Cinematographe.it presenta Lei mi parla ancora di Pupi Avati
Una panoramica totale su Lei mi parla ancora, il film di Pupi Avati sulla storia d'amore dei coniugi Sgarbi.
Un elogio all’amore, eterno, immortale, che non si spegne mai. È l’anima più dolce e poetica di Lei mi parla ancora, l’ultimo film di Pupi Avati (dall’8 febbraio on demand su Sky Cinema e NOW TV), con un Renato Pozzetto che ha stupito, commosso e ha conquistato il cuore di pubblico e critica. Un film pensato per la sala cinematografica ma che, a causa dell’emergenza Covid-19, è stato venduto da Vision Distribution a Sky, raggiungendo un successo clamoroso: al suo debutto ha infatti registrato un boom di ascolti pari a 367mila spettatori unici. Un risultato raro per film d’autore italiano sulla scia di Pinocchio di Matteo Garrone e, per il cinema internazionale, di Parasite.
Lei mi parla ancora: la storia vera della famiglia Sgarbi
Così bella, così elegante e così vera è la storia raccontata in Lei mi parla ancora, basato sull’omonimo romanzo di Giuseppe “Nino” Sgarbi dal titolo Lei mi parla ancora. Memorie edite e inedite di un farmacista, pubblicato proprio dal padre di Elisabetta e Vittorio Sgarbi nel 2016, a più di novant’anni, due anni prima di morire. Una dedica profonda alla sua Rina alla quale aveva fatto una promessa: sarebbero stati “immortali in tutti luoghi e in tutte le stagioni” se si fossero dati reciproco e infinito amore da quel bellissimo giorno del loro matrimonio. Un matrimonio lungo 65 anni, raccontato grazie all’aiuto di un ghost writer (Giuseppe Cesaro, nel film Amicangelo) che, dopo un iniziale rifiuto, ne ascolta i racconti e se ne appassiona. Il romanzo, che inizia come un esercizio di stile e una terapia del distacco, viaggia tra le pieghe dei sentimenti più profondi e di un’Italia che non c’è più.
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Pupi Avati racconta di sé, di noi, dell’amore vero
I figli di Pupi Avati (il regista ha scritto la sceneggiatura proprio con il secondogenito Tommaso) dopo aver visto Lei mi parla ancora, hanno rivissuto la storia d’amore dei genitori durata 40 anni. Renato Pozzetto ha ricordato la moglie Brunella che ha amato per 42 anni fino alla sua morte nel 2009. Vittorio ed Elisabetta Sgarbi si sono detti entusiasti del film sulla loro famiglia. E a dirla tutta, chiunque può rivedersi nella storia di Nino e Rina. Chi sogna l’amore della sua vita, chi lo ha trovato e lo tiene stretto, chi lo ha perduto e ne sente la mancanza. Il film di Avati è la celebrazione dell’amore vero e adesso sempre più raro. “Mi sono accorto che mi stavo innamorando di lei. Quella volta ho voluto che fosse per sempre. Oggi è difficile da capire”, racconta Nino ad Amicangelo, con sguardo quasi titubante e convinto che quell’uomo che gli siede davanti, divorziato e con rapporti effimeri alle spalle persino con la figlia, non possa capirlo fino in fondo. “Portare avanti una relazione non è una cosa facile. Però provarci e riuscirci dovrebbe avere un valore misterioso e sacrale”. Questa la sua riflessione finale.
L’Italia che non c’è più attraverso gli occhi di Giuseppe Sgarbi
Ma Lei mi parla ancora è anche un viaggio nell’Italia post-bellica degli anni ‘50, quella più semplice, umile e vera e dove un ballo in sala abbracciati stretti l’uno all’altra poteva essere il momento più romantico e intenso della vita. L’Italia dei mulini, dei guanti bianchi, della musica ascoltata tutti insieme e delle grandi tavolate di famiglia, del cinema all’aperto a commentare i film dei grandi registi al fianco degli amici di sempre. Quella ricreata da Avati è l’Italia delle possibilità e della famiglia raccolta in una casa-focolare fondata sulle opere d’arte e gli affetti.
