Cannes 2018 – Tutti i Play Oro di Cinematographe.it
Recuperare tutti i film presentati a Cannes 2018 potrebbe essere complicato, ma recuperate almeno il meglio non è poi così difficile! Ecco tutti i film che hanno meritato il Play Oro Cinematographe.it
Cannes 2018 si è concluso, regalando all’Italia fortissime emozioni grazie alla vittoria di Marcello Fonte per la sua interpretazione in Dogman e di Alice Rohrwacher per la sceneggiatura del suo Lazzaro Felice. Un festival diverso dal solito, costellato da pellicole di mirabile fattura che hanno avuto il pregio di far riflettere, emozionare, scandalizzare.
Un festival di cui è necessario tirare le somme, setacciando il meglio dei film presentati; il meglio quello autentico, estrapolato dalla combinazione di diversi fattori che vanno oltre il gusto personale per atterrare sul terreno stabile della purezza cinematografica.
In poche parole, quali dei film visti al Festival di Cannes 2018 si sono fregiati del nostro Play Oro? Si tratta in totale di sei pellicole, che andremo ad elencare di seguito e che vi consigliamo caldamente di recuperare.
Cold War di Pawel Pawlikowski
Cold War racconta gli anni della subdola Guerra Fredda dall’improbabile prospettiva di un’impossibile storia d’amore, riuscendo in modo perfettamente esauriente ad evocare le dinamiche e i sentimenti di un momento storico che non permetteva movimenti di nessun genere.
The House That Jack Built di Lars Von Trier
The House That Jack Built mostra l’inesorabilità del male, portandola all’estremo dell’ipotesi di un aiuto divino nel perseguirlo, fra piogge purificatrici e apparenti coincidenze che portano l’uomo a farla sempre miracolosamente franca, anche complice la totale indifferenza (e stupidità) che affligge gli esseri umani. Un film che mostra tutto il pessimismo ontologico del suo regista, ma da una prospettiva tanto sadica quanto divertita, in cui viene ostentato cinicamente il senso di resa, di fronte all’assenza di un limite all’orrore (certe scena sono decisamente insopportabili) ma in cui il male assoluto viene presentato costantemente dalla prospettiva folle, al limite dell’umorismo, dello psicopatico Jack, limitando così la partecipazione emotiva, che altrimenti renderebbe la visione insostenibile.
Muere monstruo, muere di Alejandro Fadel
Per quanto assurda si presenti la trama e per quanto difficile sia accettare i personaggi e le loro dinamiche da parte del pubblico, Muere monstruo, muere appare molto più oculato di molte altre opere nel trattare questo argomento: quello che resta particolarmente impresso è una sapiente sensibilità del regista di proporre immagini tanto cruente e splatter quanto ficcanti alla situazione, denotando una capacità di sintesi che si avvicina quasi a un sincretismo umano.
Dogman di Matteo Garrone
Dogman parte da un atroce fatto di cronaca per sublimare la realtà in un racconto sospeso in un luogo senza tempo, in cui un uomo qualunque, un invisibile, si ribella all’eterna subordinazione, trovando il modo di imporre se stesso in un mondo in cui la forza e la violenza sembrano l’unico mezzo per esercitare la propria supremazia.
Capharnaüm di Nadine Labaki
La potenza delle immagini di Capharnaüm è senza subbio il fulcro della sua efficacia ma non tanto per le lacrime dei bambini affamati o maltrattati, quanto per la ricorsività con cui la regista riesce a mostrare la circolarità alla quale la vita del protagonista sembra destinata. Una pellicola sentita, frutto di un desiderio di denuncia e di una capacità ammirevole di trasformare tale intenzione in un risultato preciso, dotato di un realismo sensibile e di un grande rispetto della spontaneità dei suoi protagonisti, ripresi in un contesto quasi naturalistico, in attesa del momento giusto da immortalare.
Le Grand Bain di Gilles Lellouche
Un’opera che valorizza al massimo il senso e la funzione della commedia, che deve poter parlare delle disgrazie quotidiane con uno sguardo ironico e aperto alla speranza. Un film dal ritmo sostenuto, che non trascura nessuno degli aspetti che punta a toccare, coronato da un cast dipinto sulla sceneggiatura (o viceversa) capitanato da Mathieu Amalric, Guillaume Canet e Jean-Huges Anglade, alle prese con la ricerca di una soluzione ad una vita che non porta le soddisfazioni sperate, tra fallimenti lavorativi, relazionali e un’estenuante e infruttuosa ricerca del successo, forse ormai fuori tempo massimo.