Dunkirk: la storia vera del film di Christopher Nolan
La storia vera di Dunkirk, il film per la regia di Christopher Nolan sulla celebre battaglia della Seconda Guerra Mondiale.
Dunkirk di Christopher Nolan, è senza ombra di dubbio un film che ha conquistato pubblico e critica in modo unanime, come testimoniato dai tre Oscar e dalla montagna di premi presi in tutto il mondo, nonché da un incasso di più di mezzo miliardo di dollari in tutto il mondo.
Il tempo, l’attesa, la guerra come vuoto ardente, come storie di piccoli uomini sballottati sul mare della storia, ma anche come momento storico di incredibile importanza: una ritirata, una rotta, che invece anni dopo fu salutata come il primo, piccolo, smacco e uno dei tanti fatali errori che comportarono la sconfitta di Hitler.
Dunkirk: una città contesa da sempre
Dunkirk (o Dunkerque com’è chiamata dai francesi), piccolo punto al confine tra Francia e Belgio, storicamente è stato al centro per secoli di contese, guerre, assedi e fatti d’arme che hanno visto inglesi, francesi, spagnoli e i Paesi Bassi contendersela con alterna fortuna.
Città a lungo base di corsari tra i più temuti, in quel 1940 fu il teatro di uno di fatti più sorprendenti e famosi del secondo conflitto mondiale: la Battaglia di Dunkirk.
Svoltasi tra il 26 maggio ed il 4 giugno, la battaglia fu parte dell’Offensiva Occidentale (nome in codice dei tedeschi Caso Giallo) mediante la quale le divisioni tedesche sostanzialmente ridussero in brandelli quelle dei Paesi Bassi, il corpo di spedizione britannico ed infine le forze armate francesi.
Si trattò oggettivamente di un trionfo senza precedenti per l’esercito di Hitler, ma proprio a Dunkirk, si manifestò per la prima volta quell’incertezza, quella sudditanza e mancanza di capacità di analisi, che permise a ben 338mila uomini di mettersi in salvo, scampando alla cattura o alla morte.
Sarebbero stati gli stessi che quattro anni dopo, facendo lo stesso itinerario al rovescio, avrebbero preso d’assalto la “Fortezza Europa” il 6 giugno 1944.
Un nuovo modo di concepire la guerra
Per comprendere come si sia arrivati alla sacca di Dunkirk, ad avere 400mila soldati chiusi in una sacca, con la prospettiva di doversi arrendere in massa o morire, occorre però fare un passo indietro.
Quando le truppe naziste nel settembre del 1939 attaccarono la Polonia, dando il via alla Seconda Guerra Mondiale, stupirono il mondo con la loro “Guerra Lampo”, la Blitzkrieg, una nuova concezione della guerra che vedeva l’uso massiccio di mezzi corazzati (concentrati in unità specifiche, le famose divisioni Panzer) da usare come ariete, supportate da artiglieria, fanteria meccanizzata, paracadutisti ed aviazione, che fungeva da artiglieria verticale.
Le comunicazioni (curate al dettaglio) rendevano questo rullo compressore non solo veloce, ma anche adattabile, flessibile ed in grado di penetrare in profondità nel territorio nemico, di aggirare ed isolare i bersagli statici.
La guerra come movimento, movimento d’orchestra per essere più precisi, ogni unità ha il suo compito e legata alle altre secondo un principio di specializzazione e di precisi compiti.
“Non siamo polacchi, qui non può succedere”
Per colmo dell’ironia, erano stati due militari inglesi, J.F.C. Fuller e Basil Liddel Hart, a concepire i primi passi di questa teoria, durante la prima guerra mondiale, quando si cercava di arrivare ad una vittoria che la guerra di trincea rendeva ogni giorno più distante. E dove i carri armati si erano rivelati un’arma decisiva per rompere la stasi in atto.
Nel primo dopoguerra, tedeschi e russi fecero proprie queste teorie, anzi le portarono ancora più avanti, grazie all’intelligenza di Generali come Hans von Seeckt, Albert Von Mainstein, Michail Nikolaevič Tuchačevskij, grazie ai quali si concepì il carro armato non più come mezzo per il supporto della fanteria, difensivo, ma come mezzo offensivo di sfondamento.
