Christopher Robin: la vera storia del bambino che ispirò Winnie the Pooh
Dietro le pagine del tenero orsetto Pooh si nasconde un'amara storia di freddi rapporti famigliari e incaute esposizioni mediatiche,raccontate in parte in Vi Presento Christopher Robin.
Attualmente nelle sale, Vi Presento Christopher Robin racconta, opportunamente romanzata, la storia vera di Christopher Robin Milne e di suo padre, Alan; una storia agrodolce e commovente, in cui la scrittura dei libri di Winnie the Pooh diventa quasi un pretesto per mettere in scena una parabola sulla fragilità dell’innocenza e la lotta necessaria per riconquistarla una volta perduta, se mai possibile. La storia narrata nel film di Simon Curtis segue abbastanza fedelmente i fatti storici, prendendosi però comprensibilmente alcune libertà narrative; qual è, dunque, la vera storia dietro il film e, soprattutto, dietro il personaggio letterario di Christopher Robin?
Durante la Prima Guerra Mondiale, le truppe canadesi provenienti da Winnipeg vennero trasferite sulla costa occidentale per essere trasportate in Europa, al fronte. Durante il viaggio, il tenente Harry Colebourn acquistò da un cacciatore un cucciolo femmina di orso bruno, e la chiamò Winnipeg in onore della sua città natale, amichevolmente abbreviato in Winnie. Winnie divenne la mascotte della brigata seguendola fino in Gran Bretagna, dove venne affidata da Colebourn allo zoo di Londra, divenendone un’attrazione fino al 1934, anno della sua morte. Fu proprio allo zoo che Winnie, inconsapevolmente, segnò la vita di un bambino, e di milioni dopo di lui: l’orsa divenne infatti l’animale preferito di Christopher Robin Milne, che finì per chiamare allo stesso modo il suo orsetto di peluche, e diede a suo padre, Alan Alexander, l’ispirazione per la sua creazione più famosa: era il 1924 e nella raccolta di poesie When We Were Very Young faceva il suo debutto Winnie the Pooh.
Christopher Robin: dai boschi del Sussex alla celebrità globale.
Christopher Robin nacque il 21 Agosto 1920 a Londra, da Alan Alexander Milne e Dorothy de Sélincourt. La coppia non era preparata all’arrivo di un maschietto, dando per scontato che avrebbero avuto una bambina, e dovettero pensare a un nuovo nome da dare al piccolo al posto di Rosemary: alla fine decisero democraticamente di scegliere per lui un nome ciascuno. Nonostante questo, però, il bambino venne sempre chiamato informalmente “Billy” o “Moon”, nomignolo derivante da una sua errata pronuncia del cognome, o addirittura “Billy Moon”
Il padre di Christopher, Alan, era una mente brillante ed effervescente, oltre a un eccellente scrittore, e aveva trovato la fama nei circoli letterari per una serie di articoli caratterizzati da un’ironia pungente e bizzarra. Negli anni immediatamente precedenti alla nascita del figlio si era tuttavia esposto con posizioni estremamente critiche nei confronti della guerra che si condenseranno in un saggio di ben altro tono, uscito nel 1934: Peace With Honour, un manifesto dei suoi ideali pacifisti in contrapposizione alle spinte autoritarie che l’Europa stava subendo nel frattempo.
La famiglia Milne lasciò Londra molto presto, nel 1925, per trasferirsi nella fattoria Cotchford, nel Sussex orientale, la stessa casa che ospiterà anche il fondatore dei Rolling Stones Brian Jones e dove lo stesso Jones annegherà nel 1969, entrando a far parte del Club 27; ma questa è un’altra storia. Negli anni Venti Cotchford era immersa nella natura idilliaca della campagna inglese, e offrì un habitat perfetto tanto per Alan quanto per Christopher, che ebbe la possibilità di crescere a contatto con la natura; di ben altro parere era la madre di Christopher, Dorothy, amante della vita mondana e nostalgica dello stimolante ambiente londinese. Proprio tra i boschi del Sussex padre e figlio inventarono con i loro giochi l’ampio cast di personaggi che affiancheranno l’orsetto Pooh nei libri di Alan.
