Cinematographe.it presenta Avengers: Endgame dei fratelli Russo
I fratelli Russo firmano il penultimo capitolo della Terza Fase dell'MCU: Avengers: Endgame, che è diventato a pochi giorni dall'uscita un fenomeno globale.
Più che un film, un vero e proprio fenomeno sociale. Nei cinema dal 24 aprile – in Italia, in America il film è uscito un paio di giorni dopo – Avengers: Endgame è in corsa per polverizzare diversi record. Ma, al di là delle immense quantità di denaro che sta fruttando alla sua produzione, Endgame ha un valore che si espande in ogni direzione del mezzo cinematografico. Endgame, come il titolo anticipa, è la fine di un ciclo, di una fase (la terza) del Marvel Cinematic Universe, iniziato 11 anni fa con l’uscita in sala di Iron Man di Jon Favreau.
Attenzione, da qui in poi non saranno risparmiati spoiler
Gli incassi di Avengers: Endgame
Era prevedibile: il richiamo di un evento come Avengers: Endgame ha attirato in sala un pubblico vastissimo. La pellicola firmata dai fratelli Russo è entrata di prepotenza nella top ten dei film che hanno incassato di più nella storia del cinema, rincorrendo l’imbattuto Avatar che nel 2009 ha incassato più due miliardi e 700mila dollari. Erano altri tempi, però: la novità del 3D coinvolse un pubblico attratto tanto dal film quanto dalla tecnologia immersiva che allora si presentava come rivoluzionaria (e non è da trascurare il fatto che il biglietto per la proiezione 3D costasse circa il doppio di quello normale).
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Fatte queste considerazioni, basta pensare che ad ora l’incasso mondiale di Endgame si aggira sul miliardo e ottocentomila dollari e che la sua distribuzione è appena iniziata. Inoltre, quell’immenso mercato che è la Cina, ha premiato le avventure di Cap&soci registrando uno dei più alti incassi relativi al primo giorno di programmazione, con un totale di 107 milioni di dollari. Si potrebbe obiettare che, esaurita la carica propulsiva del primo weekend, i numeri tenderanno a stabilizzarsi: probabile, ma non si dimentichi la peculiarità del pubblico di Endgame. Basterà soltanto una visione del film per soddisfare pienamente la passione dei fan?
La fanbase di Avengers: Endgame
…è una fanbase assolutamente particolare, una fetta di mercato che l’MCU (e la Disney, sopratutto) ha imparato a conoscere, andando incontro ai suoi gusti, interpretando e anticipando nuove esigenze. Il pubblico di Endgame quindi non si comporta come un pubblico qualsiasi. Si tratta di un gruppo (numerosissimo) di persone di ogni genere e provenienza sempre più attente ai dettagli, alla coerenza, alla qualità e alla logica del film.
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È un pubblico educato, in grado di tenere alta la concentrazione per lassi di tempo altrimenti improponibili nel cinema mainstream. In più, tutti gli spettatori sono stati abituati ad aspettare con religiosa dedizione la fine dei titoli di coda, per non perdersi i pochi secondi delle scene post-credits, autentici punti di raccordo tra un film e l’altro. Certamente, un vero e proprio tour de force come quello di Endgame può mettere alla prova anche il fan più concentrato: ed ecco che si spiega come mai le seconde visioni aumentano in maniera così consistente.
La semplice complessità di Avengers: Endgame
Ormai chi liquida i cinecomics come un prodotto di facile fruizione, si può dire sia fuori dal mondo. Per essere precisi, la complessità di temi e situazioni alla base delle saghe fumettistiche che hanno ispirato questo (relativamente) nuovo genere di film non è mai stato né banale, né semplicistico. Purtroppo sono dovuti passare diversi decenni prima che il media-fumetto (e quello che ne deriva) si sia smarcato dalla definizione di “prodotto per bambini” – come se questo costituisse un demerito.
Gli interpreti più acuti del nostro tempo, invece, riconoscono ai cinecomic il giusto ruolo che gli spetta: si tratta di un veicolo comunicativo di portata strepitosa, in grado di parlare al cuore e alla mente di tantissime persone, di tutte le età. Inglobare fette sempre nuove di pubblico, anzi, è diventato un obiettivo della ferrea volontà disneyana. Nasce così il fenomeno Black Panther, che ha incassato più di un miliardo e 300mila dollari, acchiappando diverse candidature agli ultimi Oscar, ma anche il primo standalone dedicato a un’eroina Marvel (Captain Marvel, che invece ha portato a casa un miliardo e 112mila dollari). Si tratta di successi preparati, frutto di una strategia di mercato a cui ci si può solo inchinare, ma che rispondono anche a necessità date da movimenti sociali e politici. La comunità afroamericana si è raccolta attorno al proprio eroe, così come il neo-femminismo ha riconosciuto in Carol Danvers una degna rappresentante in un contesto altrimenti davvero tanto (troppo?) testosteronico. Il messaggio di Carol è stato ripreso, inoltre, in una scena esemplare, collocata nella sequenza finale di Avengers: Endgame in cui tutte le eroine del MCU si schierano per difendere e supportare Capitan Marvel.
