Cinematographe.it presenta La Bambola Assassina (2019) di Lars Klevberg
Qualche considerazione sul reboot di La Bambola Assassina diretto da Lars Klevberg: era un rifacimento necessario, o operazione di marketing?
La Bambola Assassina è ritornata al cinema 31 anni dopo dall’esordio sul grande schermo: era il 1988 quando Chucky, il bambolotto omicida ideato Don Mancini arrivò sul grande schermo folgorando tanti spettatori grazie all’originalità del personaggio protagonista, un mix di efferatezza e ironia. Non è un caso che la sua saga horror sia arrivata a collezionare 7 film, un reboot e a quanto pare un’imminente serie tv.
L’amore per questo personaggio dall’aspetto dolcissimo ma dalle intenzioni sadiche è forte, perciò all’annuncio di un reboot che avrebbe reinventato Chucky molti fan hanno storto il naso, pensando subito a un’operazione di marketing. Eppure la critica ha promosso questo film, mentre il pubblico è diviso tra chi non ha apprezzato l’operazione svecchiamento e chi invece ha ritrovato affinità anche con questo nuovo bambolotto che abbandona la sua natura sovrannaturale per diventare oggetto frutto della devianza tecnologica, aspetto che rende il reboot del 2019 un prodotto che assomiglia un po’ a una puntata di Black Mirror.
La bambola assassina: un successo meritato per un reboot che unisce la tradizione al contesto moderno
Il film La Bambola Assassina del 2019 è stato realizzato con un budget di 10 milioni di dollari e attualmente ha incassato a livello globale più di 21 milioni e mezzo (dati boxofficeMojo.com), numeri che potrebbero aumentare nettamente se il passaparola positivo on-line e off-line continuasse a diffondersi. Diciamo pure che questo reboot merita di raggiungere un risultato migliore perché omaggiando il materiale di partenza con tantissimi rimandi al Child’s Play del 1988 e alla saga in generale (ci sono tantissimi easter egg disseminati lungo l’arco narrativo del film), riesce a inventare una nuova storia che sfrutta in modo intelligente l’attualità per instillare terrore. Klevberg & Co. riadattano il personaggio di Don Mancini senza dimenticare anche la critica sociale da cui si partiva a fine anni ’80: il consumismo può essere letale, può uccidere anche in epoca millennial, sfruttando sofisticate tecnologie.
Tecnologie che apparentano l’horror in salsa slasher alla fantascienza distopica. Nel 1988 ci ritrovavamo di fronte a un bambolotto frutto di un rito vudu, in cui il serial killer Charles Lee Ray, colpito a morte da un agente di polizia, con la celebre formula “Ade due Damballa”, si aggrappava alla magia nera per traghettare la sua anima all’interno del bambolotto Good Guys. Nel reboot del 2019 invece quello che fa paura non è l’esoterismo ma ciò con cui abbiamo a che fare tutti i giorni, la tecnologia, il cloud, i dati che ogni giorno regaliamo ai server, che qui hanno il volto di Buddy o meglio lo spietato Chucky.
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L’intuizione non è cosa da poco, se poi è condita da citazioni di film di genere, passando da E.T. di Steven Spielberg a Non Aprite quella porta 2, fino a Poltergeist che urlano all’amore per questo mezzo, allora i fan del genere dovrebbero correre a vedere questo reboot. E invece molti spettatori criticano questo film perché banale, telefonato e irrispettoso della saga di partenza (la pensa così anche Don Mancini che ha disconosciuto la pellicola visto che non continua la sua linea narrativa). Strano sentir parlare così i fan dell’horror, genere cinematografico noto per la sua natura commerciale, che nutre l’industria cinematografica e che grazie proprio al riscontro al botteghino riesce a stupire grazie alle infinite possibilità narrative. È sempre un piacere ritrovarsi di fronte a casi cinematografici come A quiet place e Scappa – Get Out, o storie originali come Hereditary – Le radici del male e It Follows (titoli che al box office non hanno poi avuto particolari exploit), e siamo d’accordo: l’horror sforna tanti titoli mediocri, ma il reboot de La Bambola Assassina non è uno di questi.
La bambola assassina del 2019 era necessario?
Forse non si avvertiva la stretta necessità del reboot di La Bambola Assassina, ma a conti fatti ci si può ricredere. I complimenti vanno all’intuizione e al coraggio di chi ha riesumato una storia vincente in passato, ma che nel panorama attuale dell’horror poteva essere un fiasco, quanto meno con la critica. In fondo a prendere il testimone di Chucky ci ha pensato Annabelle, spin-off di grande successo della saga The Conjuring con atmosfere diametralmente opposte a quelle della saga di Don Mancini, e il cui terzo sequel è uscito solo a una settimana di distanza dal reboot in oggetto.
Con probabilità la patina lucida della bambola Annabelle, la forza dello studio di produzione del film e il traino dei precedenti capitoli toglierà attenzione dal ritorno di Chucky, che ha anche un altro grande competitor, il colosso Toy Story 4. In fondo, però, Chucky è tutt’altra cosa in entrambe le linee narrative: Don Mancini lo ha reso icona beffarda di una società immersa nello più sfrenato consumismo, Lars Klevberg invece ha preso le cose poco più sul serio, facendo specchiare la bambola con il deperimento dei rapporti sociali, la mancanza di diritti dei lavoratori, oltre che ancora una volta nella rincorsa a essere sempre aggiornati e sempre cool, almeno tecnologicamente parlando. Tutto con ironia, perché in fondo l’horror sa anche prendersi in giro.
Forse i più giovani non riescono a riconoscere l’inquietudine dettata dalle distorsioni della tecnologia, mentre i più adulti riescono ad apprezzare fino in fondo questo prodotto che tra operazione nostalgia, innovazione narrativa, fluidità di scrittura e buona regia renderanno La Bambola Assassina un reboot incompreso.