Eros e Thanatos: l’erotismo nel cinema horror – Terza Puntata
Ben ritrovati al terzo appuntamento del nostro viaggio a tappe dedicato all’Eros e Thanatos nel cinema horror. Ci eravamo lasciati (QUI) parlando di necromantici amori che consumano letteralmente mente e corpo, ma facciamo un altro passo indietro prima di proseguire il tema.
Eros e Thanatos / Amore e Morte:
suggestioni cinematografiche tra dolore e piacere
Nel 1971 Fernando di Leo realizza La Bestia Uccide a Sangue Freddo, un lungometraggio degno di essere citato nel nostro percorso in quanto costituisce un interessante esempio di cinema bis nostrano che narra d’atmosfere sanguinose intrise di eros di thanatos.
Cosceneggiato da Carmine di Leo, fratello del regista (sotto lo pseudonimo di Nino Latino), il film è ambientato in una lussuosa clinica-castello per donne con disturbi psichiatrici. La curativa quiete del posto viene improvvisamente incrinata da una presenza oscura che si aggira silenziosamente per i corridoi spiando le sensuali donne nelle loro stanze e massacrandone una dietro l’altra…
La pellicola viene realizzata su commissione negli anni in cui vanno di moda i film “alla Dario Argento”, lo stesso di Leo ha sempre dichiarato di non amare particolarmente questo film a causa della sua lentezza e dei personaggi dai tratti un po’ troppo esasperati. Nonostante tutto La Bestia Uccide a Sangue Freddo è diventato un cult via di mezza tra pulp e thriller dalle venature horror, con diverse scene dall’esplicito carattere erotico. Notevole il cast tutto al femminile tra cui spicca una sensuale Rosalba Neri che riveste i panni di una ninfomane ed una splendida malinconica Margaret Lee nei panni di una depressa con manie suicide. Tra un omicidio e l’altro non mancano scene saffiche tra Jane Garrett (che compare anche in un nudo integrale) e Monica Stroebel, più una scena di autoerotismo della stessa Rosalba Neri; come molte altre pellicole del periodo, esistono delle versioni con sequenze hard appositamente realizzate per il mercato estero più pornografiche che erotiche. Nei panni di un ambiguo medico suggerito come probabile serial killer troviamo Klaus Kinski. Di Leo gioca a confondere lo spettatore utilizzando un noto cattivo del cinema, tuttavia la chiave irrealistica vince sulla suspense e questa ambiguità di fondo viene presto a svanire. Un altro particolare della trama poco credibile: un salone nel bel mezzo della clinica in cui sono esposte delle armi, con tanto di asce e mazze ferrate, alla comoda portata delle pazienti psichiatriche… Nonostante queste evidenti incongruenze l’atmosfera cupa e sensuale, condita da una musica squisitamente sperimentale, invoglia lo spettatore a proseguire la visione sino al finale che riscatta in pieno tutto il film: in una sequenza dal crescente carattere delirante, una dopo l’altra le infermiere vengono brutalmente massacrate dal folle assassino. La mdp ci mostra con un’incredibile soggettiva ed assieme un montaggio alternato, un mattatoio descritto in maniera simile in I Ragazzi del Massacro, altra grande pellicola firmata di Leo.
Dal gusto romantico-simbolista è Gothic, un film del 1986 di Ken Russell, pellicola che colpisce per gli svariati riferimenti culturali al suo interno ma soprattutto per il turbinio ipnagogico delle violente passioni, incubi ed oscure pulsioni nascoste nei recessi della mente.
Il film si basa su un fatto storico realmente accaduto: il soggiorno estivo di Mary Shelley (Natasha Richardson), il suo compagno Percy (Julian Sands) e la sorellastra Claire (Miriam Cyr) nella villa di Lord Byron (Gabriel Byrne) e del suo instabile medico John William Polidori (Timothy Spall). In preda ai fervori del laudano e dell’amore libero, il gruppetto di menti malate compie una seduta spiritica mentre fuori una tempesta impazza…Stati di allucinazione, perverse fantasie erotiche e/o di morte affollano i pensieri dei presenti, soprattutto quelli di Mary. Una presenza oscura aleggia nella dimora trasformando i peggiori incubi in realtà? Oppure si tratta solo di potenti suggestioni? Probabilmente entrambe le cose…
Siamo trascinati emotivamente in un tempo lontano, tra poeti, personaggi eccentrici con passioni per l’occulto, lussuria e storie di fantasmi. Eros e Thanatos serpeggiano tra incubi d’altri tempi. Forse proprio quella stessa nottata, trascorsa tra giochi erotici e racconti del terrore, ispirò la scrittura dei due romanzi simbolo della letteratura gotico-romantica: Il Vampiro di J.W. Polidori e Frankestein di Mary Shelley. Ed è proprio quest’ultima ad essere descritta in tutta la sua fragilità, contrapposta all’impudicizia dissacratoria di un Byron misterioso e vampiresco e al delirante poeta Percy Shelley, pronto a correre nudo sul tetto della villa durante la tempesta per osservare la potenza dei fulmini. L’atmosfera del delirio psichedelico sfugge un po’ dalle mani di Russell nella seconda parte del film che tende ad essere ripetitivo e discontinuo tra vermi, sanguisughe, capezzoli con occhi (che ricordano “lo Stupro” di Magritte), ratti morti in bocca… In mezzo a tutto ciò troviamo splendide suggestioni orrifiche come la sequenza ispirata a “L’incubo” di Füssli. Nonostante qualche falla, Gothic è un film (realizzato con un budget bassissimo) da vedere, affascinante nelle sue atmosfere erotico-orrorifiche e denso delle torbide ossessioni tipiche di Russell, già famoso per il sequestro di un suo precedente film dal carattere fortemente blasfemo: I Diavoli.
