Bojack Horseman – stagione 6: recensione della prima parte
La nostra recensione della prima parte della stagione 6 di Bojack Horseman, gran finale della serie TV Netflix, punto di riferimento della serialità.
C’è davvero bisogno di scrivere (e leggere) un’altra recensione che si dilunghi su quanto sia fenomenale Bojack Horseman? Forse no, ma delle cose belle fa sempre bene parlare e non ci sono dubbi: la serie Netflix è davvero fenomenale. Non ha mai sbagliato un colpo, mai commesso un passo falso e nel corso degli ultimi 5 anni ha rappresentato un punto fermo della serialità, un riferimento imprescindibile per apprezzarne il vasto panorama e poter partecipare alle conversazioni più profonde di quella generazione che si riconosce in maniera profondissima nelle avventure di Hollywoo.
Lo show creato da Raphael Bob-Waksberg è arrivato alla sesta stagione, che sarà l’ultima. Per l’occasione la divide in due parti e il primo ciclo di episodi debutta sul servizio streaming il 25 ottobre 2019. Per conoscere la definitiva conclusione della storia di Bojack (nella versione originale doppiato dalla bella voce di Will Arnett), Princess Carolyn (Amy Sedaris), Diane (Alison Brie), Mr. Peanutbutter (Paul F. Tompkins), Todd (Aaron Paul) e co., dovremo aspettare il 31 gennaio 2020. Avete tre mesi di tempo per fare scorta di fazzoletti. Dovrebbero bastare (forse).
Bojack Horseman: la trama della stagione 6
Forse non serve specificarlo, ma la serie è ambientata in un mondo abitato da esseri umani e animali antropomorfi e, nello specifico, segue le vicende del suo star system nel quale troviamo celebrità reali (Jessica Biel, Margo Martindale, Naomi Watts, Paul McCartney, Daniel Radcliffe, Paul Giamatti, ecc…) e altre totalmente inventate. Tra queste c’è Bojack Horseman, un uomo-cavallo che negli anni Novanta era il protagonista di un famoso show televisivo (come la sigla non smette mai di ricordarci). Bojack è caduto in disgrazia, è dipendente da alcool e droga, vittima di se stesso e delle circostanze. Nelle ultime 5 stagioni ha vissuto diverse avventure, momenti di redenzione e crolli totali.
Alla fine della stagione 5 la salute mentale di Bojack era quasi al minimo storico, spintonata da una serie di azioni sconsiderate (dovute all’abuso di droga). L’avevamo lasciato (noi e Diane) davanti a una clinica di riabilitazione, pronto a ricominciare da capo e da qui prende vita la stagione 6. Bojack si sta ripulendo, con tutte le fatiche del caso, ma questa volta ce la sta davvero mettendo tutta; a spronarlo c’è un evento traumatico: la morte della sua giovane co-star di Horsin’ Around, Sarah Lynn.
E questo evento lo accompagna per tutti e 8 gli episodi della prima parte, come un fantasma onnipresente che colora ogni tentazione, ogni possibile ricaduta e persino la nuova intro con il firmamento del Planetarium che, quella notte, fece da sfondo alla dipartita della ragazza.
Bojack Horseman: la strada verso il finale
Non sono molto chiari i motivi per cui la serie Netflix – da sempre grande favorita della critica (perché non si può non considerare Bojack Horseman una perla rara, rarissima) – sia giunta a conclusione e, sebbene sia sempre meglio uscire di scena prima di allungare il brodo, non possiamo fare a meno di pensare che ci mancherà come l’aria. Ma ormai la decisione è presa, la serie finirà e tutto – ogni singola particella di questi ultimi episodi – è volta a comunicare l’epilogo ormai prossimo.
Qualunque altra serie, arrivata a questo punto, rischierebbe il panico tentando di concludere tutte le storylines rimaste aperte, ma non Bojack Horseman. Bojack si prende il suo tempo e cerca di dedicare a tutti la stessa amorevole attenzione che gli ha sempre dedicato. Seguiamo il recupero del suo protagonista attraverso l’inferno della riabilitazione con tutta la calma necessaria per recuperare per davvero. Il focus è ancora su quella morte orrenda e inutile, su quella vita sprecata di cui Bojack non può che sentirsi responsabile. Alla base, però, c’è un filo rosso brillante che attira l’attenzione come se fosse catarifrangente: siamo tutti il prodotto della nostra infanzia, dei nostri genitori, degli adulti che dovevano essere d’esempio, ma che si sono rivelati una maledizione. E lo siamo nel bene e nel male.
Bojack Horseman: un addio che non vorremmo vivere
La prima metà della stagione 6 è costruita per lo più attraverso storie segmentate che seguono, a turno, un protagonista ben preciso; narrazioni che occasionalmente si intersecano, ma che pongono l’attenzione in maniera adamantina su un personaggio in particolare. Diane è tormentata dai sensi di colpa per aver fatto sesso con l’impegnato Mr. Peanutbutter e si getta nel lavoro; quest’ultimo cerca disperatamente di salvare il proprio fidanzamento con la giovane cameriera-influencer Pickles. Princess Carolyn (il cui vizio di essere protagonista di episodi incredibili contagia anche questa nuova stagione) impazzisce nel tentativo di conciliare il lavoro con il suo nuovo ruolo di madre e Todd… è sempre Todd.
Non sarà di certo una sorpresa che questa prima parte di stagione risulti interrotta in maniera alquanto brusca. È solo “la prima parte”, in fondo, ma è inevitabile pensare che sarebbe stato meglio rilasciare questo attesissimo epilogo in un unico ciclo di episodi. Il meglio deve ovviamente ancora venire. Non sarà facile dire addio a Bojack Horseman e al suo modo unico, reale ed empatico di rappresentare la ricerca di identità, la dipendenza, la solitudine.
Poche altre cose nel campo della serialità e nell’intrattenimento in generale fanno sospirare come Bojack. Poche altre ci fanno fermare il conto alla rovescia per l’episodio successivo, bisognosi di aria, di contatto umano, di riflessione e di confronto. Quasi nessuna è in grado di coinvolgere i propri spettatori con una semplicità tanto disarmante.
La sesta stagione, che ci crediate o no, è forse una delle più introspettive. Forse è uno degli esempi di riflessione e auto-analisi più nitidi che potrete trovare. Non è la migliore della serie, ma per quello che rappresenta (il temutissimo inizio della fine) è quello di cui Bojack Horseman – e noi con lui – aveva bisogno. Ci mancherà? Da morire.