David Lynch: il cinema delle vanità e delle vacuità degli artefici esistenziali

David Lynch racconta la fiaba più torbida, il misticismo surreale delle fate inquietanti in un contesto fatato, le trappole in sentieri incantati, l’ombra del lupo, l’incertezza dell’astratto e la dipendenza dalla paura.

Si ha paura di ciò che si vede, si ha timore di ciò che si sente ma l’inquietudine resta, comunque, nell’avvertimento di tutto ciò che non appare. Lynch, David Lynch l’ha sempre detto che prima o poi la coscienza dell’Aldilà sarebbe stata concreta. Eppure, questo nuovo involucro, il ritorno da farfalla a bruco di David Lynch, ci porta in una dimensione nuova, inanimata e imponente, irraggiungibile, ma pur sempre al presente! Osservare il vigore del “buio” attraverso l’inconscio indomito di più “figure” che si sono snodate nelle pieghe di grandi mani e di un volto che, insieme creano – hanno creato – mille riprese fino a raggiungere le ‘Acque più profonde’.

L’esistenza deforme di una sola complessità

Dune, David Lynch sul film di Denis Villeneuve: "Non lo guarderò mai, non parlatemene più" - Cinematographe.it

David Lynch ha fermato l’osceno nell’eleganza identificativa di più arbitrii. Il suo, un rapporto cinematografico allacciato strettamente alla curiosità, così come tra loro sono gli arti inferiori e gli arti superiori; un sapere profondissimo immerso in immaginazioni complesse nella fissità di una dimensione visionaria e incantata da un suono sordo.
Un cinema eclettico che transita da un’elaborazione anarchica a una struttura produttiva che si espande annullando limiti e distanze, percorrendo spazi non percorribili verso “Strade perdute”, irregolari, non allineate alla linearità.

David Lynch; Cinematographe.it
Strade Perdute di David Lynch, 1997

Se la paura è il paradosso che pone riflessioni sul rapporto uomo/bestia, David Lynch è un arguto strumentista che, focalizzando il problema lo riduce e lo inserisce, al di là delle parti, nell’imballo cinematografico. Ciò in corrispondenza di prolifiche osservazioni dentro le quali il rogo delle sensazioni è costantemente placato dall’intento orrido dell’analisi. La costanza linguistica è l’ideologia di ogni personaggio che rovista dentro se stesso come fosse una seduta dallo psicologo: i nostri Twin Peaks.

David Lynch;
Cinematographe.it
Twin Peaks by David Lynch

“Se fossi immerso nella luce più totale, ti potrei dire quello di cui ho sempre avuto paura: la paura stessa!” (Inland Empire)

David Lynch; Cinematographe.it
Inland Empire by David Lynch, 2006

Rinunciare alla lucidità per ritrovarsi e rivedersi: Inland Empire, guardarsi come davanti a uno specchio e non riconoscersi seppur identici, rifiutarsi e annegare in giochi introspettivi destabilizzanti, senza il rispetto verso se stessi. Lo specchio si rompe e gli occhi lacrimano.  

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Impalcature scenografiche inverse: così Lynch normalizza la diversità

David Lynch; Cinematographe.it
Eraserhead – La mente che cancella by David Lynch, 1977

Il cinema di Lynch è allo stato gassoso, è nella ruvidità di un passato paesaggistico, è intermediario tra l’assolutismo concettuale e l’immediatezza filmica dell’estetica indipendente. Non c’è maestosità, c’è raffigurazione; The Elephant man, capta l’orrore della sensibilità, la bruttezza del dolore, l’esclusione che plagia l’apparenza, l’ossimoro dell’amore e dell’affettività, l’incapacità del sentimento e la scelta di un bello da amare. L’irruenza di un’immagine che riduce il grido e strozza quella capacità di interconnessione per poi riprendersi.
Lynch “normalizza” chi per gli altri è il diverso utilizzando una metafora che ci fa sentire tutti dei bastardi. Evidenzia quella “malformazione culturale” che dilata e strozza il “sentire” dell’umanità!

L’incantesimo dell’orrido nel cinema di David Lynch

David Lynch; Cinematographe.it
The Alphabet by David Lynch, 2002

David Lynch racconta la fiaba più torbida, il misticismo surreale delle fate inquietanti in un contesto fatato, le trappole in sentieri incantati, l’ombra del lupo, l’incertezza dell’astratto e la dipendenza dalla paura. David Lynch ci ha fatto sentire le contraddizioni delle emozioni, la dicotomia dei sentimenti, puri o corrotti, la fragilità della nostra condizione, la precarietà del nostro stare al mondo, la vanità e vacuità degli artefici esistenziali! Ci ha messo di fronte ai nostri incendi emotivi che affievoliscono le nostre dimensioni umane e denudano la nostra inconsistenza, incapaci come siamo nel guardare la “luce” della diversità, la sua ricchezza e la sua bellezza. Una diversità che va oltre l’impressionabile apparenza, che distrugge i limiti dell’esteriorità, che destruttura in partenza i pregiudiziali significati divisivi che allontano l’umano dall’uomo!

In David Lynch l’impressionabile si mutua in “devozione”.

David Lynch; Cinematographe.it
Mulholland Drive by David Lynch, 2001

L’aristocrazia della parola, la processione oggettiva dell’indecenza umana accentrata in un contesto surreale dentro il quale siamo severamente immersi. La metamorfosi della metafora, la concretezza dell’inesistente, il rimpianto, l’orrore, il paradosso scenico nelle dimensioni più vere. Le similitudini, la nudità nell’insonnia, l’ingegno erotico, la corporatura immaginativa, l’incoscienza matura, l’arbitrarietà dei sogni, l’inconsistenza logistica, l’immensità umana’.
Mai… mai… Niente morirà mai… L’acqua scorre, il vento soffia, la nuvola fugge, il cuore batte… Niente muore…” (The Elephant Man)
David Lynch (1946 – 2025).

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