Inglesi e francesi invece, avevano ancora alti ufficiali per i quali il carro armato era un “freak”, una bizzarria che era stata utile per quello specifico momento, ma che non aveva futuro.
E così, mentre negli anni 20 e poi 30, in Germania con l’avvento del bellicoso regime nazista, generali come Guderian, Rommel, Von Kluge, Von Bock e Hoth si preparavano a comandare un esercito tatticamente e tecnologicamente all’avanguardia, in Inghilterra e Francia si pensava ancora a trincee, fortini e filo spinato: ecco dove nacque il disastro di Dunkirk.
Quando poi la Germania esibì con terribile efficacia la sua nuova tattica in Polonia, gli alti comandi inglesi e francesi liquidarono il tutto con una sufficienza ben rappresentata dalla frase dell’inetto Generale transalpino Gamelin: “Noi non siamo polacchi, qui non può succedere”.
Si scelse una tattica attendista, difensiva, usando la linea fortificata Maginot e aspettando un attacco tedesco che si pensava sarebbe passato per il Belgio.
Invece il 10 maggio 1940, dopo vari rinvii e problematiche strategiche, le truppe tedesche scattarono l’attacco, seguendo il piano congegnato dal Generale Von Manstein (che faticò a lungo per imporre le sue idee), le forze tedesche sferrarono un attacco a sorpresa attraverso le Ardenne, a Sedan, di seguito passarono la Mosa e puntarono verso il mare.
Il Belgio e l’Olanda furono accerchiati ed isolati, e con esso le truppe alleate al suo interno, grazie ad audaci attacchi dei paracadutisti tedeschi che aprivano la strada al grosso delle truppe, mentre ovunque sul fronte occidentale le forze aeree tedesche martellavano il nemico senza sosta.
Un esercito totalmente in rotta
Fu un colpo di maglio atroce per gli alleati che, pur avendo in realtà carri più pesantemente corazzati ed armati dei tedeschi, non ne avevano un numero sufficiente e li utilizzavano in modo isolato.
Non avevano quindi nulla per contrastarne l’utilizzo in massa e le nuove tattiche combinate dei tedeschi (che continuarono ad avanzare a velocità folle) e, nonostante il valore dei soldati alleati sul campo, in pochi giorni la situazione apparve disperata.
Le truppe inglesi sulla linea di difesa Dyle resistettero fino al 15 maggio, poi però dovettero ripiegare su ordini superiori per non rimanere isolate mentre, sul resto del fronte, le divisioni di Rommel e Guderian distruggevano l’esercito francese, ormai nel panico più totale, anche a causa di un comando inetto e confuso.
Eppure, la fortuna dette un ultimo regalo alle truppe alleate poiché, dato che la vittoria appariva così roboante e facile, il comando tedesco in patria ed Hitler su tutti manifestavano crescenti segni di nervosismo e nutrivano il dubbio che gli alleati stessero preparando un contrattacco.
Era una vittoria troppo schiacciante e non capivano che in realtà la sorpresa, il volume di fuoco e la velocità delle divisioni panzer, avessero sconvolto un esercito alleato legato a tattiche ed idee di vent’anni prima. Guderian e Rommel erano sul campo, in prima linea, lo sapevano, ma non riuscirono ad imporsi.
Un piccolo attacco che cambiò la guerra
Hitler ed alcuni suoi generali, temevano la reazione alleata, e quando il 21 maggio, ad Arras, le ultime truppe corazzate pesanti alleate colpirono di sorpresa Rommel, tutto questo parve confermare le loro paure.
Lo stesso generale tedesco rischiò di rimanere ucciso e i carri Matilda inglesi (più pesanti e potenti anche se più lenti di quelli tedeschi) parvero in un primo momento inarrestabili ma, quando Rommel fece intervenire i suoi pezzi da 88 mm e l’aviazione, le cose cambiarono velocemente per gli inglesi.
