Editoriale | Alberto Sordi: genealogia di una maschera della comicità
Alberto Sordi quando recita e interpreta i suoi personaggi parte da Roma e approda nelle intercapedini di ogni italiano e della sua storia.
“Ve lo meritate, Alberto Sordi!”. Sono indimenticabili le parole di Nanni Moretti che in Ecce bombo apostrofa gli italiani e l’Italia, popolo dimentico e conformista, tentando con tutto se stesso di rigettare l’idea che quei tratti deteriori, che Alberto Sordi era abilissimo a innescare, fossero strettamente intessuti nelle attitudini e nell’antropologia dell’italiano medio. La rabbia o anche il fastidio che si può provare osservando alcuni dei celeberrimi personaggi interpretati da Alberto Sordi è quasi una normalità che bisogna dare per acquisita: Sordi era un grande osservatore e come tale è stato, nella sua unicità, uno specchio in cui l’Italia ha potuto riflettersi per molti anni, un riflesso cinico, esasperato, mai indulgente, che ha restituito all’Italia la propria immagine, un’immagine certamente comica, ridicola, ma non per questo meno tragica.
Alberto Sordi provocava una catarsi nel pubblico, una catarsi alla rovescia, che nei personaggi da lui interpretati assumeva una forma ben precisa, ovvero la catarsi dell’antieroe, dell’eroe negativo, di un uomo pieno di difetti, tronfio di viltà. Dal cinema di allora il pubblico ne usciva spesso con un’irritazione a fior di pelle, poiché non c’era alcuna soddisfazione nell’assistere e riconoscere in una commedia di costume quel conformismo, quel qualunquismo del protagonista, speculare al proprio.
Per la prima volta il pubblico italiano era introdotto nella peggiore e feroce critica di costume e del carattere degli italiani. Sordi non era un attore comune, neppure un uomo comune: come asserisce Gianni Canova, solo un uomo non comune poteva creare personaggi come il Nando Moriconi di Un americano a Roma di Steno o come il sottotenente Innocenzi di Tutti a casa di Comencini, come il giornalista Silvio Magnozzi di Una vita difficile di Dino Risi o come l’Oreste Jacovacci di La grande guerra di Mario Monicelli.
Alberto Sordi: genealogia di un comico
Vittorio De Sica affermò che nessuno più di Sordi ha saputo caratterizzare così bene l’uomo medio: “Sordi è riuscito a mettere in mostra il lato storto, ridicolo del carattere italiano e l’ha colpito. Ha fatto della satira che molti considerano crudele; secondo me invece questa crudeltà nasce da una forza morale. Sordi è un uomo che ha sofferto molto, ha quasi patito la fame, ha fatto mille mestieri prima di arrivare, e questo lo ha arricchito di istinti buoni, umanitari . È un attore comico che ha dentro un’amarezza che s’indigna di fronte ai vizi e vorrebbe che non esistessero. Allora colpisce e gode a frustare e, pur facendo della satira un po’ cattiva, moralizza.”
Secondo Mario Monicelli Sordi non va visto come attore, ma anche come autore, perché ha inventato un personaggio comico di grande modernità ed ha avuto il coraggio di imporlo: “Ha cercato di divertire con questo personaggio e questo è veramente il massimo che un attore può fare. Non era mai successo prima, infatti, che si potesse far ridere il pubblico con delle caratteristiche negative, francamente un po’ abbiette. È in questo che sta il suo sforzo creativo.”
I vizi, le lacune, le idiosincrasie e le virtù dell’Italia attraverso i personaggi di Alberto Sordi
Per questo i suoi personaggi sintetizzano alla perfezione i vizi, le lacune, le idiosincrasie, anche le virtù dell’italiano; per questa sua dote è vicino ad altri grandissimi attori che sono stati uno specchio dell’Italia nel corso del Novecento, a partire da Totò, Eduardo e Peppino De Filippo, Anna Magnani, Vittorio Gassman, Marcello Mastroianni, Nino Manfredi, Ugo Tognazzi, Monica Vitti. La grandezza di Sordi si poggia anche sulla consapevolezza di essere a tutti gli effetti l‘ultimo discendente di una tradizione teatrale e comica italiana che poggia la sua genealogia moderna in Ettore Petrolini e Aldo Fabrizi.
Lo stesso Sordi, che non ha mai provato grande simpatia umana per Aldo Fabrizi, racconta il loro primo incontro a Genova, nel 1937, durante una delle sue prestazioni di avanspettacolo: “Non lo avevo mai visto prima. Ricordo che faceva una macchietta, quella di Decio, e poi un tango in frac intitolato Tullulù non m’ami più. Per me fu una rivelazione, perché scoprii non solo un uomo che mi faceva ridere ma un uomo che aveva una personalità”. Fabrizi, prima e durante la guerra, ideò macchiette comiche costruite con humor popolano, molto vicino ai sonetti romaneschi di Giuseppe Gioachino Belli e Trilussa; per questo assieme ad Anna Magnani e, ça va sans dire, Alberto Sordi, è stato uno dei massimi esponenti della romanità cinematografica.
Alberto Sordi è diventato il manifesto del cinema italiano
Invece l’incontro tra Sordi e Petrolini avvenne in teatro nel 1934. Tra i due attori c’è molto più sguardo, mimesi e contingenza di quanto sembrerebbe. Petrolini, attore, drammaturgo e scrittore italiano, è considerato uno dei massimi esponenti del teatro di varietà; ha inventato un repertorio, una maniera e una maschera che hanno profondamente influenzato il teatro comico italiano. La sua è una maschera tragica prima che comica, le sue macchiette e le sue caricature erano pungenti, atroci, è a tutti gli effetti un attore-inventore che ha stravolto la tradizione teatrale comica; lui stesso paragonò il suo lavoro a quello del rapinatore che ruba con destrezza le caratteristiche e i tic a personaggi presi dalla strada, incontrati nei bar.
Per questo Petrolini è diventato un punto di riferimento assoluto per la tradizione dei comici a venire, da Sordi a Verdone. Ed è evidente che Alberto Sordi da Fabrizi e da Petrolini ha attinto con sapienza, con consapevolezza, analizzandone il cinismo, la romanità, lo spessore drammatico e l’ironia popolare, senza mai dimenticare che era anche e soprattutto una certa identità vernacolare ad essere un punto di partenza del suo percorso comico. Alberto Sordi quando recita e interpreta i suoi personaggi parte da Roma e approda nelle intercapedini di ogni italiano e della sua storia, è stato il fautore della promozione della lingua romana al cinema; ha a tutti gli effetti inventato il romanesco, a suo dire una lingua che non esiste, influenzando enormemente il lessico e il linguaggio italiano. Sordi è diventato il manifesto del cinema italiano, ha coniugato l’Italia con la sua città e ha saputo raccontare un Paese intero, con le sue desolazioni, con la sua corruzione e le sue innumerevoli consuetudini.