noir di Hawks e del Marlowe di Bogart; nella pellicola di Villeneuve invece, la stazione di Polizia è largamente illuminata di luci al Led, trasmettendo così una sensazione di ambiente freddo e asettico, distaccato.
Blade Runner & Blade Runner 2049 – L’evoluzione della macchina Esper
Uno degli elementi cardine della saga sui replicanti di Dick, è la presenza di aggeggi elettronici parecchio interessanti tra cui la macchina del test Voight-Kampff. Uno fra questi è la celebre macchina Esper che permette di rielaborare una fotografia in 2D, per muoversi all’interno dell’immagine scelta e del suo ambiente tramite coordinate geometriche. La si ricorderà certamente nella pellicola di Scott, quando Deckard andava a caccia d’indizi su chi potessero essere i replicanti fuggiaschi.
Nella pellicola di Villeneuve invece, assistiamo alla sua diretta evoluzione, una sorta di macchina Esper 2.0 che lavora pressoché nella stessa maniera di quella precedente presentata, con la differenza però che non agisce mediante coordinate geometriche, piuttosto mediante codici alfabetici a tre lettere. Entrambe le macchine però, quella del 2019 e quella del 2049, lavorano attraverso comandi vocali.
Blade Runner & Blade Runner 2049 – Unicorni e cavalli
Se l’origami di un unicorno di Gaff (interpretato da Edward James Olmos) è stato essenziale come MacGuffin narrativo all’interno della pellicola di Scott, permettendo al regista di giocarci su attraverso le sopracitate Director’s Cut del 1992 e The Final Cut del 2007.
Lo stesso non può dirsi per la pellicola di Villeneuve, dove chiaramente non è stato riproposto l’espediente dell’origami per ovvie ragioni narrative, viene tuttavia portato in scena il pupazzetto di un cavallo intagliato in legno appartenuto allo stesso K in gioventù, su cui Villeneuve stesso ha provato a indugiare creandovi su una breve mitologia lungo tutta la narrazione – salvo poi accantonarla con la risoluzione del conflitto nel terzo atto.
In entrambi i casi tuttavia – oltre a raffigurare degli equini – sia l’origami di un unicorno di Gaff che il pupazzetto di cavallo di K, rappresentano una mitologia, un retaggio istillato come elemento scenico-narrativo con cui valorizzare e miticizzare la narrazione di ambo le pellicole – dando a quella del 1982 un carattere più etereo mentre a quella del 2017 un sapore “terreno” – arricchendo d’ulteriore carattere (e mistero) ai personaggi di Deckard e K.
Blade Runner & Blade Runner 2049 – Pubblicità seducenti
Un ulteriore legame tra le pellicole è dato dall’uso di pubblicità “seducenti” entrate immediatamente nell’immaginario collettivo. Nel caso dell’opera di Scott parliamo della celebre donna asiatica, ennesimo pannello pubblicitario – stavolta creato ad hoc per il film – volto ad arricchire l’ambiente narrativo della Los Angeles del 2019.
Nel caso della pellicola di Villeneuve invece, è certamente di maggior impatto visivo l’ologramma gigante di Joy, incontrato da K nel momento più cupo del suo cammino dell’eroe nella Los Angeles del 2049. La sequenza infatti fa riflettere lo spettatore e lo stesso personaggio interpretato da Ryan Gosling, sui rapporti umani e sul come il sentimento della “sua” Joy non fosse semplicemente il frutto dell’algoritmo dell’applicazione della Wallace.
Blade Runner & Blade Runner 2049 – Rachel & Luv
Tralasciando il fatto che il personaggio di Rachel compare anche in Blade Runner 2049 in una sequenza surreale e agghiacciante allo stesso tempo, resa grande da uno straordinario e crepuscolare Harrison Ford, è l’interessante l’opposizione nella caratterizzazione dei personaggi dei replicanti Rachel e Luv.
La Rachel di Sean Young è infatti dolce, determinata, affabile, e l’incontro con Deckard determinerà uno dei punti nevralgici della narrazione della pellicola di Scott permettendo di scavare a fondo sul ruolo dei replicanti e sulla dicotomia uomo-macchina alla base del sottotesto della narrazione.
Lo stesso non può dirsi per la Luv di Sylvia Hoeks, anch’essa determinata come il “modello precedente” ma calcolatrice e spietata, che emerge nel corso della narrazione svelandosi come la villain della pellicola di Villeneuve ma risultando un personaggio bidimensionale, senza alcun spunto riflessivo come invece seppe dare la Rachel della Young – ma come detto in precedenza pur essendo film facenti parte della stessa saga, Blade Runner e Blade Runner 2049 appartengono a generi di fantascienza diversi.
Blade Runner & Blade Runner 2049 – “È tempo di morire.“
L’ultimo grande punto di contatto nell’impostazione scenica opposta, strumentale nel celebrare ma al contempo vivere di luce propria tra i due film di Blade Runner di Scott e Villeneuve, è dato dalla risoluzione del conflitto scenico.
Blade Runner puntò tutto su un confronto fisico tra Deckard e Batty, con il primo che soccombe lentamente dinanzi allo strapotere del replicante interpretato da Rutger Hauer – emergendo così uno dei momenti più affascinanti della storia del cinema, il celebre monologo che tra i bastioni di Orione e le porte di Tannhäuser, ha fatto riflettere generazioni di spettatori sulla caducità della vita e su come “tutti quei momenti andranno perduti nel tempo, come lacrime nella pioggia” – riportando così un sottotesto Oraziano sul sapere vivere pienamente ogni momento, cogliendolo appieno in un carpe diem postmoderno, perché a un certo punto sarà “tempo di morire“.
Blade Runner 2049 invece, si oppone a una risoluzione del conflitto quasi filosofica, in una sequenza dove K e Luv se le danno di santa ragione mentre Deckard – prigioniero – rischia l’annegamento. Non più quindi un personaggio passivo che subisce e soccombe dinanzi allo strapotere del rivale, ma qualcosa di più ordinario – ma certamente d’impatto – con due personaggi attivi che lottano e colpiscono forte, ognuno spinto da un proprio intento, ognuno con un arco narrativo destinato a concludersi.