Cinematographe.it presenta: Captain Marvel di Anne Boden e Ryan Fleck
La nostra presentazione nel nuovo film del nuovo capitolo del MCU: Captain Marvel vede Brie Larson in una veste esplosiva. Sarà lei a salvare l'Universo dalla guerra e dalla sua totale disfatta?
Che Captain Marvel si presenti come prodotto unico, nuovo e rivoluzionario lo si capisce anche dal giorno di uscita. Se negli Stati Uniti hanno aspettato l’emblematica data dell’8 marzo per assistere alle avventure su schermo della bionda Carol Danvers (Brie Larson), in Italia questo privilegio è iniziato ben due giorni prima – mercoledì 6 marzo, invece del solito giovedì destinato al ricambio delle programmazioni in sala.
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Preceduto da un tappeto (rosso) di polemiche, il film di Anne Boden e Ryan Fleck si erge a emblema di femminismo, trattandosi del primo standalone MCU dedicato a un’eroina. Certamente il risultato difficilmente potrà colmare una lacuna lunga ben 11 anni, un periodo lunghissimo, se pensiamo a quanti film sono stati riservati, nel frattempo, ai colleghi uomini della Danvers. Qualcuno potrebbe dire che non ci siano stati gli spunti giusti, altri che si stava aspettando che il pubblico femminile arrivasse a uno stadio di coinvolgimento adatto a seguire un genere altrimenti pensato per un pubblico di uomini. La verità – presumibilmente – è un insieme complesso di questi due fattori, più tanti altri. Sicuramente Captain Marvel è la risposta a un’esigenza forte, fortissima, ed è una risposta a sua volta forte e chiara. Insomma, se l’Universo chiama, Captain Marvel risponde – anche se non esattamente alla velocità della luce.
Captain Marvel: la risposta del pubblico
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Come anticipato nell’articolo indicato qui sopra, nonostante le dichiarazioni di Brie Larson abbiano scatenato un acceso dibattito su cosa sia o non sia l’inclusione di genere e etnia, il primo weekend al botteghino di Captain Marvel è stato un successo indiscusso. Come è accaduto per un altro film molto contestato (seppur per motivi diversi) – Bohemian Rapsody – il “bene o male, purché se ne parli” è diventato il primo stimolo per il pubblico a recarsi in sala. Ognuno vuole dire la sua, insomma, e per dirla diventa utile (se non necessario) aver visto il film. Se poi si considera il tema “caldo” al centro del dibattito – la questione di genere – possiamo intuire gli ingredienti di una ricetta esplosiva. Il risultato è sensazionale: si parla di 302 milioni a livello internazionale, il sesto miglior debutto in sala di tutti i tempi. Col suo mezzo sorriso e lo sguardo felino, Carol Danvers avrà di che vantarsi con chi aveva previsto un “misero” esordio di 125 milioni.
Anche in Italia il film è il primo al botteghino nel weekend di esordio, confermando una generale accoglienza positiva della critica che ha individuato sia nella struttura, sia nel contenuto, un cinecomic di buon livello, un capitolo all’altezza della saga che da tanti anni porta (e continua a portare) gli appassionati di fumetti al cinema.
Captain Marvel, una nuova icona femminista?
Captain Marvel: tutti gli easter eggs del film con Brie Larson
Considerato lo spirito dei tempi che stiamo vivendo, specialmente in campo politico e sociale, non si può pensare a Captain Marvel come a un fenomeno di puro intrattenimento. O, meglio, certamente abbiamo a che fare con un blockbuster e non con un manifesto politico, ma chiediamoci quanto un prodotto di largo consumo possa incidere nell’immaginario collettivo e nelle giovani coscienze. Se da un lato, infatti, è chiaro che il film sia pensato per un pubblico già svezzato – che ha visto almeno una volta tutti gli altri capitoli della saga degli Avengers – dall’altro il vero obiettivo (o, almeno, quello più importante) sono le ragazzine che da sole o accompagnate dai papà (o dalle mamme) andranno al cinema per Carol Danvers. Come aveva già fatto Elsa nell’iconico Frozen, o Vaiana in Oceania, Carol non è una principessa alla ricerca di un completamento emotivo, affettivo, sentimentale ma una donna con una missione da compiere: ritrovare se stessa e salvare il suo popolo. La Disney continua così a rivolgersi a un pubblico femminile (o filo-femminile) confermando una tendenza che avevamo già osservato nella scelta della protagonista della nuova triologia di Star Wars, un altro brand di primo piano del colosso dell’intrattenimento. Le nuove donne Disney ridisegnano il profilo dell’archetipo femminile, smettendo i panni svolazzanti di una principessa e indossando armature adatte a combattere. Anche la sensualità sta cambiando: è diventata unisex, basata più sul carisma interiore che sui centimetri di pelle che le eroine sono disposte a mostrare.
