Filippo Timi: i 10 film più importanti dell’attore protagonista di Favola
44 anni, e una carriera già infinita alle spalle: ripercorriamo i momenti salienti della carriera di Filippo Timi, in questi giorni nelle nostre sale con il film-evento Favola, tratto da una sua pièce teatrale di successo
Poliedrico, generoso, instancabile: la carriera di Filippo Timi è un dedalo di impegni e successi teatrali, televisivi, cinematografici e anche editoriali. Il cinema non è che un punto di approdo o, se preferite, una parte per il tutto: l’artista perugino si fa infatti le ossa sui palcoscenici dei teatri italiani (sotto l’ala protettrice fra gli altri di Cesare Ronconi e Pippo Delbono), guardando sempre al nume tutelare Antonin Artaud, che per lui è un maestro, un rivoluzionario dell’arte (come dirà in un’intervista per il Manifesto). Ma anche Filippo Timi, a ben guardare, è un rivoluzionario: per la sua duttilità e la sua indefessa voglia di sperimentare nuovi ruoli, nuovi generi, nuovi medium; per la sua innata capacità di prendersi dannatamente sul serio e al contempo di scherzare su tutto, giocando e chiedendo la complicità del pubblico. Favola – al cinema dal 25 al 27 giugno – è l’ultima tappa del suo lunghissimo percorso, ma quali sono gli snodi più importanti della sua filmografia? Ripercorriamoli assieme.
10 film per conoscere la carriera di Filippo Timi
Gli esordi: Rosatigre (Tonino De Bernardi, 2000)
Dopo una manciata di cortometraggi, Filippo Timi esordisce ufficialmente al cinema con In principio erano le mutande di Anna Negri e con Appassionate di Tonino De Bernardi, entrambi del 1999. È in particolar modo il sodalizio con il torinese De Bernardi, autore underground e sperimentale, a lasciare il segno. La loro collaborazione durerà 5 anni (dal 1999 al 2004), lasciandoci in eredità ben sei film, che sono una naturale prosecuzione degli inizi teatrali di Timi: sull’ideale palcoscenico dei film di De Bernardi, Filippo Timi si fa cantore di passioni e solitudini, in particolar modo nei panni del travestito giocoliere Antonello Rosatigre.
Parallelamente prosegue anche il suo cammino a teatro, con le rappresentazioni di Il gabbiano di Cechov (2001), Sogno di una notte di mezza estate di Shakespeare (2002) e La morte di Danton di Büchner (2003).
Il cortometraggio: Homo Homini Lupus (Matteo Rovere, 2006)
È un cortometraggio a fare da spartiacque fra la prima parte della carriera cinematografica di Filippo Timi, quella delle prime volte (formata comunque da un corpus di una dozzina di pellicole fra cui spicca Onde di Francesco Fei, 2005), e la seconda, quella della definitiva affermazione. Homo Homini Lupus, storia delle ultime ore di vita di un partigiano, porta a casa il Nastro d’Argento 2007 per il miglior cortometraggio e diventa banco di prova decisivo anche per il giovane regista Matteo Rovere (che abbiamo imparato a conoscere meglio grazie all’ottimo Veloce come il vento, 2016).
Oltre al cinema e al teatro, Timi dà alle stampe in questi anni i suoi primi due romanzi: Tuttalpiù muoio (2006, scritto in coppia con lo scrittore Edoardo Albinati) ed E lasciamole cadere queste stelle (2007), raccolta di profili al femminile.
I primi riconoscimenti: In memoria di me (Saverio Costanzo, 2007)
Dal 2007 quello di Filippo Timi inizia a diventare uno dei nomi ricorrenti e di punta del cinema italiano: In memoria di me è quasi un secondo esordio, il film che sdogana Timi anche al pubblico della grande distribuzione cinematografica italiana. Il ruolo assegnatogli è quello severo e austero di Zanna, seminarista tormentato e ribelle che medita la fuga assieme al confratello Andrea.
A seguire arriveranno i ruoli in Saturno contro di Ferzan Özpetek (2007) e in Signorina Effe di Wilma Labate (2007), oltre ad una serie di premi importanti rastrellati nei festival italiani ed esteri. Un triennio (dal 2007 al 2009) particolarmente impegnativo: Timi rallenta la sua attività teatrale per concentrarsi sulla settima arte, pur concedendosi la regia dello sceneggiato radiofonico Mister Love non crede all’oroscopo, in onda nel 2009 su Rai Radio 2.
Il grande salto: Come Dio comanda (Gabriele Salvatores, 2008)
“Peggio che diventare famoso”, come recita l’eloquente titolo del suo terzo libro, pubblicato nel 2009: nel periodo compreso fra il 2007 e il 2010 Filippo Timi è sui set di undici film, e sono quasi tutte opere di primissimo piano. Si avvalgono della sua collaborazione fra gli altri Salvatores per Come dio comanda (2008), Montaldo per I demoni di San Pietroburgo (2008), Bellocchio per Vincere (2009), Capotondi per La doppia ora (2009), Costanzo per La solitudine dei numeri primi (2010).
In Come Dio comanda (tratto dall’omonimo romanzo di Niccolò Ammaniti) Timi è Rino Zena, operaio disoccupato che cresce il figlio adolescente insegnandogli l’amore attraverso l’odio e la violenza. Tutto il peso del film è sulle sue spalle, una responsabilità che esalta le sue capacità e il suo talento. Un po’ come accadrà per il successivo Vincere.
