Easy Rider: analisi e significato del film di Dennis Hopper
Distribuito nelle sale statunitensi il 14 luglio del 1969, Easy Rider è il manifesto generazionale dell'America ribelle degli anni Sessanta. In maniera esemplare, sin dalla scelta della colonna sonora, Hopper racconta la storia di un viaggio e della conquista della libertà lungo le strade della California.
14 luglio 1969: nei caldissimi Stati Uniti d’America è distribuito un film destinato a rivoluzionare la storia del costume. Easy Rider, opera prima di Dennis Hopper è la parabola tragica di una generazione che, nell’America del Vietnam, dei figli dei fiori e dei sogni infranti, rifiuta ogni regola e si mette in viaggio. Nei paesaggi assolati della California, a cavallo delle loro motociclette, sfrecciano Wyatt (Peter Fonda) e Billy (Dannis Hopper): tutto scorre liscio sulla strada e i due protagonisti ripercorrono questo lunghissimo fiume d’asfalto, entrando in contatto con diversi esseri umani e stili di vita e trovando in questo cuore di tenebra la loro tragica fine.
Easy Rider e la fine dell’innocenza
Erano gli anni della rivoluzione giovanile, il maggio caldo del ’68 non è un ricordo, ma un presente con cui fare i conti. La leva obbligatoria ha portato via tanti giovani, tanti capelloni hanno dovuto rasare la loro simbolica chioma per indossare la divisa. Le famiglie piangono i morti, i sopravvissuti piangono loro stessi. L’idea di un’America eroica e invincibile – che dove passa porta pace e democrazia – è rovinosamente sfumata nelle giungle del Vietnam. Per la prima volta, la società civile si rivolta in massa contro i propri governanti, per la prima volta le grandi marce di protesta puntano dritte a Washington. Il clima, per gli artisti, diventa florido, si assiste a un vero e proprio Rinascimento cinematografico, musicale, artistico, letterario. Qualche anno prima, Jack Kerouac dà voce alla sua generazione portando la scrittura sulla strada e da lì a pochissime settimane Woodstock entra nella mitologia giovanile di tutti i tempi.
Eppure, in questo momento di grande fermento, lo scontro con la classe reazionaria diventa estremo e violento. Tra il 1963 e il 1968, tre simboli della nuova controcultura sono barbaramente e platealmente assassinati da chi, nell’ombra, rifiuta categoricamente il loro messaggio. Muoiono così John F. Kennedy, Malcom X e Martin Luther King: la lotta si esaspera e gli americani scoprono d’un tratto che la patria della democrazia affonda le sue fondamenta nel sangue e nel sacrificio di ideologi e innocenti.
In quest’ottica, le vicende di Wyatt “Capitan America” e Billy diventano esemplari. I due hippies non cercano guai, non provocano: tutto quello che cercano è libertà, tutto quello che ottengono è violenza.
Easy Rider, la morte di Capitan America
Frutto della cultura giovanile degli anni Sessanta, è anche la diffusione sempre più rilevante del fumetto, attraverso cui i suoi storici autori entrano a far parte dell’immaginario collettivo e determinano in modo irreversibile la cultura popolare. Non a caso, il soprannome del protagonista di Easy Rider è Capitan America, dall’iconico eroe Marvel nato nel 1941 dalla mente di Jack Kirby e Joe Simon.