Christopher era un bambino molto intelligente per la sua età, sebbene lui stesso fosse solito negare la cosa e biasimare la sua presunta mancanza di intelletto, quasi a voler ricalcare il suo amico Winnie, “a bear of very little brain“. Inoltre Christopher dimostrò sempre di possedere un’eccellente manualità, tanto che con un piccolo kit di attrezzi, a sette anni, riuscì a smontare la serratura della sua stanza e modificare una pistola giocattolo per farle sparare dei veri proiettili.
Durante la sua infanzia il bambino venne cresciuto per lo più dalla governante, mentre la madre era lontana da Cotchford e il padre evitava il figlio per quanto gli era possibile farlo; come lo stesso Christopher ammise anni dopo, Alan, estremamente chiuso per natura, non era bravo ad avere a che fare con i bambini. Questo estraniamento dai genitori non si colmerà mai, anzi, il solco scavato tra di loro diventerà sempre più profondo nel corso degli anni portando il figlio a cessare completamente le visite al padre e alla madre, perfino sul letto di morte di Dorothy.
Ironicamente, Christopher era estremamente simile al padre, per carattere e predisposizione artistica. Entrambi erano decisamente introversi e individualisti, grandi osservatori e fini umoristi; entrambi dimostrarono una particolare attitudine per i numeri nel corso della loro vita, studiando Matematica al Trinity College, ed entrambi si dedicarono alla scrittura, sebbene con intenti radicalmente diversi. Christopher non trovò mai dei soggetti all’altezza di quelli del padre e finì per scrivere della sua vita, in una sorta di tentativo di esorcizzare il personaggio pubblico di Christopher Robin che per tanti anni aveva dominato la sua vita.
Fu nell’impacciata frequentazione tra Alan e suo figlio nella bucolica cornice di Cothford che nacque il personaggio che cambiò per sempre la vita del bambino. Da abile narratore, Alan riconosceva a prima vista una buona storia, e quando vide il figlio giocare con i suoi animali di peluche nella pace immacolata dei boschi del Sussex sentì la scintilla dell’ispirazione accendersi nella sua testa. Il successo di Winnie the Pooh fu immediato e imprevedibile nella sua portata. Illustrati da Ernest Shepard, i racconti sul piccolo orsetto scaldarono i cuori dei lettori e ne entusiasmarono la fantasia, diventando in breve tempo famosissimi in tutto il mondo e portando il suo autore sotto le luci della ribalta. Alan ammise fin da subito, forse con eccessivo candore, di aver tratto ispirazione dal figlio, che all’epoca aveva sei anni, e scatenò così inavvertitamente il desiderio dei fan di conoscere la versione in carne e ossa di Christopher Robin, che si ritrovò suo malgrado ad assaporare la celebrità. I giornalisti diventarono una presenza fissa a Cotchford, alla ricerca di scoop e immagini della famiglia o dei giocattoli di Christopher, mentre i lettori di Pooh sembravano non essere mai sazi di incontrare il bambino e sentirgli raccontare dei suoi giochi e della sua vita.
Come spesso avviene, la celebrità finì per scavare una voragine sempre più profonda all’interno della famiglia, in cui i rapporti si potevano già eufemisticamente definire tiepidi. Christopher inizialmente prese la sua improvvisa fama come un gioco, e fu comprensibilmente felice di trovarsi sotto i riflettori; ben presto, tuttavia, il piacere si trasformò in insofferenza, e cominciò a vedere nel padre il responsabile di tutte le attenzioni indesiderate che si trovava costretto a sopportare e incoraggiare per non ledere gli interessi della famiglia. D’altro canto, Alan sperimentò molto presto la maledizione comune a molti autori di best-seller: essere messi in ombra dalla propria creatura. Winnie the Pooh e Christopher Robin catalizzarono completamente l’attenzione dei fan, lasciando all’autore delle storie le briciole di quella popolarità che lui stesso aveva costruito con i suoi racconti.
