Downsizing – Vivere alla grande: significato e analisi del finale
Con Downsizing - Vivere alla grande Alexander Payne lancia un monito sul futuro dell'umanità, con semplicità e senza tradire le tematiche fondamentali del suo cinema.
Downsizing – Vivere alla grande di Alexander Payne ha inaugurato nel 2017 la 74° edizione della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia. Payne, già autore di film come Election (1999), A proposito di Schmidt (2002) e Nebraska (2013), accoglie spunti di un filone – la distopia – e tematiche per lui inedite, riuscendo però, in particolare nella prima parte, a ribadire alcune caratteristiche principali della sua poetica e del suo cinema.
Downsizing – Vivere alla grande: cosa accade?
Downsizing è ambientato in un futuro prossimo non meglio precisato assolutamente riconoscibile e simile all’oggi, se non per il fatto che il pianeta è sull’orlo del collasso definitivo a causa del riscaldamento globale e dell’eccessivo consumo di energie e risorse. Come estremo rimedio uno scienziato scopre la maniera di rimpicciolire l’uomo, in modo che, grande come un insetto, possa consumare decisamente meno.
Questa soluzione prende piede e presto nascono ovunque numerose piccole comunità dove l’umanità rimpicciolita può riprodurre ogni elemento fisico, culturale, lavorativo e sociale del mondo come lo conosciamo. Le minuscole colonie diventano presto mete alla moda, o luoghi dove fuggire da insoddisfazioni e infelicità, tradendo le motivazioni scientifiche e umanitarie che erano alla base della loro nascita. Presto infatti questi nuovi mondi riprodurranno le stesse storture, le medesime disparità sociali e gli identici problemi dell’oggi. Tutto questo viene raccontato dal punto di vista di Paul (Matt Damon), il quale ha scelto di farsi rimpicciolire per salvare il proprio matrimonio e iniziare una nuova vita più felice.
Nel finale, dopo che le illusioni hanno lasciato spazio alle disillusioni, il protagonista viene costretto ad una scelta fondamentale: o seguire lo scienziato che aveva scoperto il modo di rimpicciolire l’uomo e i suoi seguaci in un rifugio sotterraneo attrezzato per secoli dove poter sopravvivere al collasso del pianeta tornato imminente e creare una nuova società per il futuro, oppure lottare e dare il suo contributo alla salvezza del mondo partendo, per così dire, dal suo “piccolo” e dalla quotidianità.
Downsizing – Vivere alla grande: un monito per il futuro del pianeta.
La tematica e la morale di Downsizing – Vivere alla grande sono ad una prima e immediata analisi estremamente semplici. Il film vuole infatti essere un grido d’allarme su come l’uomo stia sfruttando e rovinando il pianeta, una denuncia sui rischi dell’inquinamento dissennato e dello sfruttamento incontrollato delle risorse. Gli strumenti della distopia, per quanto perlopiù accennata e molto “leggera”, confermano quindi di essere adatti ad immaginare l’evolversi plausibile di storture della contemporaneità, diventando un monito.
Il messaggio di fondo è quindi esplicito e trasmesso con estrema chiarezza, in una maniera anche molto “liberal” che non rinuncia, in particolare nella parte finale, alla limpidezza della retorica, preferita ad una rielaborazione più stratificata e complessa. Evidenti paiono anche i riferimenti a urgenze tra le più gravi dei nostri anni, pur non immediatamente collegabili alla questione dell’inquinamento e dello sfruttamento folle delle risorse naturali: dalle clamorose disparità sociali con il conseguente sfruttamento dei molti da parte di pochi, fino alla ghettizzazione delle minoranze, isolate nella colonia in cui va a vivere il protagonista da un muro che appare come una frecciata rivolta a Donald Trump.
Evidente, per questo e altri dettagli e per l’esplicita impostazione “liberal” di fondo, è anche come Payne voglia dare il suo contributo alla crociata che molto cinema e molta cultura statunitense stanno compiendo contro il presidente e le derive più pericolose delle sue politiche.
Downsizing – Vivere alla grande: il senso della fuga nel cinema di Alexander Payne.
In fin dei conti in Downsizing – Vivere alla grande l’idea di una nuova e più sostenibile esistenza rimane però un’utopia. L’umanità ricade negli stessi errori e va incontro alla stessa fine. Questo destino universale si specchia nella vicenda personale del protagonista, il quale, come accennato, sceglie di rimpicciolirsi per salvare il suo matrimonio e inaugurare un nuovo corso della propria vita, venendo però abbandonato dalla moglie nel momento decisivo.
Il protagonista si rende conto che la speranza di futuro migliore era un’illusione e che è costretto a ripartire da dove era rimasto, ritrovando gli stessi problemi di prima. Una fuga impossibile quindi sia per il collettivo della società che per l’intimo dell’individuo. Il parallelo è fondamentale perchè è così che Payne inserisce in un film sotto certi aspetti estraneo alla sua poetica – è molto più esplicitamente “politico” e sociale – la sua tematica preferita: la fuga. Dal viaggio in camper negli States più profondi di A proposito di Schmidt al malinconico addio al celibato tra i vigneti della California di Sideways passando per il road movie senile di Nebraska, le fughe raccontate da Payne appaiono illusorie, per quanto in fin dei conti decisive. Non garantiscono una nuova vita, perchè sono sempre il passato, le sue eredità e le ruggini interiori gli elementi che in questi viaggi aspettano il protagonista dietro l’angolo, costringendolo una volta per tutte ad affrontarle a viso aperto.
Anche in Downsizing avviene una fuga che è catartica non perchè garantisce l’Eldorado eliminando i problemi e i drammi preesistenti, ma perché dà gli strumenti e la forza necessarie per combatterli una volta per tutte e per assumere una nuova ottica e nuove consapevolezze, come fosse una rivoluzione quasi nascosta, sommessa e in qualche modo quotidiana ma decisiva e non un cambiamento radicale ed esplicito. Tematica che si sposa alla perfezione con il tono agrodolce, sospeso tra commedia e malinconia, tipico del regista, più a suo agio nell’analizzare le contraddizioni dell’intimo che quelle del collettivo (o meglio, a far emergere in filigrana le seconde dalle prime). Questa attenzione verso l’individuo in Downsizing cammina parallelamente allo sguardo più chiaramente sociale e politico, creando una sorta di rispecchiamento reciproco che sottolinea il messaggio e il monito di fondo del film.
Nel finale infatti “intimo” e “collettivo” si incontrano, per così dire, ponendo al protagonista una scelta decisiva: o abbandonare l’umanità e il proprio destino scegliendo l’ennesima fuga e rifugiandosi in un’altra utopia o fare tutto ciò che nel suo piccolo è possibile per salvare la situazione. Paul sceglierà la seconda strada, dando così voce alla speranza e non alla disillusione e esplicitando la morale definitiva di un film che vuole essere innanzitutto utile, come monito e come esempio. Oltre a confermare la fiducia di Payne nell’individuo e nella sua capacità di, messo alle strette, affrontare e combattere se stesso, i suoi fantasmi e il suo passato.