Captain Marvel: la ricaduta sociale del personaggio
A qualcuno il gender washing potrà far storcere il naso, ma si dovrebbe sempre considerare il fortissimo impatto che colossal di questo tipo hanno avuto sulle nuove generazioni: sono in grado di forgiare coscienze, di creare esempi e di portare in una direzione o nell’altra gli individui in formazione. D’altra parte, una visione di insieme restituisce un percorso evolutivo della figura femminile nel cinema piuttosto chiaro, che si può riassumere in tre macro-fasi, con periodiche accelerate e marce indietro.
Se all’inizio (e molto, molto a lungo) la figura femminile è stata principalmente usata come elemento di supporto per il protagonista, come vittima di aguzzini o come romantica eroina alla ricerca di un happy ending in abito nuziale, nel tempo abbiamo visto muoversi sullo schermo eroine invincibili, mosse dagli obiettivi più disparati. La tutina giallo-nera di Beatrix Kiddo ha fatto scuola nell’affermazione della figura femminile nel cinema, presentando alle spettatrici e agli spettatori una combattente più letale di Bruce Lee, fredda, spietata ma con un cuore di madre che batte in profondità. La sua è una femminilità sofferta, che paga il grande lusso di aver compiuto una scelta contro la volontà di un amante geloso e possessivo.
Nel frattempo, però, una nuova esigenza è nata nel pubblico. i revenge movie hanno iniziato a puzzare di vecchio e la massa si è spostata verso una nuova categoria di prodotti: i cinecomic. Anche se in questo caso si può parlare più di un film ispirato a un personaggio dei fumetti, piuttosto che di un plot mutuato dalla letteratura illustrata, sicuramente Captain Marvel è un una fiera prosecutrice di questa fortunatissima categoria cinematografica. La Disney, spargendo i suoi tentacoli inossidabili sulla maggior parte dell’intrattenimento mainstream per ragazzi (e non solo), ha raccolto le istanze neo-femministe che stanno prendendo piede negli ultimi anni. Anzi, come ha sempre fatto dalla sua nascita e come – presumibilmente – continuerà a fare a lungo, ha anticipato queste istanze iniziando a proporre modelli differenti di principesse sin dal 2012 (con il già citato Brave). Si è davanti a un fenomeno mediatico che si è insinuato a ogni livello nella cultura ultra-contemporanea: oggi ogni storia con una protagonista femminile è tenuta a rispettare alcuni canoni e chi non ne tiene conto è destinato a finire al centro di polemiche, boicottaggi, insuccessi.
Captain Marvel: Brie Larson e il rapporto tra attrice e personaggio
In questo clima positivo per l’attivismo femminista, l’attrice Brie Larson ha annunciato il suo debutto da protagonista in un grande blockbuster con una serie di dichiarazioni piuttosto inequivocabili. L’affermazione di volere più donne afroamericane nelle conferenze stampa ha provocato il risentimento di tutti quei maschi bianchi che si sono messi di punta per boicottare il film, riversando la loro temibile ira nel vasto oceano dell’Internet. Come è già successo per Cap America-Chris Evans, Brie Larson ha sentito vicino il personaggio che l’MCU l’ha invitata a interpretare e le sue dichiarazioni hanno fortemente sposato il messaggio femminista che tutti attribuiscono all’introduzione di questa nuova eroina.
Per l’attrice, che ha iniziato la sua carriera nel 1999 con brevi apparizioni in serie tipo Il tocco di un angelo e Popular, sicuramente Carol Danvers costituisce una grandissima occasione per presentare il suo talento interpretativo a un pubblico più numeroso.
