Critica sociale ed emarginazione: il cinema dei fratelli Dardenne
In occasione della presentazione del loro nuovo film La fille inconnue a Cannes 2016, ripercorriamo la carriera dei fratelli Dardenne, registi e sceneggiatori belgi che hanno legato indissolubilmente la loro carriera alla Croisette, vincendo per ben due volte la prestigiosa Palma d’oro, impresa riuscita per ora solo ad altri sei cineasti. Nel corso del loro percorso filmico, Jean-Pierre e Luc Dardenne si sono contraddistinti per l’estrema attenzione per i loro personaggi, spesso lavoratori disagiati o emarginati dalla società, e soprattutto per la descrizione fedele e mai retorica del contesto all’interno del quale essi si muovono. I fratelli Dardenne hanno infatti spesso abbracciato tematiche difficili e scomode come l’immigrazione, l’integrazione e la disoccupazione, gestendo i loro racconti con grande rigore ed essenzialità e ispirandosi nella forma e nei contenuti alla grande tradizione del cinema neorealista italiano, scuola per la quale non hanno mai nascosto la loro profonda ammirazione. Per analizzare temi e stile dei Dardenne, abbiamo scelto quattro loro pellicole apprezzate da pubblico e critica.
I fratelli Dardenne e la disoccupazione: Rosetta (1999) e Due giorni, una notte (2014)
Uno dei temi più sfruttati dai fratelli Dardenne nel loro cinema è sicuramente quello della disoccupazione. Pochi registi hanno saputo fotografare questo dramma sociale con tale durezza e al tempo stesso con una così profonda umanità. Le due pellicole più importanti su questo tema sono sicuramente Rosetta e Due giorni, una notte, separate fra loro da quindici anni di tempo ed entrambe incentrate su due donne che a causa di un licenziamento si ritrovano a combattere con tutte le loro forze per un posto di lavoro dignitoso. Rosetta è il film che ha permesso a Jean-Pierre e Luc Dardenne di conquistare la loro prima Palma d’oro come miglior film (bissata da quella per L’Enfant – Una storia d’amore), anche grazie alla strepitosa prova della debuttante protagonista Émilie Dequenne, a sua volta premiata con il riconoscimento per la migliore interpretazione femminile del Festival di Cannes 1999. Rosetta è un’adolescente che vive in una roulotte insieme alla madre alcolizzata e che vede peggiorare ulteriormente la propria vita a causa di un inaspettato licenziamento; la ragazza comincia così una strenua battaglia per trovare un posto di lavoro serio e stabile che permetta un miglioramento della sua condizione e di quella della madre, che si ritrova a prostituirsi per sbarcare il lunario. Con una regia pulita e sobria, fatta di lenti inseguimenti con macchina a spalla, i fratelli Dardenne ci mostrano la straziante esistenza della protagonista, in perenne lotta contro un sistema che non fa nulla per tutelarla e contro un destino che sembra volerla ricacciare continuamente con la testa sott’acqua ogni volta che sale a galla per respirare. Ingabbiata in una società in cui ad andare avanti sono gli imbroglioni o i privilegiati, Rosetta viene costretta a venire meno ai propri principi e a commettere una scorrettezza per sopravvivere, per poi subirne le conseguenze e pentirsene amaramente. Sull’onda emozionale dell’uscita del film, cinema e vita vera si sono incrociati, toccati e fusi, portando il governo del Belgio a emanare una legge (conosciuta anche come Rosetta Plan) a tutela e regolamentazione del lavoro minorile. I fratelli Dardenne hanno affrontato nuovamente il tema della disoccupazione nel 2014 con Due giorni, una notte, mostrando che le cose in fondo non sono migliorate di molto. Le leggi a difesa dei lavoratori vengono bellamente aggirate sfruttando cavilli o addirittura la paura creata ad arte dai datori di lavoro. In un caso del genere viene coinvolta la protagonista del film Sandra, interpretata da una stratosferica Marion Cotillard, che per questa sua prova ha anche ricevuto una meritatissima candidatura all’Oscar. La donna dopo un lungo periodo di depressione torna a lavorare presso la ditta da cui è assunta, il cui capo però nel frattempo ha riorganizzato il flusso lavorativo. I dipendenti vengono perciò messi davanti a una crudele scelta: reintegrare sul posto di lavoro Sandra o licenziarla usufruendo però di un bonus di 1000 euro ciascuno. La prima votazione sancisce il licenziamento della donna e il conferimento del bonus ai dipendenti, ma Sandra riesce a conquistare l’opportunità di una seconda votazione. La donna ha così due giorni e una notte per convincere i propri colleghi a rifiutare il bonus e a salvare il suo posto di lavoro. La sostanziale differenza fra Rosetta e Sandra è che quest’ultima sceglie di affrontare la difficoltà e la sofferenza chiedendo sommessamente aiuto, arrivando quasi a umiliarsi chiedendo con il cuore in mano ai colleghi di salvare il suo posto di lavoro. Questo cambiamento si riflette anche nella narrazione del film, che procede come una sequenza di colloqui di Sandra con i suoi colleghi, sorretti dal carisma di Marion Cotillard e dalle sue doti espressive. Rosetta ci mostrava gli emarginati e l’impossibilità per loro di elevarsi dalla propria triste condizione sociale. Quindici anni dopo, Due giorni, una notte ci mostra una realtà ancora peggiore (se possibile), in cui la società è ridotta alla lotta fra poveri per un boccone in più e governata dalla paura di perdere i pochi privilegi acquisiti. Quest’ultima pellicola ci concede però anche un briciolo di speranza, mostrandoci che anche nello squallore generale si può ancora rimanere fedeli ai propri principi e contare sull’aiuto di qualche anima buona.