Ma torniamo al cinema necrofilo di Jörg Buttgereit: nel 1991 esce Nekromantik 2, sequel dell’omonimo film culto dall’affascinante valore artigianale.
Monika, una giornalista che aveva seguito la vicenda di Rob rimanendone particolarmente colpita, si reca vestita di tutto punto al cimitero in cui il ragazzo è sepolto e ne trafuga la salma. Ha così inizio un altro idilliaco rapporto d’eros amoroso e di sesso tra la ragazza ed il cadavere in avanzata putrefazione. Questa volta la protagonista ha anche un fidanzato vivo, doppiatore di film porno (sempre lavori mai scontati), che non conosce i suoi necrofili passatempi. Presa dallo sconforto della scelta tra i due partner Monika decide di buttare via Rob, tenendo come ricordino il suo pene dentro il frigo (non si sa mai). Ma durante un rapporto sessuale con il suo fidanzato la ragazza non resiste al suo impulso necrofilo e decapita quest’ultimo durante il coito, sostituendo la sua testa con quella di Rob.
Buttgereit sa bene che si può non solo odiare ma anche amare a morte qualcuno e ce lo dimostra con una vena romantica ancora più straziante del film precedente, condita da musichette al piano di John Boy Walton presenti nelle scene erotico amorose con partner vivi e morti. Pecca di questo sequel è l’esagerata lentezza delle azioni, già alquanto dilatate nel primo film. Buttgereit riesuma anche il copione, oltre al cadavere del primo film, quasi volesse realizzare un sequel/remake dal gusto masturbatorio. Rimangono le immagini amatoriali sporche e putride, impregnate del piacere che trae la protagonista da questa perversa pulsione, descritte con una sorta di grottesco humor. Tuttavia il regista tedesco non può non essere apprezzato a priori per i suoi autarchici lungometraggi realizzati tra denunce censure e periodi passati in prigione, sbeffeggiandosi del sistema cinematografico che ha sempre fatto di lui un outsider e perseguendo una sua personale idea di cinema.
Parlando di Eros e Thanatos non si può evitare di trattare il binomio dolore/piacere, facce della stessa moneta in una pellicola gioiello del cinema controverso e perverso: Crash, film del 1996 diretto da David Cronenberg.
Un disastroso incidente automobilistico coinvolge il produttore cinematografico James Ballard (James Spader) ed un’altra auto in cui viaggia una coppia: soltanto la donna, Helen (Holly Hunter), rimarrà in vita. Dopo essersi incontrati in ospedale James ed Helen capiscono di aver sviluppato entrambi una sorta di disturbo post traumatico, sconvolti e stranamente eccitati iniziano una relazione sessuale proprio all’interno di un’ auto parcheggiata vicino al luogo dell’incidente. Lo stato di shock dei due protagonisti sembra diventare una sorta di psicosi sadomasochista che li porta a provare eccitazione in situazioni condite da sesso, morte e automobili. Grazie a Vaughan (Elias Koteas), conosciuto in ospedale nei panni di finto medico, James scoprirà che non sono gli unici a soffrirne: diversi superstiti di disastrosi incidenti hanno sviluppato una simile ossessione che li porta al feticismo per gli scontri stradali e per le lesioni da loro provocati.
Vincitore del premio della giuria al Festival di Cannes, Crash è una pellicola che non rientra nel puro genere horror ma va trattata per la sua disturbante resa dovuta ad un connubio tra atmosfere irreali, scene brutali, continua ricerca di appagamento tramite una sessualità malata in cui sesso e violenza producono un processo di fascinazione. Processo che giunge all’estremo gesto feticistico nella sequenza in cui vediamo un ritrovo di superstiti di tragici incidenti intenti a riprodurre, in illegali spettacoli, scontri mortali che hanno ucciso famose stars come James Dean. Se in Nekromantik piacere e disgusto si intrecciavano in rapporti necrofili, in Crash una profonda ferita ad una gamba diventa oggetto di erotiche e morbose attenzioni. L’attenzione ai corpi nudi, perfetti, orribilmente lesionati o sul punto di morte, è quasi pornografica e distaccata assieme: come la scena in cui la moglie di James (Deborah Unger) si fa sodomizzare dal marito mentre gli chiede i dettagli sul modo in cui a lui piacerebbe possedere Vaughan: sequenza spiazzante, fredda e sensuale assieme. L’esperienze mostrate da Cronenberg sono tutte legate all’esperienza tattile: il tocco delle cicatrici (le profonde cicatrici che lacerano gambe di Gabrielle ricordano delle labbra), la carrozzeria fredda di un auto toccata da una mano che sembra accarezzare la coscia accavallata di una donna. I personaggi sembrano alla ricerca di continue emozioni forti ma allo stesso tempo in preda a quello stato di narcosi di cui Marshall McLuhan parlava in un suo saggio: l’uomo è perpetuamente modificato dall’uso della tecnologia, diventa l’organo sessuale della sua macchina. In un presente disumanizzato in cui un corpo ed un’ auto possiedono la stessa carica erotica, lividi e cicatrici sono trofei e diventano chiavi per una nuova sessualità che non conosce limiti.
Fantasie di morte e fantasie sessuali si intrecciano in questi percorsi cinematografici dedicati ad Eros e Thanatos; sovente lo stesso sguardo registico nel mostrarci corpi squartati o ferite aperte diventa pornografico. L’obbiettivo va alla ricerca di una corporeità che non si esaurisca nella banale esibizione a cui siamo abituati nell’era sorridente dell’apparire, delle apparenze, in cui il lato oscuro sembra il solo portatore di verità.