A un primo sguardo si potrebbe pensare che il legame tra i due è puramente superficiale, giustificato solo dal fatto che il casco e il chopper di Wyatt sono customizzati con la bandiera a stelle e strisce; tuttavia, la connessione fra i due simboli del Nuovo Continente è molto più profonda e trova un senso proprio in quel periodo di grande mutamento che chiuse definitivamente il capitolo del post Seconda Guerra Mondiale per aprire quello dell’emergenza economica e militare permanente, da cui non siamo mai realmente usciti. Wyatt, infatti, è uno di quei giovani che vive la cultura hippie non come semplice contestazione, ma come radicalizzazione del concetto di libertà alla base dello spirito yankee: silenzioso, riflessivo e sensibile, il personaggio interpretato da Peter fonda è la quintessenza della purezza. La sua trasparenza – così come quella del personaggio cui prende il soprannome – si scontra inevitabilmente con l’America corrotta, violenta e intollerante che ogni eroe dovrebbe prefiggersi di combattere. Allo stesso modo, Capitan America – che appena cinque anni prima di Easy Rider fu ripreso e riscritto da Stan Lee – si libera del nazionalismo che ha segnato la sua nascita e si adatta agli anni della Silver Age fumettistica e della rivoluzione dei costumi, incarnando il vero ideale della gioventù americana: proprio quell’ideale che in Easy Rider finisce sull’asfalto, tra una bandiera che brucia e l’ennesima morte ingiusta.
Easy rider: Born to be wild
Rimane negli annali della storia del cinema l’interpretazione di Jack Nicholson che presta la sua faccia e la sua voce all’avvocato George Hanson, un giovane yuppie alcolizzato che riesce a tirar fuori dai guai i due protagonisti. Contagiato dal loro stile di vita così libero da costrizioni, Hanson decide di accompagnarli fino a New Orleans e festeggiare (a suo modo) con loro il Mardi gras. Pur provenendo da un ambiente completamente differente, Hanson tocca con mano per qualche intensa ora lo spirito selvaggio di questa America innocente, mostrando al pubblico la profonda crisi intellettuale in cui versa la borghesia. I suoi discorsi allucinati, il suo atteggiamento disincantato, la sua morale elastica sono una denuncia ai cosiddetti valori contro i quali la controcultura hippie si stava schierando, chiedendo a gran voce: siamo sicuri che la meglio gioventù sia quella in giacca e cravatta?
Anche l’uso manifesto delle droghe è un modo per ribadire questo rovesciamento dei valori e la necessità di esplorare i confini della percezione, in un contesto politico e sociale da cui non si può che voler evadere. Eppure, nello sgomento del trip di acidi si legge anche il fallimento di questa estraniazione: dall’angoscia non si fugge e la realtà e la sua carica oppressiva non tarderanno a riscuotere il conto.
Easy rider: un manifesto generazionale
Proprio in virtù dell’importanza dei suoi temi, Easy Rider ha subito conquistato il titolo di cult generazionale. Nel documentario del 2004 A Legacy of Filmmakers: The Early Years of American Zoetrope, George Lucas ha parlato del film di Hopper come di uno spartiacque che le major del cinema non hanno potuto ignorare per capire come parlare ai giovani. Dalla colonna sonora, il cui successo ha quasi travalicato la fama del film, alla maniera disincantata di parlare di amore libero, droga e società, Easy Rider racchiude tutta l’essenza del 1969.
Finalmente i ragazzi che andavano al cinema hanno goduto di un prodotto artistico in grado di parlare il loro linguaggio, con dei personaggi in cui identificarsi e con un dramma che tutti possono sentire proprio. Da quel momento si inizia a parlare di Nuova Hollywood, che accoglie nel suo pantheon le firme più note del cinema americano di tutti i tempi; la rivoluzione di Lucas, Hopper, Altman, Scorsese, Coppola e gli altri passa per il linguaggio, per la nuova varietà dei temi e per il coraggio di parlare di sesso, violenza, droga, oppressione di genere e razza, inquietudine. Da questo momento in poi i giovani, folli e disperati artisti di Hollywood si armano di camera e iniziano a raccontarsi: un nuovo capitolo è iniziato e corre su due ruote lungo tutta l’America.
Get your motor runnin’
Head out on the highway
Lookin’ for adventure
And whatever comes our way
Yeah Darlin’ go make it happen
Take the world in a love embrace
Fire all of your guns at once
And explode into space
(Steppenwolf Born To Be Wild)