A dire il vero, la critica l’aveva già notata in Room che nel 2016 le aveva addirittura fatto fruttare un Oscar come Miglior Attrice protagonista. Da una stanza piccola, buia e claustrofobica, agli spazi sconfinati dell’Universo, Brie Larson ha conservato una certa coerenza nell’interpretazione di donne forti e risolute in grado di pianificare una via d’uscita e un piano di salvezza per sé e per le creature più deboli che sono chiamate a proteggere.
Appena qualche mese fa, la Larson aveva partecipato a un’altra produzione, sicuramente minore rispetto al colossal Marvel, Il castello di vetro, dove vestiva un altro ruolo femminile forte che faceva dell’autodeterminazione e della salvaguardia della propria identità un vero e proprio grido di battaglia. In un periodo in cui tutti (o quasi) gli attori e le attrici più importanti di Hollywood hanno preso parte in qualche modo a un cinecomic, la Larson – senza ombra di dubbio – fa il suo ingresso da uno dei portoni più importanti.
Captain Marvel: la grande forza del team creativo
Al di là del grande carisma della protagonista e dell’ottima materia prima che la Marvel – come sempre – fornisce nel passaggio al grande schermo, la vera forza di questo film sta nel team creativo che gli ha dato vita.
La gestazione del film è stata lunga e il suo inizio risale al 2013, quando si iniziava a parlare di un soggetto ispirato al personaggio di Ms Marvel. Nell’universo a fumetti, però, la genesi di Captain Marvel ha una storia ben diversa e lega Carol a Mar-Vell, il Capitano Kree che nel film ha il volto tutt’altro che maschile di Annette Bening. Quella del film, però, è una storia interamente originale che prende solo spunto da personaggi e dinamiche generali raccontate nei fumetti.
Per recuperare il personaggio, attualizzarlo e ripulirlo da ogni retaggio di supporting character, i burattinai della Casa delle Idee hanno pensato bene di rivolgersi a un team creativo valido e eterogeneo, che ha messo insieme personalità piuttosto diverse. Si comincia dalla coppia di registi, che sono intervenuti anche in fase di scrittura, Anna Boden e Ryan Fleck che si sono fatti le ossa soprattutto in televisione e nella direzione di alcune piccole produzioni in bilico tra dramma e commedia. Per affiancare questi animi puri nello spaventoso mondo dei blockbuster, sono state chiamate alcune supereoine della scrittura: Geneva Robertson-Dworet (Tomb Rider), Nicole Perlman (Detective Pikachu e I Guardiani della Galassia) e Meg LeFauve (Inside Out e Il viaggio di Arlo).
Insieme hanno creato un racconto delle origini di un personaggio che chiuderà il cerchio iniziato 11 anni fa con il primo Iron Man e che si concluderà con Endgame, in sala dal 24 aprile. Il compito, per questo super-gruppo non era affatto facile, ma i numeri e le reazioni del pubblico hanno ripagato ogni loro sforzo. La scelta di ambientare la storia negli anni Novanta, poi, ha dato la possibilità di esplorare l’estetica di un decennio non ancora esaurito dalla cinematografia degli ultimi anni (che si è spostata decisamente verso gli anni Ottanta). La colonna sonora strizza l’occhio a una grande fetta di pubblico, forse la più grande che ha affollato le sale nell’ultimo weekend: i trentenni, che – in effetti – negli anni Ottanta ci sono solo nati, ma che hanno vissuto il loro svezzamento artistico coperti di camicie di flanella sulle note di Come as you are. Esattamente come Carol Danvers.
Captain Marvel rappresenta una delle più grandi sintesi del pensiero globale degli ultimi mesi. Allo stesso tempo, però, ci insegna quanto i movimenti politici siano perfettamente inseriti in un sistema profondamente ancorato a dinamiche economiche: insomma, il neo-femminismo è diventato pane per i denti della Disney; che lo si voglia o no, la major detta legge sulla figura femminile di riferimento delle prossima generazione, esattamente come ha fatto con le principesse del XX secolo. Un passo in avanti, verso l’infinito e oltre.