Avengers: Endgame: “Da grandi poteri derivano grandi responsabilità”
L’insegnamento lasciato da zio Ben Parker al nipote (e a tutta l’umanità) è la chiave per osservare con attenzione la doppia faccia della medaglia del potere. Allo stesso modo, è interessante captare quali messaggi il franchise degli Avengers ha veicolato al suo sterminato pubblico. Chi riesce ad arrivare a un uditorio così vasto ha – infatti – allo stesso tempo un grande potere e una grande responsabilità: come hanno sfruttato i creativi alle spalle della Saga dell’Infinito questo enorme potenziale?
Con la chiusura del cerchio in Endgame, i fratelli Russo (e tutto il team creativo alle loro spalle) hanno dato il giusto compimento agli archi narrativi dei tre personaggi principali, e gettato le basi per le prossime avventure di tutti gli altri. Dopo il visibile fallimento di Infinity War, infatti, Captain America (Chris Evans), Iron Man (Robert Downey Jr) e Black Widow (Scarlett Johansson) tentano in qualche modo di ricostruire le proprie esistenze. Chi, come Cap si dedica a un’assistenza pacifica dei sopravvissuti (condividendo sconfortanti sedute di terapia di gruppo), chi – Black Widow – coordina una specie di superpolizia intergalattica, chi (Iron Man) si ritira completamente a vita privata decidendo di piantare il seme del proprio futuro.
Ma la missione di un eroe non finisce con la sconfitta. Come Cap ha insegnato fin dal primo momento in cui è apparso sul grande schermo (e sulla carta, per chi lo segue da prima del passaggio transmediale) si combatte sempre fino alla fine delle proprie forze. Per questo, superate le reticenze iniziali, i tre si aggrappano alla speranza data dal ritorno di Ant-Man (Paul Rudd) dal Regno Quantico e cercano disperatamente un modo per “riportare tutti a casa”.
Nella fine del proprio arco narrativo, ognuno dei membri della Trinità MCU porta a compimento il simbolo di cui è investito. La morte di Tony Stark, così come quella di Black Widow, sono sacrifici estremi, funzionali alla salvezza di tutti gli esseri viventi: non è un caso che si tratti dei personaggi che partivano da una condizione del tutto individuale, abituati a provvedere a loro stessi e alla propria sopravvivenza. Se di Natasha Romanoff si scopriranno le origini (probabilmente) nello standalone a lei dedicato – ora finalmente in produzione – di Tony Stark si sanno già vita, miracoli e morte. L’incontro col padre Howard Stark (John Slattery) e il dialogo che c’è tra i due personaggi è una sinistra anticipazione di quello che lo attende nella sequenza finale. Tony – che nella prima parte del film è diventato padre a sua volta – supera la ciclicità del suo karma familiare, andando a colmare il proprio vuoto interiore in un gesto di estremo altruismo.
Avengers (Endgame). Uniti!
La domanda ricorrente che ha accompagnato tutti gli spettatori dopo la visione del film è stata: “E ora?”. Le ultimissime sequenze di Avengers: Endgame suggeriscono in maniera più o meno esplicita le direzioni in cui i sopravvissuti potrebbero andare. Capitan America – colui che ci si spettava come martire di Thanos – ha deciso di concedersi la vita che fino ad allora gli era stata negata e torna indietro per dare a Peggy Carter (Hayley Atwell) il compagno che le aveva promesso. Nel passaggio di consegne simbolicamente rappresentato nel dono dell’iconico scudo, Steve Rogers sceglie Sam (Anthony Mackie) Wilson aka Falcon come nuovo Capitan America. Così, lascia al pubblico un altro importantissimo monito, ricorrente nell’etica dei supereroi: è l’assunzione di responsabilità, non il superpotere, a fare dell’uomo un eroe.
Non sono da trascurare neanche le figure di Thor (Chris Hemsworth) e Bruce Banner–Hulk che in quest’ultimo (per ora) capitolo si presentano con delle vesti del tutto nuove. In maniera diametralmente opposta, i due personaggi hanno subito le pesanti conseguenze del lutto e della sconfitta. Thor – in una versione Asgardiana del Grande Lebowski – rifiuta il proprio ruolo, nascondendo sotto diversi strati di indolenza il cocente peso del fallimento. Hulk (che invece sembra un po’ Shrek) è colpevole di non aver sfruttato la propria forza nel momento decisivo ed è diventato una versione anche troppo amichevole e bonacciona della furia a cui siamo abituati. La loro è una linea comica stonata e giustificata dalla intensa malinconia che li accompagna nella loro trasformazione da temibili vendicatori ad amabili pupazzoni: nonostante ciò (e qui si legge un altro grande insegnamento), ognuno, qualunque siano le sue condizioni, può essere utile e decisivo per la salvezza della collettività.
