Dogman: la storia vera del delitto del canaro che ha ispirato Matteo Garrone
Matteo Garrone per il suo Dogman si è ispirato alla storia vera del delitto del canaro, un efferato omicidio avvenuto negli anni '80 alle porte della Capitale. Scopriamo insieme la storia vera che ispirato il film rivelazione del Festival di Cannes 2018
Matteo Garrone torna al cinema del reale con Dogman, il film liberamente ispirato a un fatto di cronaca avvenuto nella Capitale alla fine degli anni ’80. L’evento, classificato come uno dei più atroci omicidi romani, è noto ai più come il delitto del Canaro e, a dispetto di quanto si pensi, i fatti riportati dal regista non vogliono essere una copia carbone della realtà, bensì un’esplorazione dell’animo umano e una divisione, come dice lo stesso autore, tra umani “erbivori” e “carnivori”.
Col film, nelle sale dal 17 maggio, il regista torna ai temi a lui più cari, confinando lo spettatore in una periferia in cui vige la legge del più forte. Il fulcro di tutto è Marcello (interpretato da Marcello Fonte), un uomo semplice e mingherlino, palesemente innamorato del suo lavoro (ha un negozio di toelettatura per cani) e della figlioletta e certamente sottomesso a Simone (Edoardo Pesce), ex galeotto che dà del filo da torcere a tutto il quartiere e di cui Marcello è succube.
Se si vuole necessariamente trovare un collegamento tra finzione e realtà allora diremo che Marcello fa le veci di Pietro De Negri, mentre Simone quelle dell’ex pugile Giancarlo Ricci. Tuttavia, c’è un dettaglio che non può essere tralasciato e che sottolinea il fatto che Dogman sia solo ispirato a una storia vera: l’ambientazione contemporanea. Il delitto di cui parliamo, infatti, avvenne il 18 febbraio del 1988, mentre il film è chiaramente ambientato ai giorni nostri, come si nota dalla presenza, ad esempio, di un pc portatile!
Pietro De Negri: “er canaro” – la storia vera del delitto
Se nel film il protagonista è Marcello, colui che nella realtà si è macchiato le mani è Pietro De Negri, noto come Er Canaro della Magliana per via della sua attività. Il suo aspetto fisico reale è forse più rassicurante di quello di Marcello Fonte, ma De Negri era un tossicodipendente e pregiudicato, di certo mentalmente instabile e sopraffatto dai più forti. Pietro De Negri, originario di Calasetta, dove è nato il 28 settembre del 1956, aveva 32 anni all’epoca dei fatti e agli occhi dei più rappresentava un uomo gentile e innocuo, animato dall’amore verso la figlioletta e verso i cani (aspetto che trasuda in moltissime scene del film), ma altrettanto capace di accumulare odio smisurato verso qualcuno, al punto da ucciderlo.
Ma cosa è accaduto davvero? De Negri ha commesso davvero ciò che ha testimoniato? E, soprattutto, l’ha commesso da solo?
Stando alle dichiarazioni di Pietro De Negri, egli attirò Giancarlo Ricci nel suo negozio col pretesto di rapinare alcuni spacciatori – cosa che appare chiara anche nel film -, convincendolo a nascondersi in una gabbia per cani. Una volta dentro, però, chiuse il lucchetto e iniziò la sua tortura incendiandogli il volto e poi stordendolo con un colpo alla testa. A quel punto lo tolse dalla gabbia e legò al tavolo amputandogli i pollici e gli indici d’entrambe le mani con delle tronchesi, cauterizzando poi le ferite con della benzina, in modo da non farlo morire dissanguato e prolungare la sua agonia. Pare che De Negri mutilò al pugile anche naso, orecchie, lingua e genitali, introducendo poi il tutto nella bocca e facendolo morire sfiatato. Nonostante la morte, si accanì poi sul suo cadavere rompendogli i denti con un martello e infilandogli le dita recise nell’ano e negli occhi, aprendo infine il cranio per lavargli il cervello con dello shampoo per cani. Tutto questo avvenne tra le 15.00 e le 16.00 del 18 febbraio 1988 e nel frattempo De Negri si recò anche a scuola della figlia per prenderla e poi portarla dalla madre.