L’immigrazione e l’integrazione per i fratelli Dardenne: La Promesse (1996) e Il matrimonio di Lorna (2008)
Con La Promesse e Il matrimonio di Lorna i fratelli Dardenne ci hanno mostrato due inquietanti ritratti dell’immigrazione clandestina e delle atroci e disumane attività criminali che la accompagnano. La Promesse è il primo film di finzione dei Dardenne, che in precedenza avevano realizzato prevalentemente documentari. Lo stile è ancora fortemente legato a queste esperienze, volutamente grezzo e del tutto privo di orpelli, in modo da raccontare nel modo più asciutto e realistico una storia di sfruttamento e mercificazione dell’essere umano. Protagonista della storia è il quindicenne Igor (Jérémie Rénier), adolescente che come la Rosetta del successivo film viene prematuramente messo davanti alle miserie e alle bassezze del genere umano. Suo padre Roger (Olivier Gourmet) sfrutta gli immigrati clandestini come manodopera gratuita per la sua impresa edile, offrendogli in cambio indegne sistemazioni negli appartamenti di sua proprietà. Igor è pienamente consapevole dei loschi affari del padre, a cui collabora con piccoli lavoretti che alterna con la sua principale attività da meccanico. Non c’è traccia della purezza e dell’incanto che si dovrebbero vivere durante l’adolescenza, ma vi è solo la certezza del continuo perpetuarsi del marciume e della corruzione di un intero sistema. L’equilibrio si rompe solo quando un perde accidentalmente la vita uno degli immigrati sfruttati, che in punto di morte chiede a Igor di prendersi cura della sua famiglia. Il ragazzo prende così coscienza delle barbare azioni del padre, mentre fa la conoscenza della vedova Assida, alla quale decide di non rivelare la verità sul marito. È l’inizio di uno scontro fra generazioni tipico del cinema dei fratelli Dardenne, con Igor che ritrova lentamente l’umanità perduta, ribellandosi al volere paterno e avvicinandosi sempre più ad Assida, che per lui diventa quasi un surrogato dell’assente figura materna. A compiere un percorso uguale e contrario è la protagonista de Il matrimonio di Lorna, giovane donna albanese che si ritrova coinvolta in uno squallido giro di matrimoni di facciata. Lorna (Arta Dobroshi) è infatti l’esempio del lato più subdolo e meschino dell’immigrazione clandestina, che costringe una donna a mercificare i propri sentimenti pagando un tossicodipendente per sposarla e farle ottenere la cittadinanza. Proprio questo finto matrimonio diventa però per Lorna l’occasione di ritrovare la propria sensibilità e la propria umanità, facendole stringere un legame sempre più forte con il finto marito Claudy (nuovamente Jérémie Renier), alle prese con un difficile tentativo di disintossicazione. La morte per overdose del falso coniuge e la possibilità di risposarsi una seconda volta a pagamento per conferire la cittadinanza a un uomo russo non fermano il percorso salvifico della donna, a cui Claudy ha lasciato in dono una presunta gravidanza e una rinnovata fiducia in un futuro migliore. La voglia di maternità diventa cosi per Lorna un appiglio a cui attaccarsi per ritrovare un insperato attaccamento alla vita e per farle intraprendere un difficile cammino di riscatto, sospeso fra illusione e realtà. Igor e Lorna sono due facce della stessa medaglia, vittime di una società corrotta e immorale che riesce però a cambiarli e a purificarli, ricongiungendoli alla vita e alla voglia di famiglia e normalità.
Il realismo e la semplicità con cui questi due eccezionali cineasti ci raccontano le miserie del mondo in cui viviamo non devono trarre in inganno, perché nulla nel modo di fare cinema dei fratelli Dardenne è lasciato al caso. Il pedinamento ai protagonisti a cui assistiamo in ogni loro film serve a farci provare lo stesso senso di oppressione che provano loro. L’apparente difficoltà che i registi sembrano avere a contenere i personaggi nella macchina da presa è un modo per renderli più grandi dello sfondo in cui si muovono e per immergerci completamente nelle loro vite. L’avvilente indigenza che regna sovrana in ogni loro film è un mezzo per criticare le contraddizioni e le insensatezza della nostra società. ma anche uno strumento narrativo per offrire ai protagonisti un terreno in cui combattere per la propria dignità e per il proprio riscatto. Rosetta, Sandra, Igor, Lorna e gli altri personaggi del cinema dei fratelli Dardenne ci ricordano di guardare con occhio critico la realtà che ci circonda, ma anche di non arrenderci a essa, continuando a lottare e a cercare sempre un barlume di umanità anche negli abissi più profondi della nostra civiltà.