La consacrazione: Vincere (Marco Bellocchio, 2009)
Dovessimo scegliere un film che rappresenta appieno l’escalation di Timi, quello che porta a totale compimento il suo percorso artistico, sceglieremmo senza alcun dubbio Vincere. Bellocchio gli affida un doppio intensissimo ruolo, quello di Benito Mussolini e quello di Benito Albino, avuto da Ida Dalser prima del matrimonio con Rachele.
Timi è il film (assieme a Giovanna Mezzogiorno, che a sua volta offre una interpretazione maiuscola) e fioccano i premi: miglior attore al Chicago International Film Festival, Premio Kineo, Premio Golden Graal. E, dulcis in fundo, il Premio The Most Beautiful Hollywood Face (assegnato all’attore italiano in grado di competere con le star di Hollywood), che gli permette di mettersi alla prova anche nella Fabbrica dei sogni americana.
All’estero: The American (Anton Corbijn, 2010)
Ogni attore italiano (ed europeo) che si rispetti decide, ad un certo punto della sua carriera, di misurarsi con il dorato mondo hollywoodiano. Peschiamo nel mucchio: Claudio Santamaria in 007 – Casino Royale, Sergio Castellitto in Le cronache di Narnia, Pierfrancesco Favino in Angeli e demoni.
Filippo Timi ha un piccolo ma interessante ruolo in The American di Anton Corbijn, al fianco del protagonista George Clooney. A questa esperienza si affiancherà quella francese di Asterix & Obelix al servizio di sua maestà (2012), in cui veste i panni di un decurione, assieme a Neri Marcorè.
Nel frattempo riprende la carriera teatrale, scrivendo in prima persona nuove opere: Il popolo non ha il pane? Diamogli le brioche (2009), Favola (2011), Amleto 2 (2012).
Il film controverso: Vallanzasca – Gli angeli del male (Michele Placido, 2010)
Presentato al Festival di Venezia 2010, Vallanzasca – Gli angeli del male scatena un polverone: il film è incentrato sulla controversa figura di Renato Vallanzasca, criminale italiano autore negli anni ’70 di numerosi sequestri. Ad interpretare il protagonista è Kim Rossi Stuart, circondato da un cast di primissimo ordine: Filippo Timi, la spagnola Paz Vega, il tedesco Moritz Bleibtreu, oltre a Valeria Solarino e Lino Guanciale.
È dunque legittimo e morale dedicare un’opera d’arte ad un anti-eroe così negativo, rendendolo anche personaggio affascinante e umano? Il dibattito, iniziato a settembre alla Mostra del Cinema, si protrae fino a gennaio 2011, ovvero fino all’uscita del film in sala. Una pubblicità – seppur negativa – che di fatto fa da cassa di risonanza alla pellicola.
Nel 2010 Timi punta anche il naso in televisione: è infatti ospite fisso di Crozza Alive, in onda su La7.
La commedia brillante: Com’è bello far l’amore (Fausto Brizzi, 2012)
Strano, ma vero: nel carniere di Filippo Timi, nonostante le decine di ruoli interpretati, manca ancora una commedia brillante. È proprio il re di questo sottogenere, Fausto Brizzi (Notte prima degli esami, Ex, Maschi contro femmine), a reclutarlo per Com’è bello far l’amore, in cui veste gli auto-ironici panni del pornodivo Max. Timi duetta con Claudia Gerini e Fabio De Luigi, mostrandosi pienamente all’altezza del compito assegnatogli: quello dell’alleggerimento comico, seguendo un registro per lui inedito (almeno sul grande schermo).
Ma il 2012 è anche l’anno di un altro esordio, nel mondo del doppiaggio: Filippo Timi infatti presta la sua voce al mammuth Manfred di L’era glaciale 4 e al villain Bane di Il cavaliere oscuro – Il ritorno.
In televisione: I delitti del BarLume (Eugenio Cappuccio e Roan Johnson, 2013)
A questo punto non può mancare la televisione, in un ruolo più continuativo rispetto alla semplice ospitata. Arriva così I delitti del BarLume, serie tv prodotta da Sky Cinema e tratta dai romanzi di Marco Malvaldi. 10 episodi – per ora – e una trama orizzontale che rende il prodotto più simile ad un film che ad una serie: Timi interpreta un barista, alle prese in ogni puntata con i delitti della città in cui vive.
In questo periodo ci sono per lui anche una sitcom in pillole ambientata nel mondo della politica e prodotta per Rai 3 (Il candidato – Zucca presidente, 2014) e un gustosissimo mini-varietà musicale dall’ambientazione retrò, in onda sul canale NOVE (Tadà, 2016). Nuovi tasselli che dimostrano – qualora fosse ancora necessario – la grande duttilità dell’attore perugino.
Dal teatro al cinema: Favola (Sebastiano Mauri, 2017)
Riprendendo in mano una sua pièce teatrale del 2011 (Favola – C’era una volta una bambina, e dico c’era perché ora non c’è più), Filippo Timi torna al cinema dopo un insolitamente lungo periodo di assenza. La regia della trasposizione cinematografica è affidata a Sebastiano Mauri – suo compagno nella vita – e il film viene presentato al Torino Film Festival 2017.
Favola è una commedia fantastica sul tema dell’identità, un manifesto queer che ricorda in qualche modo il cinema melò di Todd Haynes (Lontano dal paradiso, 2002; Carol, 2015), un nuovo punto di approdo per la carriera dell’eclettico Timi.
E ora, quali saranno le nuove sfide che affronterà il caparbio Filippo? A noi sembra una conseguenza naturale, visti anche i precedenti teatrali, ma forse ci sbagliamo: e se fosse il passaggio dietro la macchina da presa? Comunque sia, la sua – è il caso di dirlo – favola è destinata a conoscere nuovi e imprevedibili lieti fine.