Dopo altri quattro volumi pubblicati, che aumentarono in maniera esponenziale la fama di Christopher e la sua esposizione mediatica, Alan decise che era venuto il momento di correre ai ripari. Con una lettera agli editori affermò che non ci sarebbero più state storie su Winnie the Pooh, citando come giustificazione il desiderio di cimentarsi con altri generi letterari; i più cinici, tuttavia, osservarono che nel frattempo Christopher era cresciuto e, presumibilmente, aveva maturato interessi diversi lasciando il padre privo di quella fonte di ispirazione che aveva dato vita al Bosco dei 100 Acri.
Christopher Robin: liberarsi del fardello del proprio passato.
All’età di 9 anni Christopher venne iscritto in un prestigioso collegio, ottenendo finalmente un riparo dall’attenzione dei suoi ammiratori. Le cose, tuttavia, non fecero che precipitare: lontano dall’ambiente protetto dove aveva trascorso la sua infanzia, Christopher si trovò impreparato ad affrontare i suoi coetanei, che ne fecero il bersaglio delle loro malevoli attenzioni esacerbandone l’amarezza nei confronti del padre.
Fu solo durante la Seconda Guerra Mondiale che Christopher, di stanza in Italia e in Medio Oriente, riuscì a scaricarsi del fardello della sua ingombrante identità. L’esperienza bellica, che aveva profondamente segnato suo padre, permise a Christopher di scoprire chi era veramente, di forgiare finalmente la sua identità e trovare il modo di vivere la sua vita.
Di ritorno dal fronte Christopher sposò una sua cugina, Leslie de Sélincourt; la madre disapprovò il matrimonio, ma la coppia si allontanò ben presto dai Milne per trasferirsi a Dartmouth, nel Devon, dove aprirono una libreria. Sebbene il flusso degli ammiratori e dei curiosi intenzionati a conoscere il vero Christopher Robin era destinato a non esaurirsi mai, Christopher, ora adulto, rifiutò sempre di godere dei ricavi economici derivanti dai libri del padre, donandone anzi i proventi in beneficenza e mantenendosi esclusivamente con i guadagni del suo modesto impiego. Ebbe una figlia, Clare, nel 1956, alla quale venne però diagnosticata una grave forma di paralisi cerebrale. Christopher diede l’anima per Clare, dimostrandosi un padre ben diverso dal proprio; la bambina crebbe, e dedicò la sua vita alla carità raccogliendo fondi per il trattamento della paralisi cerebrale e fondando un ente di beneficenza per i disabili.
Christopher non rivide quasi mai più i suoi genitori. Contrariamente a quanto mostrato nel film, infatti, non perdonò mai il padre per aver dato la sua infanzia in pasto ai lettori, e le visite ai genitori si diradarono sempre di più fino alla morte di Alan, avvenuta nel 1956; nei quindici anni successivi, precedenti alla morte di Dorothy Milne, Christopher non rivide più la madre, con la quale condivideva un rapporto ancora più arido.
Nel 1974 Christopher trovò un modo di esorcizzare finalmente la sua esperienza confessandosi in un’autobiografia, The Enchanted Places, una catartica riflessione sul suo passato, sull’opera paterna e le conseguenze dell’incauta esposizione mediatica sulla sua vita. La scrittura torna quindi prepotentemente nella sua vita in un ruolo salvifico: dopo avergli sottratto l’infanzia, la letteratura si presta, come per scusarsi, a sanare le sue ferite e superare il rancore e l’amarezza che l’avevano accompagnato per così tanti anni.
Christopher Robin morì nel 1996, dopo anni di malattia. I suoi giocattoli d’infanzia, che hanno portato indirettamente tanta felicità al mondo ma tanto dolore al loro piccolo padrone, si trovavano già da anni a New York, il più lontano possibile da lui, e lì, ancora oggi, accolgono migliaia di visitatori incuriositi dall’agrodolce storia vera nascosta nelle pagine dei libri di Alan Milne.