La sera, intorno alle 22.00, avvolse il cadavere in un sacco di plastica e lo caricò sul suo furgoncino, guidando fino alla discarica di via Belluzzo (in zona Portuense), dove gli diede fuoco, premurandosi però di lasciare intatti i polpastrelli in modo da rendere il corpo riconoscibile. A rinvenirlo fu un passante (un uomo che portava il cavallo a pascolare), la mattina dopo.
Questa brutale versione riportata dall’assassino, però, non corrisponde del tutto alla verità, almeno a detta dei medici legali che eseguirono l’autopsia, secondo i quali le suddette parti del corpo furono amputate dopo la morte, avvenuta sicuramente a causa delle martellate sul capo, responsabili di un’emorragia cerebrale. L’ex pugile perse la vita nel giro di circa 30-40 minuti e inoltre sembra che non sia mai entrato nella gabbia e che l’assassino non si sia allontanato per andare a prendere la figlia, mandando invece la cognata.
A condurre le forze dell’ordine a indagare sul canaro furono le indicazioni di un amico di Giancarlo Ricci, tale Fabio Beltrano, presunto complice di De Negri ma sul quale non si indagò mai. Pietro De Negri, dal canto suo, mantenne intatta la sua versione senza fare neanche un passo indietro e descrivendo, nel memoriale che scrisse in prigione, il grande desiderio che lo spinse all’eliminazione fisica dell’uomo. Evidentemente ciò che le sue mani compirono altro non fu che la diretta conseguenza di una sere di angherie subite; la ribellione di chi vuole far notare al mondo che è diventato grande e forte e che anche lui è in grado di ferire e uccidere. Un ritratto, questo, che trapela perfettamente anche dall’interpretazione di Marcello Fonte. Ci si chiede: come è possibile che un uomo così riesca a fare cose del genere? Forse ci si risponde semplicemente che l’apparenza inganna e che talvolta è vero che “can che abbaia non morde”.
Dogman: il delitto del Canaro e l’ira di Vincenzina Carnicella
Ma c’è anche chi ancora non crede a questo delitto e non sono solo i periti, che hanno cercato di leggere “fisicamente” la verità dietro al delitto del canaro, ma anche e soprattutto la madre della vittima, Vincenzina Carnicella (interpretata nel film da Nunzia Schiano), la quale ha dichiarato (come si legge su Huffington Post):
Il canaro è un pupazzo. Non è stato lui a uccidere mio figlio. Erano minimo in quattro. Lui non l’ha sfiorato nemmeno con un dito
La donna è infatti convinta (e non solo lei) che quell’uomo non avrebbe mai potuto compiere quel delitto da solo, ma la verità rimane tutt’ora limitata a quella detta da Pietro De Negri, che per quell’omicidio che lo rese tristemente celebre fu arrestato (il 21 febbraio 1988) e condannato a 24 anni di carcere. I periti psichiatrici lo dichiararono affetto da disturbo paranoide e parzialmente incapace d’intendere e di volere per via dell’intossicazione cronica da cocaina. Pietro De Negri detto Er Canaro ottenne la libertà il 12 maggio 1989 per poi finire nuovamente dietro le sbarre ed essere definitivamente liberato nell’ottobre del 2005 (fece in totale 16 anni di carcere) per buona condotta e disponibilità verso detenuti extracomunitari e malati di AIDS.
Pietro De Negri oggi vive una vita appartata. Dopo il rilascio si rifiutò di parlare con la stampa e adesso che Dogman è uscito nelle sale e i giornalisti fanno domande la moglie li respinge per tentare di proteggere i nipotini, soprattutto, ma anche la sua dignità e tranquillità. Identico atteggiamento è quello assunto dalla madre di Giancarlo Ricci, Vincenzina Carnicella, che aveva occultato i brutali fatti ai nipoti, dicendo che lo zio era morto a causa di un incidente in moto. Nonostante Garrone l’avesse rassicurata sul fatto che la storia era solo ispirata al fatto di cronaca, l’anziana signora si sente tradita, sostenendo addirittura che il regista ha ucciso il figlio una seconda volta.