Infine, Thanos (Josh Brolin). Thanos è un Eterno, un essere sovraumano ossessionato dalla sua missione. La sua è una pulizia etnica universale che si muove nel terreno delirante di una presunta giustizia, come la concessione di un dio imperscrutabile destinata a non essere compresa dai suoi beneficiari. Thanos è la Morte, è ineluttabile. Eppure, Thanos a sua volta morirà (e ben due volte). Nella magnifica scena della battaglia finale, gli uomini e le donne “comuni” uniscono le proprie risorse per dimostrarsi che nessun destino è scritto, e che non esiste Forza nell’Universo in grado di sopprimere l’innato istinto alla vita.
La ricaduta sociale di Avengers: Endgame
Che se ne parli bene, che se ne parli male, che ci si limiti a recensioni tiepide o ci si lanci in appassionate shitstorm, Avengers: Endgame è un fenomeno globale che ha riunito attorno ad alcuni personaggi e al loro destino una massiccia percentuale di opinione pubblica. L’importanza del progetto MCU (che nel finale trova una degna coronazione), ha portato alla ribalta un nuovo genere narrativo che, nel tempo, è riuscito a ritagliarsi sempre più spazio. La saga dei Vendicatori ha cambiato il pubblico, ha cambiato il cinema d’intrattenimento, ha cambiato gli attori che ne hanno fatto parte. Ha raccolto praticamente la totalità degli interpreti più talentuosi di ogni generazione, che hanno prestato i loro volti a personaggi che fino a qualche tempo fa sarebbero stati snobbati.
Il franchise segue esattamente la parabola dei suoi protagonisti: da outsider, ha potenziato i suoi punti di forza fino ad arrivare a imporsi in tutto il suo splendore. Insieme ad esso, il suo pubblico ha visto diffondersi in maniera quasi epidemica la propria passione, vivendo una magnifica rivalsa culturale. Quale sarà la conseguenza di un livello così alto e profondo di immedesimazione e partecipazione al fenomeno? Probabilmente nessuno può immaginarlo e prevederlo, sta di fatto che – per quanto controllato da uno dei colossi economici più potenti di sempre – il bagaglio di temi dell’MCU travalica gli interessi commerciali, andando dritto al cuore.
La forza di questi eroi, nati ben lontani dai riflettori abbaglianti della multisala del XXI secolo, è sopravvissuta a 11 anni di storie (e alla diramazione del canone in altri fumetti e serie tv) perché non si ridimensiona ad un modello pre-imposto, ma lo rivoluziona dall’interno, accogliendo e sublimando tutto ciò che di più valoroso e coraggioso c’è negli animi giovani di chi li apprezza e li segue. La forza degli Avengers è il loro pubblico, e viceversa.
La fortunata famiglia di Avengers: Endgame
Non è un mistero che tutti gli interpreti del franchise, e le figure artistiche che gli sono gravitate attorno durante questi 11 anni, hanno legato la loro fortuna a questo straordinario fenomeno culturale. Come spesso è accaduto nel corso della saga, la Disney ha valorizzato talenti che fino ad allora non avevano avuto modo di sbocciare. L’MCU è una vera e propria Factory, che ha affidato a mani giovani e a teste brillanti budget da milioni di dollari. Questo è il caso di Anthony e Joe Russo che, prima del loro ingresso nell’MCU con Captain America: The Winter Soldier nel 2014, avevano girato appena tre pellicole e alcuni episodi di serie TV.
La forza della maschera e la sua capacità di catalizzare lo spirito e il coraggio di chi la indossa è una delle regole auree di ogni eroe, che sia super o meno. Se la fama di Scarlett Johansson non aveva molto bisogno di crescere, un legame più sentimentale col proprio personaggio è stato al centro delle interpretazioni di Robert Downey Jr e Chris Evans. Entrambi gli interpreti, già molto famosi di per sé, riconoscono all’ingresso nell’MCU un notevole salto di popolarità. L’interprete di Iron Man, prima di indossare l’armatura che l’ha consacrato, non se la stava passando molto bene, dati i suoi trascorsi con le dipendenze e i vari problemi con la polizia. Evans, invece, ha trovato nel suo alter ego a stelle e strisce un’occasione per esprimere il proprio valore sociale e politico. La sovrapposizione dell’attore col personaggio ha reso gli interventi di Evans manifestazioni coerenti col costume indossato sul set, rendendolo – anche fuori dal ruolo – un personaggio esemplare e rassicurante. Un caso analogo è stato quello dell’interprete di Captain Marvel, Brie Larson, che ha infiammato la cronaca con diverse dichiarazioni spiccatamente femministe prima e dopo l’uscita del film dedicato al suo personaggio. Sembrerebbe, dunque, che la potenza dei supereroi Marvel travalichi il confine del film, entrando nelle vite dei suoi protagonisti e contaminandole positivamente.
Il fenomeno Avengers: Endgame difficilmente si può esaurire nell’arco di un solo articolo. Il consiglio è di lasciarsi coinvolgere e di non smettere di confrontarsi, parlarne e lasciare che i valori dei Vendicatori si sedimentino nello spettatore. Si guardi, dunque alla doppia faccia di questa potente medaglia: un fenomeno, sì, commerciale, ma anche un’avventura personale, che racconta in maniera epica il valore del singolo e l’importanza della collaborazione e della forza di volontà per rovesciare le sorti di un destino ineluttabile. Avengers. Uniti!