Perché C’era una volta…a Hollywood è il film più importante di Quentin Tarantino dopo Pulp Fiction
Nel 1994 Tarantino ha ridefinito lo stile cinematografico, nel 2019 il suo stesso cinema
“Non è il solito Tarantino” urleranno in molti. “È il suo miglior lavoro” ribatteranno altri. E, al contrario di quanto vogliano le convenzioni, la verità non si troverà questa volta nel mezzo del dibattito. Non si accontenterà di racimolare il parere di tutti per conformarlo a una generica linea di pensiero. C’era una volta…a Hollywood non permette, infatti, assolutismi, ma comprensione per un nuovo punto d’arrivo di una carriera che è stata florida come poche altre.
Alla sua nona opera, il regista e sceneggiatore di Knoxville, sale in macchina e si dirige con i suoi protagonisti per le strade della città degli angeli, per le curve prese in velocità di un business in continuo movimento, in dirompente mutazione. Cambiamenti che il cinema attraversa e ha attraversato e che si rispecchiano nel film con Leonardo DiCaprio e Brad Pitt, attore e stunt, nient’altro che marionette per un’industria e un cineasta che li giostra a proprio volere.
Come Quentin Tarantino ha cambiato il cinema e se stesso
Addentrandosi nei desideri di gloria di un ambiente che sa solo togliere, Quentin Tarantino dona il proprio sogno incantato, che altera la forma del cinema finora conosciuto dell’artigiano americano, rivivendo più per evocazione che per riscontro reale, più per riverbero del passato che vero antecedente. C’era una volta…a Hollywood stravolge ciò che avevamo appreso dello stile del regista per quasi trent’anni, accettando una nuova presa di coscienza da parte del fanciullo Tarantino, che sul cammino per Cielo Drive sembra aver trovato una nuova personalità, più profonda, più sincera, più matura.
Dilatando i tempi della propria narrazione, spargendo quei dogmi che hanno innalzato il proprio culto, tanto da renderli quasi impercettibili, ma mettendoli sempre lì, in prima fila, in una sorta di continuità con i suoi già assodati lavori, Tarantino ruba spazio ai dialoghi per offrirlo ai momenti in solitaria dei propri protagonisti, sottrae prontezza di spirito ai personaggi per costruirci piuttosto l’intera messinscena. Una Los Angeles osservata tramite il fil di grana, di un richiamo estremo e incredibilmente alla moda, che sfila davanti alla camera più per essere contemplata che penetrata, che è quanto viene permesso anche ai suoi protagonisti maschili.
C’era una volta…a Hollywood è l’idealizzazione di un cinefilo accanito che dalla scrivania di una videoteca passa al poter mettere in scena le fantasie di cui ha sempre creduto possibile il cinema, come venticinque anni prima aveva fatto con l’intuizione di Pulp Fiction, che lo portò diretto alla Palma d’oro e alla consacrazione ufficiale per uno tra i più rivoluzionari autori della cinematografia del domani.
L’essenza di C’era una volta…a Hollywood, come l’essenza del cinema, di Sharon Tate e dei sogni di Tarantino
È per questo che C’era una volta…a Hollywood è il suo film più importante dopo il capolavoro degli anni Novanta. Se con Uma Thurman, Bruce Willis, Samuel L. Jackson, John Travolta e Tim Roth era il miscuglio di generi a ridefinire i contorni del cinema tutto, un concentrato “pulp” dove il post-moderno ha trovato uno dei suoi massimi rappresentanti, con la pellicola con Di Caprio, Pitt e la meravigliosa Margot Robbie è il cinema stesso del regista a venir rimaneggiato.
Svuotato, riempito nuovamente con silenzi esasperati, con malinconia svenata, con l’ammirazione che trova come punto di riferimento l’icona del 1969 Sharon Tate. Un personaggio che è più essenza che donna, più ballo leggero che individuo in carne e ossa. Unica maniera possibile per poter riportare in vita l’attrice indimenticata, amata nel film da Tarantino e protagonista della scena madre: quella in un cinema, seduta alla poltrona, con i suoi enormi occhiali da vista, pronta a ridere di lei durante la visione del film The Wrecking Crew insieme al proprio pubblico. Ciò che irradia la Sharon Tate della Robbie, ma è ancor più giusto dire la Sharon Tate di Quentin Tarantino, è quella rimembranza di un tempo mai vissuto, ma agognato, visto attraverso la lente dell’arte e al quale il regista vuole rendere il proprio omaggio, come decise di fare con quei generi che spolpò e incastrò magnificamente in Pulp Fiction.
Due pellicole così differenti nei ritmi e nei toni, eppure così coincidenti nelle intenzioni, volontà di un Tarantino che decise anni addietro di fare del cinema strumento, per poter poi ri-plasmarlo a suo proprio piacimento. Della potenza innovativa dell’opera del 1994, C’era una volta…a Hollywood mantiene la sorpresa destinata al pubblico, la rielaborazione della suddivisione del racconto, quell’amore implacabile di chi ha guardato a un mondo per tutta la propria vita ed è riuscito, infine, a farne parte. Chi aveva imparato a stimare il regista con Le Iene e Pulp Fiction, lo riscoprirà in maniera inedita con C’era una volta…a Hollywood, nona e fondamentale opera della sua filmografia.
C’era una volta…a Hollywood sarà distribuito in Italia a partire dal 18 settembre.