L’attacco fu respinto, pur soffrendo qualche centinaio di perdite, e le truppe britanniche furono costrette infine a ritirarsi dietro ciò che rimaneva della linee di difesa, ma agli occhi di Hitler e del suo Stato Maggiore, fu la prova che il nemico si preparava a contrattaccare.
Per ordine diretto di Hitler, il 24 maggio, l’avanzata tedesca fu sospesa, ed in breve vi fu il raggrupparsi di 400mila soldati inglesi, belgi e francesi a Dunkirk.
A Dunkirk gli alleati ci arrivarono, però, dopo aver distrutto ogni equipaggiamento pesante, e venendo costantemente sottoposti a bombardamenti asfissianti da parte della Luftwaffe tedesca, mentre aspettavano di fronte al Canale della Manica, che delle navi li portassero in salvo.
Ma l’impressione generale era che da un momento all’altro i tedeschi avrebbero sfondato e avrebbero catturato o ucciso ogni cosa sulla spiaggia, difesa da un velo di truppe agguerrite, votate al sacrificio per permettere al grosso di mettersi in salvo.
L’Operazione Dynamo e il reimbarco a Dunkirk
Christopher Nolan, in Dunkirk, ci ha mostrato come, approfittando dell’arresto dell’avanzata tedesca, la flotta alleata si sia adoperata per mettere in salvo quegli uomini, in attesa paziente e snervante sulla spiaggia, sottoposti alle intemperie, bombardamenti, attacchi aerei e con l’incubo (una volta imbarcati) di finire affondati da quegli U-Boot che famelicamente perlustravano le acque della Manica.
Era l’operazione Dynamo: o meglio nota come Il Miracolo di Dunkirk.
Dal 27 maggio al 4 giugno, sotto la guida del vice-ammiraglio inglese Ramsay, sfidando tempo e mare avversi, ed utilizzando non solo i trasporti marittimi militari ma chiedendo l’aiuto delle imbarcazioni civili (navi da pesca, turistiche, scialuppe di salvataggio), fu possibile cominciare ad evacuare gli uomini fermi a Dunkirk.
E i tedeschi? Hitler dette carta bianca all’arrogante Goering, il capo della Luftwaffe, per il quale i suoi aerei bastavano a liquidare la sacca, ma in realtà fin dal primo giorno, la RAF britannica svolse un eccellente ruolo di scorta e copertura dell’operazione Dynamo.
In questo senso, Dunkirk, con Tom Hardy a bordo del suo Spitfire, ci ha fornito un piccolo ma perfetto esempio.
Tuttavia dal 1° giugno, le truppe tedesche ricominciarono ad attaccare con insistenza, travolsero l’ultimo velo di truppe, e l’artiglieria e gli aerei dell’Asse, martellarono le spiagge con maggior insistenza, senza contare che gli U-Boot svolsero il loro feroce lavoro nelle acque della Manica.
Dunkirk: il primo grave errore di Hitler
Ma ormai era tardi. Ben 338.226 uomini furono salvati dalle grinfie dei nazisti, benché fossero truppe ormai quasi senza armamenti, demotivate ed atterrite, che lasciavano il suolo francese certe della sconfitta, quella sconfitta che di lì a pochi giorni sarebbe stata una realtà per l’esercito francese.
La campagna costò agli alleati 2.400 cannoni, 63 mila mezzi, 20 mila motociclette, 77 tonnellate di munizioni e altre 400 tonnellate di materiali, ma proprio il successo dell’operazione Dynamo fu qualcosa di molto importante per il morale dei britannici e degli europei schiacciati dallo stivale nazista. Ridiede speranza.
Certo, se a Dunkirk quei 330mila uomini fossero stati catturati, le conseguenze per l’Inghilterra (rimasta sola contro Hitler) avrebbero potuto essere tremende. Forse avrebbero potuto portare ad un nuovo governo, ad intavolare trattative di pace con il Furher, che secondo molti storici fermò i panzer di Guderian e Rommel proprio perché ammirava l’Inghilterra e sperava in una pace separata. Hitler voleva modellare l’impero germanico sulla falsa riga di quello inglese e agognava un’alleanza in funzione anti-sovietica.
Invece a Dunkirk la Germania di Hitler colse (col senno di poi) il primo, impercettibile, smacco…