La regia verista di Pupi Avati
Se abbiamo imparato a conoscere Avati per i suoi titoli horror, lo abbiamo e lo continuiamo apprezzare anche per quel suo linguaggio così romantico e delicato con cui tratta i sentimenti. In Lei mi parla ancora, le sue terre emiliane (nel film Ferrara e Ro Ferrarese) si tingono di pennellate veriste e della nostalgia della poesia crepuscolare, dei versi recitati sull’argine del Po nei quali confluiscono i messaggi-pilastro del film (“L’uomo mortale, non ha che questo d’immortale. Il ricordo che porta è il ricordo che lascia”). Una regia, dunque, appassionata che lascia spazio ai silenzi quando necessario. Il ricordo di Rina e dell’amore di Nino per lei si spalma così per tutta la durata del film convergendo su più registri. Il sogno così cede il passo al ricordo che a sua volta prosegue dentro al racconto registrato da Amicangelo. Il tempo di Avati non è scontato ma compie salti su salti fino all’epilogo finale scegliendo di raccontare la storia di Nino e Rina attraverso quella della nascita del romanzo. Ad aiutarlo la fotografia di Cesare Bastelli che dalla nebbia alla calda luce del passato regala piccoli scatti di ciò che fu e sempre sarà.
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Ad ottant’anni la riscoperta di Renato Pozzetto
Renato Pozzetto, nell’immaginario di tutti quell’adorabile “ragazzo di campagna” che va a scoprire il mondo, qui si riscopre attore drammatico lontano dalla risata della commedia all’italiana degli anni ‘70. Uno sguardo ingenuo e sempre stupito, un’andatura dondolante e le parole biascicate dietro ad un’eleganza ferma e decisa. È ciò che fa di Nino-Renato Pozzetto così dolce e al tempo stesso così straziante nel suo legame sempre vivo con Rina-Stefania Sandrelli. Un Renato Pozzetto diverso ma straordinariamente imponente e coinvolgente sulla scena che lascia sgomenti davanti ad una recitazione che, ad ottant’anni, può ancora modificare i suoi contorni senza cambiare essenza.
Lei mi parla ancora: Pupi Avati ha conquistato critica e pubblico
Lei mi parla ancora, con tutta la sua carica emotiva e l’uso sapiente della macchina da presa, ha ricevuto ampio consenso dal pubblico e dalla critica nonostante l’uscita in tv. Il film ha infatti totalizzato quasi 400mila spettatori medi, ottenendo giudizi positivi a tutti i livelli.
Il regista ha dovuto inevitabilmente arrendersi alla distribuzione sul piccolo schermo, ma non ha fatto a meno di lanciare una disperata riflessione. In un’intervista rilasciata ad Adnkronos, Avati ha lanciato infatti un appello al neo Presidente del Consiglio, Mario Draghi, chiedendo al più presto la riapertura dei cinema.
“Ormai è un anno che sono chiusi – ha detto -. Per cui il cinema, non come fruizione generale ma come sala cinematografica, luogo deputato alla visione dei film, sta uscendo dalle abitudini delle persone”. “La differenza sostanziale è che in una sala cinematografica il film comanda. Io non ho mai visto in tutta la mia vita di spettatore, non ho mai visto uno uscire da una sala dopo tre minuti dall’inizio del film. Mentre invece quando un film è programmato su una piattaforma streaming, chiunque abbia un telecomando micidiale in mano può cambiare in qualsiasi istante”. “Cambiano radicalmente le condizioni nelle quali viene fruito il film: in una sala, viene visto in una condizione di totale rispetto della pellicola. Nessuno mette in pausa, mangia, telefona, parla a voce alta, si alza. Il lavoro che ha fatto un autore per cercare di creare delle atmosfere è evidente che venga eluso. E quindi perde la sua efficacia”, ha concluso.
Pupi Avati torna a far innamorare del cinema italiano
Se quindi il regista teme un’imminente disaffezione del pubblico alla sala cinematografica, c’è da dire che con un’opera così pura e appassionata ha certamente rispolverato quel legame forte con il cinema italiano, ben fatto e lontano dalla commedia più facile o dal dramma scontato. Ecco dunque che un film come Lei mi parla ancora in realtà può dare speranza e può invece spingere verso un ritorno al buio e al silenzio della sala dove al comando torna ad esserci lo schermo.